In “Il Donbas è Ucraina” (edito da Linkiesta Books), Kateryna Zarembo racconta la vera storia delle regioni di Donetsk e di Luhansk e della narrazione imperialista russa, alimentata con sfumature diverse dall’Urss e dal regime di Vladimir Putin
LaPresse
Prima di tutto si scrive Donbas, non Donbass. E già il fatto che in Italia sia più diffusa la seconda versione ci dice molto sulla guerra culturale che l’Ucraina sta combattendo e che dovrà portare avanti con coraggio anche quando terminerà l’invasione russa, in modo da affermare una volta per tutte la sua identità agli occhi occidentali. Un discorso che potrebbe ampliarsi a Kyjiv (e non Kiev) a Lviv (e non Lvov), Kharkiv (e non Kharkov), Dnipro (e non Dnepr). La questione del Donbas/Donbass non è solo un vezzo da glottologi, ma il riflesso ortografico di una angheria coloniale che da decenni fa chiedere al resto del mondo a chi appartenga questa regione a est dell’Ucraina, occupata al momento dai russi, assieme al Luhanks (non Lugansk).
Kateryna Zarembo ha cercato di chiarire le idee scrivendo un libro edito da Linkiesta Books “Il Donbas è Ucraina” (tradotto in italiano da Yaryna Grusha) in cui riassume la vera storia delle regioni di Donetsk e Luhanks, che i sovietici hanno chiamato Donbas.
Nel farlo ha raccontato le tante storie di individui e associazioni del territorio che si identificano come ucraine e non filorusse. Nel libro Zarembo sfata il mito di una regione isolata, piena di minatori e si criminali, molto più vicina culturalmente a Mosca che a Kyjiv, e lo fa decolonizzando il mito imperialistico russo alimentato dalla narrazione sovietica e dalla dittatura di Vladimir Putin.
Il libro in realtà avrebbe dovuto finirlo prima, un anno e mezzo fa. L’ultima intervista era stata fissata il 24 febbraio 2022, lo stesso giorno in cui la Russia ha invaso l’Ucraina, modificando la vita di questo libro e di milioni di persone.
Come è nato il mito del Donbas filo russo? Quali sono le sue radici storiche e culturali?
Donbas è un termine ombrello che riflette solo una parte della storia e dell’identità della regione, quella industriale. L’Impero russo prima e l’Unione Sovietica poi hanno infatti compiuto molti sforzi per russificare la regione, sia dal punto di vista linguistico che etnico, con purghe, terrore e migrazioni forzate. Faccio un esempio su tutti: all’inizio del XX secolo circa il sessantacinque per cento della popolazione della regione parlava ucraino, mentre all’inizio del XXI secolo solo il dieci per cento. È vero che fino al 2014 la popolazione dell’Ucraina orientale era prevalentemente favorevole all’integrazione economica con la Russia rispetto all’integrazione nell’UE. Tuttavia, è importante capire che fino al 2014, quando la Russia ha iniziato la guerra contro l’Ucraina, essere filorussi non significava essere anti ucraini. L’integrazione con la Russia era solo uno dei potenziali progetti (accanto all’integrazione europea) che venivano discussi in Ucraina e che avevano i loro sostenitori non solo nel Donbas ma anche in altre regioni.
Quali sono i miti secondo te più difficili da smitizzare? La terra dei minatori? La reputazione di regione dove la criminalità diffusa? O quali altri?
A oggi è molto difficile per l’Ucraina sfatare il mito di una guerra civile nel Donbas, un concetto semplicemente falso. Non c’è mai stato un movimento di separazione nelle regioni di Donetsk e Luhansk, né ci sono i presupposti per farlo. Qualsiasi caratteristica locale – sia essa la lingua, la religione, l’industria pesante, eccetera – non è esclusiva di questa sola regione dell’Ucraina. Al referendum del 1991 oltre l’ottanta per cento della popolazione della regione si è espressa a favore dell’indipendenza dell’Ucraina e i sondaggi successivi hanno continuato a dimostrare la fedeltà allo Stato ucraino. Anche Viktor Yanukovych, eletto presidente dell’Ucraina nel 2010, in precedenza governatore dell’oblast’ di Donetsk che godeva di un ampio sostegno nella regione, non ha sposato alcun programma di separatismo o di federazione.
Questa narrazione colonialista è stata alimentata prima dall’Unione sovietica e poi dalla dittatura di Vladimir Putin. Hai notato qualche differenza nella narrazione e nella scelta di spingere su alcuni temi?
