Type to search

Le donne entrano a far parte delle Forze armate italiane

Share

 

 

​Il 20 ottobre del 1999 con la legge numero 380 l’Italia si allineava ai Paesi della NATO aprendo le Forze armate al reclutamento femminile. La partecipazione delle cittadine italiane al sistema della Difesa nazionale e della sicurezza internazionale si è gradualmente affermata. Oggi nei ranghi delle Forze armate, sono presenti due generazioni di donne, per un totale di oltre 17 000 militari, pari a circa il 6.3% dell’intero organico (dati aggiornati al 31 dicembre 2019). Con la progressione di carriera tra alcuni anni le donne potranno ambire a ricoprire cariche di vertice della gerarchia militare.

 

​Il modello di reclutamento italiano ammette le donne in tutti i ruoli, attraverso l’arruolamento di allieve ufficiali e sottufficiali dei corsi normali 1, tenuti dagli istituti di formazione militare, di ufficiali a nomina diretta, reclutate attraverso concorsi per laureati, e con il reclutamento come militari di truppa in ferma prefissata. Sul piano formale l’assenza di preclusioni d’incarichi e d’impieghi, oltre che di ruolo o di categorie, rende il modello italiano tra i più avanzati in termini di parità. Tale modello sfida sicuramente l’impegno dell’organizzazione a garantire, in modo moderno e pratico, le molteplici esigenze di vita quali: conciliare il lavoro con la famiglia, matrimoni e unioni tra militari, limitazioni e vincoli alla mobilità per esigenze familiari, periodi di gravidanza, allattamento così come la cura e l’educazione dei figli nel corso della vita professionale caratterizzata anche da lunghi periodi impegnati in missioni fuori area.

 

​All’inizio il reclutamento femminile ha seguito un percorso d’immissione graduale, sia per i numeri delle unità da incorporare sia per i livelli gerarchici da alimentare. In una prima fase, si è data priorità all’arruolamento degli ufficiali per poter disporre, al momento del reclutamento nei ruoli dei sottufficiali e truppa, di donne in grado d’istruire e guidare le reclute. Dopo il reclutamento di ufficiali a ‘nomina diretta’, già in possesso di titolo di laurea, destinate a percorsi di formazione militare di durata inferiore ai 12 mesi, sono state ammesse percentuali contingentate di donne nelle accademie per ufficiali e nelle scuole per sottufficiali e truppa. L’ammissione progressiva delle donne nei vari ruoli ha consentito di affrontare e risolvere tutte le problematiche personali, logistiche e infrastrutturali, adattando e modificando un’organizzazione progettata e alimentata, fin a quel momento, esclusivamente da personale maschile. Superata questa prima fase, nel 2006 il reclutamento è stato esteso anche all’Arma dei carabinieri, eliminando qualsiasi limitazione sulle percentuali di reclutamento. Dal 2009 anche le scuole superiori militari hanno ammesso le allieve (Nunziatella e la Teuliè per l’Esercito, Morosini per la Marina e Douhet per l’Aeronautica). Secondo una proiezione teorica, il primo ufficiale donna, proveniente dai ruoli normali delle accademie militari, sarà valutato per la promozione al gradi di colonnello nel 2024. L’Arma dei carabinieri ha già ufficiali donna nei gradi di generale di brigata e di colonnello provenienti dal Corpo Forestale (Forza di polizia incorporata nell’Arma dei carabinieri l’1.1.2017) e dalla Polizia di Stato.

 

Donne italiane e carriera militare: una storia lunga ottant’anni
Andando a ritroso nel tempo, si scopre che uno dei primi interventi legislativi riguardante, in maniera specifica, il ruolo delle donne nella difesa dello Stato risale al luglio del 1919, quando il re d’Italia, Vittorio Emanuele III, emanò una legge che ammetteva la donna ad esercitare le professioni e a ricoprire tutti gli impieghi pubblici, con esclusione di quelli implicanti poteri giurisdizionali ed attinenti alla difesa militare dello Stato. “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato secondo la specificazione che sarà fatta con apposito regolamento” è scritto nel citato testo normativo.

 

​Le limitazioni alla partecipazione delle donne alla vita dello Stato poste dalla legge del 1919, furono superate dal concetto di parità tra i sessi sancito dalla Costituzione repubblicana ed in particolare dagli articoli 3, 37, 51 e 52 che individuano, appunto, i diritti e i doveri, in materia di parità, attribuiti a tutti i cittadini italiani di ambo i sessi. Oltre che dalla Costituzione, l’uguaglianza e la parità tra i sessi sono affermati dal codice civile, dal diritto di famiglia, dal codice penale e garantite da numerosi trattati e risoluzioni internazionali. Nonostante la chiarezza del dettato costituzionale, la legge 9.2.1963 n. 66, che consentiva l’accesso delle donne a tutte le cariche compresa la magistratura, mantenne la riserva per il servizio militare, lasciando però aperto uno spiraglio. Essa, infatti, rimandando l’arruolamento della donna a leggi speciali, può essere considerata come un primo fondamento giuridico della creazione del servizio militare femminile. Per concretizzare il precetto costituzionale e sciogliere la riserva contenuta nella citata legge furono predisposti, negli anni seguenti, diversi schemi di provvedimenti legislativi che ipotizzavano varie soluzioni, quali l’istituzione del: servizio femminile su base volontaria, Corpo Ausiliario Femminile, Corpo Militare Interforze, reclutamento femminile in via sperimentale per cinque anni.

