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L’articolo 9 della Costituzione: cultura, paesaggio e ricerca

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Sommario

1. Il contenuto dell’articolo 9 della Costituzione
2. La genesi della norma
3. La ratio della norma
4. L’articolo 9 della Costituzione: la spiegazione
5. In che modo la Repubblica promuove la cultura e tutela il paesaggio?
6. Come si promuove la ricerca scientifica e tecnica?

1. Il contenuto dell’articolo 9 della Costituzione

I primi dodici articoli della Costituzione italiana contengono i cosiddetti “principi fondamentali”, valori alla base dell’ordinamento repubblicano immodificabili neppure attraverso il procedimento di revisione costituzionale.

L’inserimento dei principi fondamentali nell’incipit della Costituzione non è affatto casuale ma risponde al preciso intento dei Costituenti di evidenziarne, anche testualmente l’importanza, fugando al contempo ogni possibile dubbio circa la loro immediata efficacia ed applicabilità.

Tra i principi fondamentali figura anche l’articolo 9, che testualmente recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

2. La genesi della norma

L’inclusione di tale previsione in Costituzione, per di più tra i principi fondamentali, si deve a due illustri esponenti quali Aldo Moro e Concetto Marchesi, che sfidarono la ritrosia di gran parte dei Costituenti, secondo i quali la norma era del tutto superflua e avrebbe solo appesantito inutilmente la Carta fondamentale.

Così ad esempio Edoardo Clerici, secondo cui “… la Costituzione afferma cose che possono essere controverse […] non cose che sono pacifiche. Altrimenti, se dovessimo mettere nella Costituzione tutto ciò che è evidente e pacifico, per quale ragione non dovremmo dire che la lingua che usiamo è la lingua italiana, e che usiamo le lettere latine e le cifre arabe?”.

Dello stesso avviso Paolo Rossi, secondo cui “L’arte e la scienza sono la libertà stessa nella sua forma più alta: dire che arte e scienza sono libere è come dire che la libertà è libera!”, un enunciato appunto inutile, ovvio e ridondante.

Fu dunque soprattutto grazie alla determinazione di Marchesi se la norma vide la luce: egli obiettò infatti che se è vero che arte e scienza sono mere astrazioni, per cui non sono di per sé né libere né serve, è altrettanto vero che le manifestazioni del genio artistico e le teorie scientifiche possono essere oggetto di censura e come tali vanno tutelate.

Le parole di Marchesi riportarono alla mente dei Costituenti la tristemente nota e ancor ben viva stretta repressiva su arte e cultura operata dalla dittatura fascista, rinnovando il monito affinché quanto accaduto non potesse nè dovesse più ripetersi.

3. La ratio della norma

La previsione contenuta all’art. 9 consente di definire quella italiana una “Costituzione culturale”, che indubbiamente colpisce per la sua modernità: nella neo nata Repubblica, all’indomani di ben due conflitti mondiali e con un livello di analfabetismo che coinvolgeva almeno 6 milioni di cittadini, i padri e le madri Costituenti scelsero infatti di investire su cultura e progresso scientifico, addirittura annoverandoli tra i principi fondamentali. Ciò perchè era consapevoli della loro importanza come strumenti di emancipazione da logiche impositive arbitrarie, oltre che valido “motore” di crescita per la rinascita socio-economica del Paese.

3.1. L’importanza della cultura

I principali dizionari definiscono “cultura” il patrimonio di cognizioni ed esperienze acquisite da un individuo tramite lo studio e la vita di relazione, utili sia alla sua formazione sul piano intellettuale e morale che a conferirgli maggior consapevolezza circa il suo ruolo all’interno della società.

Sull’importanza della cultura si sono espressi i più illustri autori; uno tra tanti Pasolini, che definì istruzione e cultura le sole armi in grado di difendere il cittadino contro la società dei consumi.

Dell’importanza della cultura erano ben consci anche i Costituenti, soprattutto in ragione del contesto storico-politico in cui vide la luce la Carta fondamentale ed il livello di “appiattimento” culturale in cui la dittatura fascista aveva relegato l’Italia.

