di Asia Corsano
L’allargamento dell’Unione Europea nella regione dei Balcani Occidentali è un argomento da anni al centro dell’attenzione di Bruxelles, in quanto la stabilizzazione di questa turbolenta area d’Europa, caratterizzata da conflitti, tensioni etniche e rivalità intrastatali, è necessaria per garantire la sicurezza dell’Unione e per evitare influenze esterne. Tuttavia, nonostante l’UE abbia avviato il suo primo quadro per le relazioni tra l’Unione e la regione già nel 1999, questo processo sembra ancora lontano dal potersi realizzare.
L’inizio del processo di allargamento
Nel 1999 l’UE ha avviato il Processo di Stabilizzazione e di Associazione (PSA), ossia un quadro per le relazioni tra l’UE e i Paesi nella regione, basato su relazioni contrattuali bilaterali, assistenza finanziaria, dialogo politico, relazioni commerciali e cooperazione regionale. Le relazioni contrattuali si concretizzano poi negli Accordi di Stabilizzazione e di Associazione (ASA), che prevedono la cooperazione politica ed economica, nonché la creazione di zone di libero scambio con i paesi interessati. Ogni ASA istituisce strutture di cooperazione permanenti sulla base dei principi democratici comuni, dei diritti umani e dello Stato di diritto. Nel 2003 il Consiglio europeo di Salonicco ha ribadito che tutti i paesi del PSA erano potenziali candidati all’adesione all’UE, prospettiva in seguito ribadita nella strategia della Commissione sui Balcani occidentali del febbraio 2018 e nelle dichiarazioni a seguito dei successivi vertici UE-Balcani occidentali.
Sempre nel 1999, l’UE ha avviato il patto di stabilità, una più ampia iniziativa che coinvolge tutti i principali attori internazionali, poi sostituito nel 2008 dal Consiglio di cooperazione regionale.
Cosa significano i Balcani Occidentali per l’UE?
L’area balcanica costituisce un importante crocevia tra l’Europa e l’Asia, che la rende un territorio di grande rilevanza strategica e geopolitica: questa regione rappresenta infatti storicamente un’area di interesse sia per la Russia e che per la Turchia, ed in tempi recenti è diventata rilevante anche nel quadro della Belt and Road Initiative – un piano di investimenti infrastrutturali terrestri e marittimi per favorire il commercio tra la Cina e il resto dell’Eurasia. Integrare i Balcani occidentali significherebbe per l’UE un modo per contenere la penetrazione di queste potenze nell’area, specialmente della Federazione Russa, a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina, e della Cina, che tenta di rafforzare la propria posizione nel mercato europeo.
Un altro aspetto di rilievo risiede nella capacità economica di questi Stati: si tratta di un’area ricca di materie prime, ma quasi completamente priva di un apparato industriale e di servizi in grado di generare nuova ricchezza, a seguito del depauperamento del suo sistema industriale dovuto alle guerre degli anni ’90. L’adesione al progetto europeo significherebbe un vantaggio economico non solo per l’Unione, ma anche per la regione stessa.
Infine, la tormentata storia dei Balcani, e le guerre degli anni Novanta seguite alla dissoluzione della Jugoslavia, rendono la regione ancora instabile a livello politico (come testimoniato dalla situazione, ancora irrisolta, tra Serbia e Kosovo). L’allargamento permetterebbe di stabilizzare la regione, prevenire lo scoppio di nuove crisi,e consolidare i valori di pace, democrazia, integrazione economica e società aperta che costituiscono le fondamenta dell’Unione e dell’integrazione.
Gli ostacoli al processo di allargamento dell’Unione Europea
Le ambizioni dell’UE si scontrano, però, con delle sfide pratiche e politiche che ostacolano da anni l’allargamento. Per prima cosa, per poter aderire all’Unione, i candidati devono soddisfare i cosiddetti “criteri di Copenhagen”, secondo cui un aspirante stato membro deve avere solide istituzioni democratiche solide, un’economia di mercato funzionante in grado di competere nel mercato unico europeo, e la capacità giuridica di accettare gli obblighi derivanti dal diritto europeo. La storia recente dei Balcani occidentali suggerisce che, sotto questo profilo, i paesi della regione hanno ancora della strada da fare per adempiere pienamente a questi criteri. Due esempi sono la Bosnia, che si trova ancora ad affrontare una situazione interna piuttosto instabile e problematica, e la Macedonia del Nord, dove sono stati riscontrati problemi di corruzione e rispetto dei diritti umani.