Sì, ci sono molte differenze. Una su tutte è che Vladimir Putin promuove una narrazione mai creata prima: quella del separatismo e quella del “popolo del Donbas”. È qualcosa che non esisteva né in Unione Sovietica né in Ucraina prima del 2014. Ciò consente alla Russia di sviluppare questa narrazione all’interno della narrazione più ampia di guerra civile. Un mito che purtroppo è riuscito a promuovere con successo nelle società occidentali.
In un capitolo del libro definisci i villaggi dell’Ucraina orientale come custodi dell’ucrainità. Perché e in che misura lo sono?
Nell’Unione Sovietica l’urbanizzazione è andata di pari passo con la russificazione. Mentre all’inizio del XX secolo la popolazione urbana nell’odierno Donbas era del dieci per cento e quella rurale del novanta per cento, in un secolo le percentuali si sono invertite. L’autentica lingua e cultura ucraina si è preservata nelle aree rurali perché erano semplicemente troppo piccole e poco influenti per minacciare la morsa sovietica, soprattutto dopo che la regione è stata duramente colpita dalle repressioni e dall’Holodomor, la carestia artificiale imposta da Stalin per punire i contadini ucraini che resistevano alla collettivizzazione. Alcuni villaggi, come Zvanivka e OIeksandro-Kalynove, divennero le culle della lingua, della chiesa e della cultura ucraina.
Nel libro scrivi che il 2004 è stato un anno decisivo, in cui la demonizzazione del Donbas si è intensificata, perché?
Il 2004 è stato l’anno della rivoluzione arancione in Ucraina, scoppiata dopo che i risultati delle elezioni presidenziali erano stati truccati. In quelle elezioni c’erano due candidati principali: Viktor Yushchenko, che ha fatto campagna elettorale con un programma pro-europeo, e Viktor Yanukovych, che ha sposato le idee filo-russe. Il Partito delle Regioni, a cui Viktor Yanukovych apparteneva e che era un partito di governo negli oblast di Donetsk e Luhansk, era strettamente legato e associato agli ambienti oligarchici e criminali del Donbas – infatti, lo stesso Yanukovych era un ex detenuto. Così l’immagine del partito e il suo modo sporco di fare politica hanno monopolizzato la voce della regione. Vale anche la pena notare che il Partito della Regione ha perseguito una politica autoritaria nella zona, controllando i media locali, per cui era difficile per le voci dissenzienti locali essere ascoltate al di fuori della regione.
Perché anche alcuni intellettuali ucraini hanno finito per credere a questa narrazione del Donbas filo russo?
La verità è che l’Ucraina era un Paese molto centralizzato. La capitale non era realmente interessata a ciò che accadeva nelle regioni e le regioni stesse non comunicavano bene tra loro. È solo negli ultimi dieci anni che l’interesse per la diversità interna dell’Ucraina è sorto all’interno del nostro Paese. Ad esempio, sono apparsi libri e articoli sui tatari di Crimea, sulle minoranze greche e ungheresi, sugli ebrei, eccetera. I festival del libro e della cultura sono ospitati non solo nella capitale, ma in varie città da nord a sud e da est a ovest. Prima del 2014 la comunicazione interregionale non era così sviluppata come oggi.
Uno dei fattori di questa narrazione è dato anche dalla distanza del Donbas rispetto alla capitale: centocinquanta chilometri in più rispetto alla distanza tra Kyjiv e Lviv. Il fatto che molti abitanti si siano rifugiati nelle varie città ucraine occidentali ha secondo te un po’ aiutato a ridurre la distanza culturale tra cittadini ucraini verso il “Far far East”?
Sì e no. È vero che gli intellettuali degli oblast di Donetsk e Luhansk, così come le figure culturali, gli scrittori e i giornalisti, sono diventati molto più visibili dopo l’invasione russa del 2014, quando sono stati costretti a fuggire dalle loro case e hanno trovato rifugio a Kyjiv, Lviv e in altre città ucraine. Tuttavia, a livello interpersonale le tensioni rimangono. La guerra rende ancora la società polarizzata e le differenze non sono sempre trattate con tolleranza.
Hai concentrato il tuo lavoro nel racconto delle comunità e dei movimenti ucraini attivi nelle regioni di Donetsk e di Luhansk nel periodo tra il 2000 e il 2014. Ci ha particolarmente colpito la storia di Yuriy “Yuko” Matushchak che faceva parte di Poshtovkh l’organizzazione emblematica della Donetsk degli anni Duemila. Perché la sua storia ha segnato una pagina importante nella storia del risorgimento ucraino?