L’ignoranza delle masse è, da sempre, una delle condizioni primarie per la nascita di regimi dittatoriali, poichè fintanto che il popolo è privo di cultura, di senso critico e di strumenti per analizzare la realtà per conto proprio è anche facilmente manipolabile.

Di qui la volontà di investire sulla promozione e lo sviluppo scientifico e culturale, elevandoli addirittura a principi fondamentali dello Stato, in modo da consegnare alle future generazioni uno strumento potentissimo e universalmente valido per contrastare imposizioni illogiche e arbitrarie.

Emblematiche, ancora una volta, le parole pronunciate da Marchesi durante i lavori della Costituente.

Egli affermò infatti che “Bisogna diffondere il libro sotto qualunque forma, non importa se catechismo o libro di novelle. Bisogna educare il popolo, e l’alfabeto è lo strumento fondamentale non solo agli effetti della elevazione spirituale e politica della gente, ma anche nei riguardi della produzione economica del Paese. Con biblioteche circolanti in tutti i villaggi, con insegnanti volanti nelle campagne, si potrà ottenere l’invocata diffusione della cultura popolare.”

4. L’articolo 9 della Costituzione: la spiegazione

Analizzando la norma più nel dettaglio colpisce innanzitutto il riferimento alla “Repubblica” anzichè allo “Stato”, scelta lessicale presente anche in altri articoli della Costituzione (ad esempio l’art. 4).

Un termine niente affatto casuale ma utilizzato con lo specifico intento di prevenire un’eventuale, eccessiva ingerenza regionale in materia. I Costituenti temevano infatti che con l’avvento delle Regioni e le possibili rivendicazioni avanzate da queste ultime in vari ambiti, i principali musei e gallerie d’Italia, così come i grandi centri di scavo e restauro venissero sottratti al controllo nazionale e posti sotto l’iniziativa locale.

Una preoccupazione condivisa anche dall’Accademia Nazionale dei Lincei, secondo cui il passaggio all’Ente Regione avrebbe reso inefficiente tutta l’organizzazione delle Belle Arti, fino ad allora garante dell’elevata qualità di conservazione di monumenti ed opere e della diffusione della coscienza artistica nel popolo italiano.

A ben vedere, il riferimento alla “Repubblica” può assumere però anche un significato ulteriore e ben più profondo: è infatti possibile leggervi la volontà di coinvolgere non solo i pubblici poteri ma anche l’intera collettività nella promozione e nello sviluppo dei settori menzionati, all’insegna di una tutela attiva del patrimonio storico, artistico, naturalistico e culturale.

4.1. Promozione e tutela

La norma opera su due direttrici distinte e ben definite: da un lato la promozione della cultura e dello sviluppo tecnico e scientifico; dall’altro, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.

La promozione è espressamente riferita alla cultura e alla ricerca tecnica e scientifica, a sottolineare l’impegno attivo assunto dalla Repubblica (nell’ampia accezione suindicata) nei settori in questione.

Un intervento di impulso e valorizzazione, quindi, che tuttavia deve avvenire nel rispetto dell’art. 33 della Costituzione, garantendo cioè che cultura e ricerca siano libere dall’ingerenza dei pubblici poteri: solo in tal modo il progresso potrà infatti operare in chiave personalistica, consentendo la realizzazione e lo sviluppo della persona umana anche in questi ambiti.

Quando si parla di tutela si fa invece esplicito riferimento al paesaggio (e dunque, per estensione all’ambiente, come vedremo più oltre) e al patrimonio storico e artistico della Nazione, che la Repubblica è chiamata a valorizzare e preservare.

4.2. La spinta ecologista: dalla tutela del paesaggio alla tutela ambientale

La tutela paesaggistica, affermata all’art. 9, ha assunto una portata via via sempre più ampia, in linea con l’evoluzione del termine stesso.

L’idea di paesaggio nota ai Costituenti era quella coniata da Benedetto Croce, che lo identificava con “la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari”.

Per Croce il paesaggio era quindi l’insieme delle bellezze naturali del Paese, sede dell’identità storica e culturale della comunità e come tale meritevole di protezione.

