Hubert Prolongeau, Le Monde, Francia
È una delle scene più incredibili del documentario I miei anni Super 8 della scrittrice francese Annie Ernaux, premio Nobel per la letteratura. È la scena di un viaggio organizzato in Albania negli anni sessanta, quando la dittatura fece sprofondare il paese in un isolamento totale. C’era un’atmosfera di grande tristezza ed era impossibile andare in giro da soli.
Oggi l’Albania comincia a pensare al turismo, nella speranza di soffiare alla Croazia il titolo di paradiso dei Balcani. Ma quali sono i suoi punti di forza? Una capitale in cui si moltiplicano le opere di street art, le città ricche di cultura del sud, le spiagge dell’Adriatico e montagne che offrono magnifiche escursioni.
Sono le Alpi Dinariche, ma il termine alpi è improprio perché non c’è un legame geografico tra la catena montuosa in cui spicca il monte Bianco e questo massiccio montuoso calcareo che deve il suo nome al monte Dinara. Se dovessimo fare un confronto, questa catena montuosa, che si estende per duecentomila chilometri quadrati e tocca sette paesi, ricorda più i Pirenei. Il Maja e Jezercës, che con i suoi 2.694 metri è il punto più alto, si trova in Albania, che per la bellezza dei paesaggi e il basso costo della vita attira un numero crescente di turisti. La valle di Valbona, che è un parco nazionale e si estende per ottomila ettari, è una delle zone più frequentate. Ci sono molti escursionisti europei, ma anche indiani e statunitensi. “Sono qui perché adoro la montagna e le Alpi sono troppo care”, spiega una studente francese.
Dalla cittadina di Valbona si raggiunge Theth, il villaggio alpino meglio conservato della regione. La salita verso il valico di Valbona (1.759 metri) è lunga. In autunno il rosso acceso degli aceri dà al paesaggio un’atmosfera da estate di San Martino, sopra di noi ci sono larghe pareti grigie e bianche di calcare dal profilo leggermente ondulato. Il sentiero s’inerpica tra noccioli, castagni, meli selvatici e alberi di hormoq, una varietà di conifera diffusa nell’Europa orientale. Ai bordi del sentiero crescono fiordalisi, fragole di bosco e melograni.
La fauna è più lontana, ma è meglio perché in queste foreste vivono ancora lupi, orsi e linci. Il fiume ospita la trota marmorata, un pesce raro. Dalla cima del colle si intravedono quelle che sono conosciute come montagne maledette: le cime Bjeshkët e Nemuna. Sono chiamate così a causa di un’antica leggenda del quattrocento. Una donna e i suoi due figli fuggirono dall’invasione turca scalando le montagne. I bambini morirono di sete e la madre maledì il luogo.
Il paesaggio è circondato da prati verdi in cui pascolano greggi di capre. Negli ultimi anni il turismo sta cambiando la regione. Dardan Gadbari, quarant’anni anni, beve un caffè in uno dei piccoli chioschi aperti lungo la strada e racconta che sei mesi all’anno si dedica alla sua fattoria a Valbona. Ha dodici cavalli, settanta capre e 150 polli, e coltiva patate e mais che vende al mercato e ai ristoranti. Il resto del tempo fa il turista. Anche Uraka, 76 anni, rimane sei mesi in montagna con il suo gregge. Da quando aveva dodici anni lo conduce da solo, camminando sei ore al giorno per raggiungere i pascoli migliori. Con lui c’è sempre un cane pastore.
Il sentiero arriva a Theth, in cui oggi quasi una casa su due è una pensione. Nel centro del villaggio c’è una chiesa cattolica che durante l’epoca comunista fu trasformata in una scuola. Non lontano si può vedere ancora una torre della riconciliazione, costruita quattro secoli fa. Ci riporta ai tempi del kanun, il codice di diritto consuetudinario molto diffuso fino al novecento. Nella torre era rinchiuso chi doveva essere protetto da una vendetta familiare, la gjakmarrja, che poteva coinvolgere anche parenti molto lontani. Lo scrittore Ismail Kadare l’ha raccontato in Aprile spezzato (La nave di Teseo 2019), uno dei suoi romanzi più famosi.
Il guardiano del cimitero, Kole Pjeter Piska, 76 anni, giacca grigia, pantaloni neri e cappello bianco, trascina una gamba a causa di un proiettile che l’ha colpito durante una di queste vendette. Nella piccola chiesa ama tirare fuori il suo çiftelia, una sorta di liuto locale a due corde, e cantare canzoni che evocano i ricordi di una vita passata nella nebbia della dittatura.
Piska lavorava in una miniera di cromo di una valle vicina ed è anche stato in carcere per una rapina in banca (lui dice che l’ha fatto per dare dei soldi ai poveri). Dopo undici anni è stato graziato dal dittatore Enver Hoxha.
In un’altra escursione si attraversa la valle di Theth, si risale lungo il fiume Valbona, si passa vicino alle cascate di Grunas e si arriva al Blue eye, il bacino in cui finisce l’acqua limpida e fredda. Ma il luogo più bello è il canyon scavato nella roccia dall’acqua, un paesaggio tortuoso scolpito nel corso dei secoli da un fiume che a seconda delle stagioni scorre solo sul fondo del canyon o lo ricopre quasi interamente. In basso il villaggio di Nderlyse offre piacevoli soste.
Da Theth si può prendere un sentiero verso il villaggio di Vusanje, in Montenegro, in cui molte case sono in costruzione o si stanno ingrandendo, e dove si possono trovare numerose pensioni. L’accoglienza è molto piacevole. Moonlight, una delle pensioni, offre molte cose da mangiare. La varietà non è la virtù principale della cucina albanese: a ogni pasto c’è l’immancabile insalata di pomodori e cetrioli, oltre al börek, una torta salata agli spinaci. La carne è molto buona e servita in porzioni abbondanti.
Per arrivare a Vusanje si superano due colli: Peja e Prezhmi. Tra i due c’è un lago. Da Peja si vedono i massicci di Jezercës e Radohima, con le loro grotte. Dopo aver superato il colle di Prezhmi, proseguendo lungo un sentiero che costeggia il fiume, si apre una vasta radura erbosa. Poi comincia la discesa attraverso i boschi e alla fine una semplice pietra indica la frontiera con il Montenegro, una porta verso altre Alpi Dinariche, e le fitte foreste. ◆ adr