La storia di Yuriy Matushchak mi sta particolarmente a cuore. Mentre il dissenso filo-ucraino è sempre stato tipico dell’Ucraina orientale – ad esempio, gran parte dei dissidenti ucraini e dei difensori dei diritti umani in epoca sovietica provenivano da questa regione – Yuriy era il rappresentante della nuova generazione cresciuta nell’Ucraina indipendente, che si considerava ucraina e che non voleva sopportare il post-sovietismo nella regione. Mentre era studente all’Università Nazionale di Donetsk, fondò un’organizzazione studentesca di base che si impegnò in molti progetti volti a promuovere la storia, il folklore e la rinascita nazionale ucraina. Era una delle voci a cui è dedicato il mio libro: un giovane ucraino che voleva vivere in un’Ucraina libera e democratica, che, nonostante l’ambiente politico ostile e la mancanza di risorse, si è fatto valere e ha creduto nella sua causa. La sua importanza e la sua influenza erano così grandi che ancora oggi il numero dei suoi ammiratori e seguaci cresce. Purtroppo Yuriy non ha potuto vedere tutto questo perché è stato ucciso in azione nel Donbas nell’agosto 2014, difendendo l’Ucraina dagli invasori russi. A Kyjiv c’è ora una strada intitolata a Yuriy Matushchak. Personalmente sento di aver perso un amico anche senza averlo conosciuto.
I musulmani patrioti ucraini rappresentano solo l’1,5 per cento dei fedeli di tutte le confessioni in Ucraina, ma le comunità musulmane hanno giocato un ruolo interessante nella storia delle regioni di Donetsk e di Luhansk. Quale?
Nell’Est dell’Ucraina erano presenti diverse comunità musulmane, alcune delle quali legate a figure politiche locali, mentre altre rappresentavano organizzazioni religiose di base. Queste ultime si immaginavano come appartenenti all’identità civica ucraina fin dalla sua fondazione nel 2008 e le loro politiche non sono state diverse nel 2014, quando hanno condannato l’aggressione russa. È interessante notare che l’ex mufti dei musulmani ucraini Said Ismagilov ha prestato servizio nell’esercito ucraino come paramedico dall’inizio dell’invasione su larga scala.
Prima della guerra per molti europei il Donbas era conosciuto quasi esclusivamente per la sua squadra più rappresentativa: lo Shaktar di Donetsk. Qual è stato il ruolo degli ultras nell’affermare l’identità ucraina?
Gli ultras avevano un vantaggio specifico rispetto al resto degli ucraini prima del 2014: mentre in alcuni oblast la maggior parte della popolazione non aveva mai viaggiato al di fuori della regione, per non parlare dell’Ucraina, i tifosi del calcio erano quelli che avevano invece visitato tutto il Paese e avevano un sentimento sviluppato di identità nazionale e unità. Inoltre, avevano anche capacità di combattere in strada, come di solito fanno gli ultras. Sono stati loro a difendere i manifestanti dell’Euromaidan a Donetsk – sì, c’è stata un’Euromaidan anche a Donetsk, così come in molte altre città ucraine – quando i cosiddetti titushky – bande assoldate dalle autorità locali – hanno attaccato i manifestanti.
Per noi italiani il Luhanks risulta ancora più misterioso del Donetsk. Per chiarirci le idee hai raccontato lo straordinario lavoro dell’unione artistica STAN, e la interessante dinamica tra arte come protesta e protesta come arte. Cosa ti ha colpito di più di questa storia?
Probabilmente mi sono un po’ immedesimata nella STAN. Crescendo a Kyjiv, ho potuto osservare alcune comunità artistiche underground, come STAN. Era una comunità eterogenea in cui convivevano diverse identità: alcuni artisti che ne facevano parte parlavano ucraino, altri russo (tutti erano in grado di parlare entrambe le lingue). Alcuni membri della STAN si sono arruolati nelle forze armate ucraine dopo l’invasione della Russia, altri sono oggi acclamati scrittori e artisti ucraini. Altri ancora, una minoranza, sono fuggiti a Mosca. Tuttavia, per quanto possibile, la STAN cercava di far parte e di trarre ispirazione dal panorama artistico ucraino, non da quello russo, nonostante la vicinanza territoriale.
Fonte: https://www.linkiesta.it/