Andrea Venanzoni
Alcuni anni fa, il teologo Jonathan Malesic lamentò dalle pagine del The New Republic l’utilizzo, in metafora ma sempre più assorbente, del termine ‘amore’.
Riferito a qualunque ambito delle relazioni e delle attività umane, sarebbe andato incontro a una inflazione concettuale che ne avrebbe dimidiato il senso profondo. Proprio per questo, il nuovo libro di Moira Weigel ‘L’amore è lavoro’, edito in questi giorni dalla LUISS University Press, potrebbe apparire in linea con un trend montante, incistato nel cuore della massa nebulosa del voler trasformare tutto in ‘amore’.
In realtà questo viaggio storico e sociologico nel ventre della rivoluzione digitale promette e realizza esattamente l’opposto: ‘economia e relazioni dalla rivoluzione industriale alle app di dating’, il sottotitolo del libro riporta in equilibrio il campo di significato del termine e indirizza l’attenzione verso il prisma di un amore non più riguardato come metafora di buoni sentimenti ma, più pragmaticamente, come ellissi di una professione in senso quasi weberiano. D’altronde sono mirabili le pagine che la Weigel dedica alle funzioni di monetizzazione legate allo scorrere del tempo, partendo dal celebre insegnamento di Benjamin Franklin secondo cui ‘il tempo è denaro’: l’organizzazione delle dinamiche di lavoro e dei mezzi di produzione è uno dei dati salienti della rivoluzione industriale e delle moderne dinamiche di scienza dell’organizzazione, e si pensi in questo senso all’archetipico orologio di Taylor e della sua funzionalità di fattore di organizzazione della produzione.
E la Weigel ricorda come, prima di Franklin, a coniare la connessione tra guadagno economico e scorrere del tempo sia stata proprio una donna.
La donna, al centro della rivoluzione industriale, tra corteggiamenti e mimesi di comportamenti rituali di classi e gruppi etnici, nel calderone gorgogliante dell’America dell’ottocento, è figura prismatica, che tenta titanicamente di spezzare le catene del baccello dentro cui è stata relegata.
In questo, il volume ricorda la metodologia scelta da Laurie L. Evans nella sua storia femminile di Internet, ‘Connessione’, volume pubblicato anche esso dalla LUISS University Press.
Nella lotta per la emancipazione, si registra un cambiamento epocale di paradigma, in cui la vita non è più coadiuvata dalla tecnica ma è oleograficamente replicata nel suo scorrere e nei suoi riti dal digitale.
Le forme di dating online, i siti, le applicazioni digitalizzano pulsioni, psicosi collettive, tecniche, dati di gruppi religiosi, etnici, sperimentati nel corso storico dell’evoluzione umana.
Tutto ciò che la donna ha dovuto mettere a frutto in società, dalla osservazione dei comportamenti delle casalinghe nei negozi di profumi a quelli dei corteggiatori, dalle dinamiche di potere e di ricchezza e nel loro dispiegarsi nelle fasi di conquista emotiva e sessuale, si è poi trasfuso nei reami azzurrognoli del silicio. Applicazioni per Sugar Babies e Daddies non fanno altro che strutturalmente riproporre l’immagine archetipica dell’uomo ricco, di successo, che vuole circondarsi di una bellezza prorompente. Molte delle pagine della Weigel sono poi dedicate alla questione di genere e a quella razziale, allo sviluppo della comunità omosessuale, a come e quanto la controcultura abbia ipocritamente presentato una donna fisiologicamente disponibile, nell’epoca del tirannico ‘amore libero’, quei pulsanti e incandescenti giorni in cui una donna per dimostrarsi davvero consapevole, emancipata e libera doveva aderire a uno schema di scambismo, orgia, poliamore, pur se magari non interessata a tutto ciò.
Stesso a dirsi per l’esasperato machismo dei gruppi rivoluzionari afro-americani. Il dating online ha nel bene e nel male somatizzato l’evoluzione storica con le sue intrinseche contraddizioni, ma il suo successo è stato dettato dagli elementi tipologici del digitale: accelerazione ed is intermediazione delle relazioni, abbattimento delle barriere e dei limiti geografici, scardinamento delle incrostazioni sociali dei corteggiamenti.
Fonte: Riformista