Di Ferruccio De Bortoli
C’è una crescente intolleranza nei confronti dei servitori dello Stato che hanno il «difetto» di fare bene il proprio mestiere e di essere, quando ricoprono incarichi di vertice, solo leali e non fedeli alla maggioranza. Così le istituzioni non solo perdono competenze ma non le attraggono nemmeno. Ciò non inquieta. Anzi, conforta chi governa. Il direttore dell’agenzia delle Entrate e Riscossione si è dimesso con un’intervista assai polemica al Corriere.«non mi era mai capitato — ha confessato Ernesto Maria Ruffini a Fiorenza Sarzanini — di vedere pubblici funzionari additati come estorsori di un pizzo di Stato oppure di sentirsi dire che l’agenzia tiene in ostaggio le famiglie come fosse un sequestratore». Il fatto che il nome di Ruffini sia stato subito proposto come uno dei tanti federatori del litigioso Centro dell’opposizione non ha certo aiutato a comprendere fino in fondo la dimensione del suo disagio che immaginiamo non sia così isolato. Un corto circuito inopportuno.
Ora il governo è alla ricerca di un sostituto, o di una sostituta, che interpreti meglio lo spirito della riforma tributaria. Ovvero l’idea di un Fisco amico. Formula ambigua. Il ruolo dell’agenzia è scomodo, se non antipatico. Inutile girarci intorno.
Si tratta di incassare, non di elargire. Di riscuotere non di accreditare. Non è l’inps.
Quando Matteo Salvini si compiace delle dimissioni di Ruffini dicendo che così si è «allontanato dalle tasche degli italiani» non attribuisce una patente di amicizia a chi ne prenderà il testimone. La politica tributaria la fa il legislatore. L’agenzia applica la legge. Se non dovesse scrivere nemmeno lettere di sollecito che, per quanto educate, non sono mai gradite dal contribuente moroso, sarebbe amica degli evasori. Quelle missive non sono minatorie. Lasciarlo credere al pubblico significa prendere per fessi tutti quegli italiani che compiono il loro dovere di versare, in tempo e fino all’ultimo euro, le tasse. E non hanno mai ricevuto nemmeno un attestato civico, un pubblico ringraziamento. Ai dipendenti e ai pensionati, per esempio, non è riservato alcun premio fedeltà. Lo meriterebbero, essendo tra l’altro i residui soggetti a un’imposta progressiva, come da dettato costituzionale. Altri contribuenti, che non hanno il fastidio del sostituto d’imposta, sono stati destinatari negli anni — nell’ansia di recuperare gettito (con incassi sempre inferiori al previsto) — di una miriade di sconti, condoni e premialità. L’evasione fiscale e contributiva è comunque in discesa (una stima di 83,6 miliardi nel 2021). Forse più per la digitalizzazione dell’economia (avversata anche per questa ragione) che per un sussulto di educazione civica. Ridurre in tutti i modi il magazzino dei crediti fiscali dell’agenzia (gran parte però inesigibili) resta comunque una priorità. Ed è giusto incoraggiare e favorire forme di maggiore disciplina di alcune categorie. Anche per essere amici di chi, tra questi contribuenti, portano avanti con oggettive difficoltà la propria attività economica e paga il dovuto. E non di chi continua ad evadere nonostante il beneficio della cosiddetta flat tax. Il concordato preventivo biennale non sembra — ma siamo in attesa di conoscere la quantità di adesioni dopo la scadenza della proroga — aver assolto a questa indispensabile opera di emersione di base imponibile. Sono così scarsi i controlli (dunque il Fisco non è poi così tanto occhiuto e invasivo) che chi evade avrebbe scelto di continuare a farlo nonostante i vantaggi promessi. Peccato che dall’incasso del concordato preventivo biennale dipendesse l’annunciato taglio di un’aliquota (dal 35 al 33 per cento) che avrebbe un po’ premiato i contribuenti Irpef. Ma sono rimasti delusi da un Fisco che forse è stato troppo amico di altri.
Fonte: Corriere