 

​Un obiettivo importante fu raggiunto, nel frattempo, con l’accesso delle donne nelle Forze di Polizia ad ordinamento civile: la legge n. 121 del 1981 sul riordino della Pubblica Sicurezza e la smilitarizzazione della Polizia di Stato consentì, infatti, il reclutamento di donne nella: Polizia di Stato, nella Polizia penitenziaria e nel Corpo forestale dello Stato.

 

​Fu solo dopo oltre quindici anni dall’assunzione delle donne in Polizia che, il 15 gennaio 1997, vide la luce la versione definitiva del disegno di legge delega per l’istituzione del servizio militare volontario femminile. Trentadue mesi dopo, nella seduta n. 592 del 29 settembre 1999, a conclusione dell’iter parlamentare, l’atto fu approvato alla Camera, con alcune modifiche, a larghissima maggioranza. Così fu approvata la legge n. 380/99 con la quale il Parlamento ammise le donne nelle Forze armate e nella Guardia di Finanza, a partire dall’anno 2000, delegando il Governo ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, i decreti legislativi per disciplinare il reclutamento, lo stato giuridico e l’avanzamento del personale militare femminile.

 

I primi reclutamenti
La legge n. 380 del ‘99 incaricava il Ministro della Difesa (per le Forze armate e l’Arma dei carabinieri) e il Ministro delle Finanze (per la Guardia di Finanza) di definire annualmente le aliquote, i ruoli, le categorie, le specialità e le specializzazioni per i reclutamenti del personale femminile.

 

​Sentito anche il parere del Comitato consultivo sul servizio volontario femminile, fu deciso di prevedere, fino al 2006, un limite massimo compreso tra il 10 e il 30% di donne, in relazione alla categoria interessata, a causa della situazione logistico-infrastrutturale degli istituti ed enti esistenti.

 

​I primi bandi di concorso per il reclutamento nelle accademie militari dell’Esercito, Marina e Aeronautica furono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2000 e prevedevano l’ammissione di non più di 20 donne su 100 candidati. Nel mese di marzo dello stesso anno furono banditi i primi concorsi per ufficiali a nomina diretta già laureati – ingegneri, medici, commissari, sociologi e psicologi – uomini e donne, che dovevano essere impiegati, a partire dal luglio 2001, dopo aver frequentato un corso di circa otto mesi. In assoluto, le vincitrici di questi concorsi sono le prime donne militari in servizio permanente effettivo.

 

​Nello stesso anno furono banditi anche i primi concorsi per allieve maresciallo presso le scuole sottufficiali di ciascuna Forza armata e, solo per l’Esercito, per volontarie in ferma breve. In via transitoria, per i primi tre anni di reclutamento, i limiti di età per le concorrenti di sesso femminile furono aumentati di tre anni rispetto agli uomini.

 

​Le prove di selezione del primo concorso per l’arruolamento di 800 volontari in ferma breve (tre anni) dell’Esercito vennero effettuate dal 7 al 12 settembre 2000. Il concorso era aperto ad entrambi i sessi con il 30% dei posti riservato alle donne, diplomate e con un’età compresa tra i 17 e i 22 anni. A sollecitare il reclutamento femminile nei ruoli della truppa a partire già dal 2000, fu il Presidente della Commissione Difesa della Camera, Valdo Spini, primo firmatario del disegno di legge sulle donne militari, che interessò della questione il Ministro della Difesa pro-tempore, Sergio Mattarella. Il Ministro garantì immediatamente la possibilità di estendere anche alle donne gli arruolamenti straordinari dei volontari in ferma breve dell’Esercito anticipando così di almeno dodici mesi l’ingresso delle donne in tale categoria, inizialmente previsto solo a partire dal 2001/02. Dal 2003, con l’emanazione del 6° concorso “ordinario” per volontari in ferma breve partì l’arruolamento per le donne militari della truppa anche nelle altre Forze armate e nell’Arma dei carabinieri, nella misura percentuale massima del 15% dei posti disponibili.

​Quasi dieci anni più tardi, per l’anno scolastico 2009 – 2010, presso le scuole superiori militari delle Forze armate furono previsti, per la prima volta dalla loro istituzione, posti riservati alle concorrenti di sesso femminile.

 

Per ruoli normali si intendono i corsi alimentati da personale, in possesso di diploma di scuola secondaria di secondo grado e vincitore di appositi concorsi, che, al termine del percorso formativo, conseguono la laurea magistrale (ufficiali) o triennale (sottufficiali).