L’autunno che ci aspetta si prospetta non caldo ma gelido per le difficoltà di riscaldamento derivanti dal problema gas, bensì anche perché non si tratta di un periodo di conflitti derivanti dalla ricerca di nuove opportunità, ma di conflitti derivanti dalla disperante situazione economica che mette in pericolo la capacità di sopravvivenza
di Renato Costanzo Gatti
C’era una volta l’autunno caldo, caldo per le battaglie sindacali, per le lotte operaie tendenti ad allargare gli spazi delle classi subalterne all’interno della costrizione capitalistica. Era un autunno dialettico ricco di possibili sviluppi che avrebbero esteso i diritti di lavoratori e pensionati in una logica di socialismo riformistico, nella prospettiva turatiana dei fiocchi di neve che si accumulano, si consolidano, si accrescono fino a diventare massa critica e trasformarsi in valanga che azzera le differenze di classe.
La storia ci ha dimostrato che i fiocchi di neve si sono accumulati ma che ad un certo punto il sole del capitale, novello sol invictus, ha cominciato a sciogliere gli strati più esterni dei blocchi di neve fermando, bloccando e addirittura facendo arretrare le conquiste ottenute.
L’autunno che ci aspetta, stante la situazione attuale, si prospetta non caldo ma al contrario gelido; in senso vero e proprio; gelido per le difficoltà di riscaldamento derivanti dal problema gas, ma gelido anche perché non si tratta di un periodo di conflitti derivanti dalla ricerca di nuove opportunità, ma di conflitti derivanti dalla disperante situazione economica che mette in pericolo la capacità di sopravvivenza. La crisi energetica porterà ai limiti di sopportazione, e spesso supererà quei limiti, molte famiglie border line ampliando l’area degli aventi diritto al reddito di cittadinanza; il costo dell’energia causerà la chiusura di innumerevoli piccole e medie attività declassando da classe media a classe povera migliaia di famiglie ivi incluse quelle dei dipendenti che operano in quelle attività; il crollo della domanda metterà in crisi molte aziende al limite del breack-even point economico; l’aumento del costo dell’energia (il gas fornito dagli amici statunitensi non costerà certo meno di quello trattato al TTF) metterà in crisi non solo le imprese energivore ma anche quelle che comunque utilizzano l’energia anche se in misura non massimale. Facile prevedere l’aumento della cassa integrazione, della disoccupazione, delle situazioni di disagio, di protesta, di tensione sociale, di rivolta.
Lo stampare moneta ci è proibito e quand’anche fosse possibile porterebbe ad una inflazione ancora più forte, all’indebitamento pubblico, all’indifendibilità agli attacchi della speculazione finanziaria, e nella migliore delle ipotesi all’ingigantirsi del debito pubblico. La BCE non comprerebbe più i nostri titoli e con molta difficoltà rinnoverebbe l’acquisto di quelli che vanno in scadenza, l’Europa ci richiamerebbe, come ha già cominciato a fare, a rimetterci sul sentiero della riduzione dell’indice debito/Pil.
Come si comporterà il governo
Nel centenario della marcia su Roma, la destra ha conquistato democraticamente il governo del paese, senza bisogno, come fece cento anni fa, di usare la minaccia della forza per ottenere lo stesso risultato. Allora i fascisti usarono lo scontento, la disperazione dei reduci, i problemi economici della classe medio borghese accanita contro i pescecani, il terrore del capitale ossessionato dal biennio rosso, da chi voleva portare in Italia la rivolta della rivoluzione bolscevica, per attaccare una classe liberale borghese ingessata ed una sinistra parolaia e impadronirsi del potere.
Oggi la destra al governo non potrà più utilizzare lo scontento popolare ma al contrario dovrà governarlo; non potrà più usarlo per prendere il potere ma dovrà dare le risposte promesse trovandosi tuttavia in una situazione economica che vieterà il pur minimo lassismo economico. La scriteriata politica di proliferazione dei bonus dovrà essere drasticamente assoggettata ad una severa spending review che non potrà non esasperare la già tesa situazione sociale.
Non è difficile prevedere che la destra al governo, dopo aver, e non senza ragione, incolpato della situazione i governi precedenti, dopo aver richiamato le masse alla necessità di sacrifici nazionalistici coniugandoli tuttavia a ferree promesse di risoluzione pronta dei problemi, potrà essere costretta ad operazioni di forza pubblica nel tentativo di riportare la calma sociale, anche se solo provvisoriamente.
Potrà, me lo auguro, concordare con l’Europa un piano quinquennale di rientro dal debito e di ripresa su uno schema che non si discosterà molto, pur avendone denunciato gli errori, da quello applicato in Grecia, ma anche se ciò fosse, ciò non farebbe né diminuire né tantomeno cessare il disagio sociale con le conseguenze già prospettate. Calerà la già scarsa fiducia nella UE rifugiandosi in un nazionalismo quasi autarchico seguendo la linea polacca nel riconsiderare la limitazione della sovranità nazionale rispetto a quella comunitaria.
Il grande capitale, oggi più finanziario che produttivo, cercherà fughe all’estero, ma non mancherà di far avere il suo appoggio al governo di destra in senso di rafforzare il controllo e la manutenzione dell’ordine, anche con interventi energici.
Che farà l’opposizione?
L’opposizione dovrà trovare sin da ora un progetto di unione delle forze ed un programma di azione, programma serio nel senso che non sottace le difficoltà ma le riconosce come punto di partenza. Di fronte a difficoltà oggettive è più produttiva la costruzione di un programma che non abbandonarsi alla semplice, anche se necessaria, protesta. Ma perché il programma non appaia come una falsa promessa tesa a tacitare le masse, sarà necessario che tale programma abbia, a mio parere, due elementi di base: a) la partecipazione della base, b) la valorizzazione dei sacrifici.
La partecipazione della base richiede un tavolo ove siedono i sindacati e le rappresentanze delle categorie produttive che elaborino insieme ai rappresentanti dei partiti dell’opposizione e predispongano il percorso da seguire. Non più programmi calati dall’alto che le classi subalterne debbono accettare, ma viva partecipazione di quelle classi al lavoro che da una parte rende partecipi delle cose da fare e dall’altra fa maturare gramscianamente il processo di trasformazione da subalterno a dirigente.
La valorizzazione dei sacrifici significa che i pur necessari sacrifici producano effetti che vanno a favore di chi quei sacrifici fa. Il combinato effetto di fondi prelevati da un fisco che colpisce soprattutto lavoratori e pensionati, e poi regalati sotto forma di bonus o sussidi al capitale è una redistribuzione inversa che deve cessare. Basta regali al capitale! Ogni euro dato alle imprese sulla base di un programma elaborato col sistema partecipativo, deve essere dato in cambio di azioni societarie che debbono costruire un fondo, gestito con il principio partecipativo, che riconosce alla comunità che ha finanziato l’impresa la comproprietà partecipativa all’impresa stessa.
Basta con i sussidi. Non c’è tempo da perdere, non possiamo attendere impreparati l’autunno gelido che si sta avvicinando, apprestiamoci per tempo ad affrontare e gestire la situazione.
(in copertina foto tratta dal @MountainBlog)