In secondo luogo, l’UE si trova a far i conti con degli ostacoli all’interno dell’Unione stessa, in quanto l’adesione di un nuovo Stato richiede un voto unanime da parte di tutti gli Stati Membri, ma al momento diversi Paesi hanno delle riserve sull’eventuale allargamento dei sei candidati. È il caso della Bulgaria, che pone come condizione all’ingresso della Macedonia del Nord il riconoscimento da parte del governo di Skopje dello status della lingua macedone come dialetto della lingua bulgara – una controversia che cela anche radici politiche ed identitarie. Allo stesso modo Spagna, Cipro, Grecia, Romania e Slovacchia non riconoscono l’indipendenza kosovara per timore di legittimare aspirazioni secessioniste nel proprio territorio, come in Catalogna o Cipro del Nord. A questo si aggiunge che i prospetti di adesione di Kosovo e Serbia sono subordinati al processo di normalizzazione dei loro rapporti – che, come testimoniato dai recenti scontri, sono lontani da una soluzione.
L’allargamento dell’Unione Europea e l’opinione pubblica
Le difficoltà riscontrate negli anni hanno diffuso, nell’opinione pubblica balcanica, un senso di frustrazione e disillusione verso le prospettive di allargamento: il Barometro dei Balcani – l’indagine annuale sull’opinione pubblica nei sei Paesi dei Balcani occidentali condotto dal Consiglio di cooperazione regionale – ha infatti evidenziato che solo il 22% degli intervistati ritiene che l’allargamento possa avvenire entro il 2030. Tuttavia, nonostante le riserve sulla lunghezza dei negoziati, questo non ha inciso sull’interesse all’adesione in generale: sempre secondo il barometro, tre quarti dei cittadini dei Balcani occidentali sostiene la cooperazione regionale perché la considera positiva per le rispettive economie, e nel 2023 il 59% della popolazione ha confermato il sostegno verso l’integrazione UE, anche se si tratta del 3% in meno rispetto al 2021.
Nonostante la popolazione sia generalmente a favore dell’integrazione regionale, non si può dire lo stesso invece della classe politica, in quanto risulta un’ulteriore divisione tra governi che sostengono ancora apertamente l’allargamento, ed altri invece che si dimostrano più incerti. Tra coloro che evidenziano il loro appoggio all’UE ci sono Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro, che nel marzo 2023 hanno lanciato l’iniziativa Western Balkan Quad – 100% compliance with Eu foreign policy- in cui i quattro si impegnano nell’allineamento con la politica estera dell’UE nei confronti della Federazione Russa, tramite il coordinamento delle loro politiche e migliori pratiche. Il caso contrario è invece rappresentato dalla Serbia, che, vista la sua vicinanza alla Russia, opta per una politica di non allineamento e un maggiore distacco verso l’UE.
Il posizionamento internazionale della Serbia è anche il riflesso della sua opinione pubblica: secondo uno studio condotto dallo European Council of Foreign Relations (EFCR), il 54% dei serbi vede la Russia come un alleato e il 41% come un partner necessario, mentre soltanto l’11% ha la stessa opinione sull’Unione Europea, in quanto è largamente diffusa l’idea che il sistema politico dell’UE sia in gran parte disfunzionale e la risposta alla pandemia sia stata inefficace. Lo stesso sondaggio rivela che un terzo dei serbi ritiene che l’adesione all’UE non avverrà mai. L’euroscetticismo generale nella popolazione serba è un riflesso dell’arretramento democratico che sta subendo il Paese: è caratterizzato da corruzione ad alto livello, e il suo ambiente mediatico è in peggioramento. Secondo gli analisti, tra luglio 2020 e la fine di giugno 2021, i rappresentanti della maggioranza al potere hanno ricevuto fino al 93 per cento del tempo di trasmissione televisiva sulla programmazione che copre attori politici, mentre l’opposizione era presente nel restante 7 per cento del tempo.
La strada dei Balcani Occidentali verso l’Unione Europea, dunque, è ancora lunga, rendendo necessario per i paesi dell’Unione trovare delle soluzioni alle contraddizioni che hanno finora penalizzato il processo di integrazione e stabilire una strategia più chiara a riguardo.
Fonte: orizzonti politici