Proprio a Croce si deve la legge n. 778/1922 “per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”, legge che rifacendosi ai previgenti regolamenti borbonici garantiva, in modo del tutto inedito, la possibilità di preservare vedute o scorci carichi di bellezza e di storia.

La “legge Croce” non teneva però conto del dinamismo, cioè dell’impatto (attivo e spesso distruttivo) dell’uomo sul paesaggio, contro il quale non era prevista alcun tipo di tutela.

Solo all’inizio degli anni ’70, con l’avvento della spinta ecologista, la nozione di paesaggio andò progressivamente ampliandosi, abbracciando anche quella di ambiente.

L’assenza di espliciti riferimenti costituzionali in materia ambientale non rappresentò tuttavia un ostacolo in tal senso, né portò ad una riscrittura della Carta Costituzionale.

A partire dagli anni ’70 l’ambiente divenne infatti un tema ricorrente nelle pronunce della Corte Costituzionale, che ricavò la corrispondente nozione in via interpretativa, coniugando l’art. 9 con i riferimenti contenuti agli artt. 3241 e 44 della Costituzione.

Il vero salto di qualità lo segnò però la giurisprudenza della Corte di fine anni ’80, identificando l’ambiente come bene unitario e “valore primario ed assoluto” (si vedano, tra le tante, Corte Cost. sent. n. 641/1987; sent. n. 210/1987; ord. n. 195/1990).

4.3. Cosa significa tutelare il paesaggio?

Oggi, la tutela del paesaggio affermata all’art. 9 è quindi anche tutela ambientale e la riforma del Titolo V della Carta sembra averla fortemente sbilanciata verso questa seconda prospettiva.

L’attuale formulazione dell’art. 117 Cost. pone infatti la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” tra i temi oggetto di potestà legislativa concorrente Stato-Regioni, riservando allo Stato quella esclusiva in tema di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

Si tratta di una tutela che, quantomeno sulla carta, è attuale ma anche proiettata verso il futuro, in un coinvolgimento corale di collettività e pubblici poteri.

Tutela, quindi, che è sinonimo di senso civico, rispetto del paesaggio, dell’ambiente e delle sue bellezze e a cui è chiamato sia il singolo – sempre più incurante dell’impatto che ha sul territorio – sia la classe politica, con interventi di sensibilizzazione, prevenzione e valorizzazione, attuando politiche edilizie consapevoli e rispettose del valore del territorio, a beneficio della collettività e delle future generazioni.

5. In che modo la Repubblica promuove la cultura e tutela il paesaggio?

Alla domanda potrebbe banalmente rispondersi che sarebbe sufficiente dare attuazione all’art. 9 della Costituzione in modo serio e consapevole.

Questo perchè la norma fino ad oggi è rimasta per lo più un mero tentativo, una sorta di monito perenne, anzichè un “motore” per l’operato della politica italiana.

Nel 1975, a seguito della “spinta” ambientalista, è stato istituito il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, divenuto nel 2013 MIBACT – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Un Ministero che avrebbe ben potuto forgiarsi del riferimento all’art. 9 della Carta Costituzionale ma la cui legge istitutiva non vi fa invece nessun accenno, e che peraltro risulta carente anche di una struttura e un programma precisi.

Ciò ha portato l’emerito giurista e Presidente delle Corte Costituzionale Sabino Cassese a definirlo “una scatola vuota”, mentre l’esperto di restauro e beni culturali, nonché direttore dell’Istituto Centrale di Restauro, Giovanni Urbani, ne ha parlato addirittura in termini di “un buco nero capace di inghiottire tutto e tutto nullificare in vuote forme verbali”.

Parole durissime che però ben rendono l’idea di un apparato del tutto inadeguato nel dare attuazione al principio costituzionale (che peraltro nemmeno menziona), consegnando la promozione della cultura e la tutela del paesaggio ad una politica sostanzialmente inadempiente, sia a livello centrale che territoriale.

