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L'altarino del baby boss rimosso perché simbolo del potere del clan

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AGI – La trasformazione illecita di una edicola votiva di carattere religiosa a Napoli all’interno dell’androne di un palazzo in vico San Filippo e Giacomo, precisamente quello al civico 26, che in origine era curata da tutti gli inquilini di quello stabile, non era proprio l’omaggio al baby boss morto, quanto piuttosto la riaffermazione sul territorio della potenza della clan nonostante la sua morte.

Quell’altarino a Emanuele Sibillo rimosso dai carabinieri ieri, durante l’esecuzione delle misure cautelari emesse dal gip Luana Romano a carico di 21 indagati della sua cosca, nota come ‘paranza dei bambini, secondo quanto ricostruisce AGI, era frutto di una trasformazione cominciata, proprio a ridosso del 2 luglio 2015, giorno in cui, in un agguato voluto dal gruppo rivale dei Buonerba, che abitano in un vicolo lì vicino, il ras venne ucciso non ancora ventenne.

La trasformazione

In quell’edificio di vico San Filippo e Giacomo, infatti, abitano i suoi genitori e altri appartenenti alla famiglia, che, sin da subito, decisero di modificare l’edicola con la Madonna e le immagini dei defunti parenti dei condomini in un altare in onore del ragazzo, realizzando una struttura in alluminio chiusa a chiave, con le iniziali ripetute E e S, collocando all’interno, su un piedistallo, un busto che lo raffigurava e l’urna con le sue ceneri, immediatamente sotto l’effige della Madonna. La struttura in alluminio e vetro era completata con tende bianche trattenute da volant e adornata con vasi di fiori all’interno e all’esterno. 

L’informativa dei carabinieri che riguarda questo manufatto accenna anche a come fosse diventato luogo di pellegrinaggio da parte di affilati o contigui al clan, ma anche di curiosi, compresi gli studenti di un vicino istituto superiore. Naturalmente, l’altarino era stato realizzato in assenza di qualsiasi autorizzazione amministrativa e da parte degli altri condomini. In effetti, nemmeno un assemblea dei proprietari degli immobili nel palazzo avrebbe potuto permettere questa trasformazione, perché il fabbricato è all’interno di un centro storico tutelato e c’è una norma che impedisce all’interno e all’esterno di edilizia di base preottocentesca la modifica di prospetti, preferendo la conservazione degli spazi liberi.

Nessuna denuncia

L’iniziativa di questa trasformazione è di Anna Ingenito e Vincenzo Sibillo, padre e madre di Emanuele, indagati con altre dieci persone per questo, con la contestazione di reati che vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso alla estorsione, tentata e consumata, alla violenza privata. I due, insieme ad altri componenti della famiglia, hanno impedito ai condomini l’accesso e l’uso dello spazio; ma, del resto, i residenti del palazzo non hanno mai sporto denuncia. Salvo poi, almeno tre di loro, confermare ai carabinieri che quella antica edicola, che era in origine protetta solo da un cancelletto e accessibile a tutti, era stata profondamente modificata proprio nel luglio 2015.

I racconti

“La cappella è sempre esistita – raccontava una di loro – ma era piccola e c’era il quadro della Madonna e un piccolo cancello di ferro. Qualcuno in passato aveva l’usanza di mettere la foto dei suoi defunti e qualche volta fiori in onore della Madonna”. Un altro precisa che sotto la Madonna “era stata ricavata una piccola nicchia per esporre queste foto, ma che tutto questo era stato cambiato nel 2015”. Quello spazio condominiale era stato trasformato ad uso esclusivo della famiglia Sibillo e nessuno aveva protestato, nemmeno per il fatto che i consumi di energia elettrica per le lampade che illuminavano l’altarino erano a carico dell’intero condominio, nonostante i Sibillo non siano proprietari dell’appartamento in cui risiedono e quindi non hanno diritto sulle quote millesimali delle parti comuni dell’immobile. C’è chi per scusarsi del mancato interesse rispetto alla trasformazione dell’edicola dice anche che essendo testimone di Geova non aveva nessuna motivazione per tentare di ripristinare l’antica vocazione religiosa della cappelletta o per chiedere una chiave. Anzi, aggiunge una di queste testimonianze, nessuno si è mai lamentato della trasformazione della cappella nonostante lavori sono stati fatti di iniziativa dalla sola famiglia Sibillo. “La signora Anna si limitò a comunicarci che avrebbe sistemato la cappella a proprie spese senza però dire che l’avrebbe dedicata al figlio”, dice un’altra delle persone sentite dai militari dell’Arma.

Simbolo della forza del clan

Per gli inquirenti, dunque, la famiglia del baby boss ha attuato un “sopruso” con “una condotta estorsiva con modalità tipicamente mafiose“, determinando “una condizione di assoggettamento e di omertà tale da rendere superfluo qualsiasi avvertimento mafioso”, esplicitano nel decreto i pm Urbano Mozzillo e Celeste Carrano. Qualche condomino avanzò all’amministratore “timide rimostranze” relative alle spese per i costi di illuminazione della cappella, ma questi le minimizzò, mostrando “tutto il timore e pretendere nella sua qualità di rappresentante del condominio il pagamento dalla famiglia Sibillo”.

“Tutte condotte segno tangibile della forza di intimidazione promanante dal clan” che ha costretto i condomini a tollerare non solo la costruzione dell’esistenza del manufatto ma soprattutto  una “perdurante tangibile evocazione della presenza del clan nella figura di Emanuele Sibillo, in quel territorio diventato nel tempo anche meta di pellegrinaggio”. L’edicola votiva trasformata in un’altarino dedicato al culto del ras “ha ben poco di religioso, è un simulacro di potere camorristico, chiaro segnale di marcatura territoriale voluto dal clan che l’ha eretto. Solo questa è la reale motivazione che ha spinto gli indagati a realizzare l’appariscente cappella in un luogo tanto improprio, non per dimostrare sentimenti di pietà per un defunto, quanto piuttosto per far sentire la costanza presenza del sodalizio criminale e la sua forza di intimidazione, associandola peraltro il simbolo religioso dell’immagine della Madonna”.

Le dichiarazioni delle vittime

A riprova di questa importanza simbolica sono proprio le dichiarazioni di alcune vittime di estorsione che raccontano come fossero convocate dalla cosca, nel momento in cui formulava la sua richiesta di ‘pizzo‘, proprio in quel luogo, indicato con l’espressione “palazzo della buonanima” per rendere inequivocabilmente riferibile al clan la tangente che erano costretti a versare. 

Vetrate, tendaggi, fiori finti e tappeti, busto del boss con i suoi occhiali e relativo piedistallo, lampade fotografie, tutto è stato sequestrato e sarà custodito secondo legge. 

Source: agi


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