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Lavoro ed export l’Italia non si ferma

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Nei settori in cui le imprese hanno investito con Industria 4.0 nel nostro Paese si è generato più lavoro e valore

Marco Fortis

La frenata della produzione industriale di aprile, che ha fatto lanciare a molti grida d’allarme immotivati, sembra originare da un assestamento dei livelli di attività legati alla recessione dell’Eurozona e della Germania, nostro principale mercato, nonché alla fine dei superbonus edilizi piuttosto che ad un’inversione del ciclo economico del nostro Paese. Lo dimostra l’occupazione, che ad aprile è cresciuta di altre 48mila unità rispetto a marzo. E ora i dati Istat disaggregati sul lavoro nel primo trimestre dell’anno ci aiutano a inquadrare meglio la situazione. L’Istat, infatti, ci spiega che gli occupati, nel primo trimestre 2023, sono risultati 104mila in più rispetto al quarto trimestre 2022. In un anno, rispetto al primo trimestre 2022, l’occupazione in Italia è cresciuta complessivamente di 400mila persone. Un dato che, unitamente ai provvedimenti a favore dei ceti meno abbienti, ci aiuta a capire anche il nostro forte aumento dei consumi nello stesso periodo: +3.1 per cento l’incremento annuo della spesa delle famiglie italiane, il più forte tra le prime sei economie avanzate. Tra il primo trimestre 2022 e il primo trimestre 2023, industria in senso stretto e servizi sono i settori che hanno contribuito di più a far crescere il numero degli occupati: rispettivamente +136mila e +236mila. In particolare, l’industria in senso stretto ha raggiunto nel primo trimestre di quest’anno il numero più alto di occupati dall’inizio della crisi mondiale del 2009 e conta già 99 occupati in più rispetto ai livelli del quarto trimestre 2019 antecedente la pandemia. I più forti incrementi occupazionali negli ultimi dieci anni nell’industria in senso stretto, dopo il minimo di quattro milioni e 315mila occupati del primo trimestre 2013, si sono avuti durante i governi Renzi-Gentiloni (+275mila occupati) e poi con il governo Draghi (+147mila unità).
Nei primi tre mesi di quest’anno, ben lungi dal crollare, l’occupazione nell’industria in senso stretto è aumentata ancora sensibilmente (persino di più che nei tre trimestri precedenti): +1.5 per cento rispetto al quarto trimestre 2022. Infatti, vi sono stati 69 occupati in più soltanto nel primo trimestre 2023, il che significa che gli industriali hanno continuato ad assumere, non certo spaventati dal rallentamento degli ordini ma perché evidentemente credono che il 2023 possa essere positivo. Nell’ultimo anno, poi, l’aumento complessivo del numero dei dipendenti a tempo indeterminato è stato di ben 467mila unità, a fronte di un calo di 101mila dipendenti a termine e di un incremento di 35mila unità degli occupati indipendenti. Altra notizia positiva, è la crescita in un anno degli occupati non solo al Nord (+222mila) e al Centro (+67mila) ma anche nel Mezzogiorno (+111mila).
In parallelo con i dati del lavoro, volano anche quelli dell’export. Nel primo trimestre 2023, rispetto allo stesso trimestre di un anno fa, l’export ha mostrato una crescita sostenuta (+9.8 per cento) e diffusa a livello territoriale, seppure con intensità diverse: l’aumento delle esportazioni è stato molto elevato soprattutto per il Centro (+20.3 per cento) e per il Sud (+14 per cento). Grande protagonista la farmaceutica, in particolare della provincia di Ascoli Piceno dove Pfizer ha concentrato una delle sue basi produttive più importanti di farmaci contro il Covid. Sicché le Marche hanno contribuito da sole per ben 2.8 punti alla crescita su base annua dell’export nazionale. In un anno l’export farmaceutico della provincia di Ascoli Piceno è cresciuto di quasi quattro miliardi di euro, arrivando a quota 4.8 miliardi, e si è diretto soprattutto verso la Cina. Un ulteriore contributo di 2.6 punti all’aumento del nostro export negli ultimi 12 mesi è venuto dalle esportazioni di macchinari da Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Piemonte e di autoveicoli dal Piemonte. In conclusione: nei settori in cui le imprese hanno investito con Industria 4.0 e dove le multinazionali hanno investito credendo nel nostro Paese si è generato più lavoro e valore.

Fonte: Il Riformista