Non è un caso se, nello stesso anno di nascita del Ministero, la Regione Sicilia ha ottenuto la piena devoluzione dei Beni Culturali (chiesta addirittura a partire dal lontano 1946), decretando così la rinuncia da parte della Repubblica ad un’ingente porzione del patrimonio culturale e ambientale.

5.1. Art. 9 Cost. ed emergenza sanitaria

La mancata attuazione dell’art. 9 (anche) sul versante culturale si avverte soprattutto oggi, in tempo di pandemia, dove la cultura è uno dei settori più colpiti dalla crisi economica e l’emergenza ambientale un tema non più rinviabile.

Emblematiche le parole dell’archeologo e storico dell’arte, nonché direttore della Scuola Normale di Pisa, Salvatore Settis, che in un articolo pubblicato su “Il Faro” lo scorso 26 aprile, scrisse: “Oggi abbiamo il cuore spezzato per i nostri simili che continuano a morire e per l’insidia che ci minaccia, ma dobbiamo averlo anche per il tramonto delle istituzioni culturali già da tempo marginalizzate da un cieco economicismo, a cui è ora di reagire prima che sia troppo tardi. Vogliono convincerci che i musei o i teatri debbano reggersi sugli introiti di cassa: e adesso che non ce ne sono? Come si farà ricerca a biblioteche chiuse? Che pensieri innescherà nei giovani la scuola, se immiserita a contatti virtuali via web? Se vogliamo davvero pensare a una seria ripartenza, cominciamo da domande di fondo come queste. La scuola deve educare i cittadini del futuro a pensare criticamente o allevare ossequienti esecutori dell’ordine costituito? Il paesaggio è vivaio comune di bellezza e di memorie o terreno di caccia per speculatori edilizi?”

L’auspicio è dunque quello di una riforma organica che, partendo dall’art. 9 della Costituzione, lo tenga ben a mente, dandogli finalmente attuazione: solo in tal modo la promozione della cultura e la tutela del paesaggio saranno veramente effettive.

6. Come si promuove la ricerca scientifica e tecnica?

Nel corso degli anni l’Italia ha visto drammaticamente ridotti gli stanziamenti in materia di ricerca, salvo poi trovarsi di fronte a catastrofi di portata mondiale, come la recente pandemia, che hanno evidenziato una necessaria, urgente inversione di rotta.

A ciò si aggiunge l’altissima percentuale di giovani che ogni anno, dopo il completamento di brillanti percorsi universitari in Italia, scelgono di lavorare all’estero a causa della complessa e farraginosa macchina del sistema italiano, molto poco meritocratico e remunerativo, e dei ricercatori che invece scelgono di rimanere in Italia, spesso con incarichi precari e retribuzioni del tutto inadeguate.

La promozione della ricerca tecnica e scientifica dovrebbe quindi tradursi nello stanziamento di risorse congrue, erogate in modo continuativo ed efficiente, nella semplificazione dei bandi e delle procedure amministrative e contabili, nello snellimento degli iter burocratici e nella valorizzazione dei giovani talenti presenti sul territorio.

6.1. L’Agenzia Nazionale per la Ricerca

Allo scopo di razionalizzare le procedure di finanziamento e gestire al meglio le risorse disponibili per i vari progetti di ricerca scientifica, la legge di bilancio 2020 ha istituito l’Agenzia Nazionale per la Ricerca (ANR).

Un’iniziativa varata in risposta alla richiesta, da parte della comunità scientifica, di un ente autonomo e indipendente che coordinasse i vari progetti di ricerca e garantisse certezza e regolarità dei bandi, assicurando uniformità di criteri nelle procedure di assegnazione delle risorse e nella valutazione di progetti e finanziamenti.

Non sono però mancate le perplessità, legate sia alla composizione dell’Agenzia – il cui comitato direttivo è di nomina politica – sia alla sua effettiva utilità, posto che la valutazione sulla qualità e l’attività degli Enti di ricerca, così come quelle di efficacia ed efficienza dei programmi pubblici di finanziamento, è già svolta dall’Agenzia Nazionale di Valutazione (ANV), istituita nel 2006.

fonte: Altalex