Di Ettore Minniti
La Tunisia non è ancora uscita dalla crisi pandemica e dalla crisi economica, sociale, accentuata dalla guerra Ucraina, che all’orizzonte si profilano nuove tensioni sociali.
Diciamo subito che la comunità italiana in Tunisia segue con attenzione i rumors provenienti dai media europei, ma senza eccessiva preoccupazione, perché le citate tensioni sociali non si avvertono nella vita quotidiana che scorre come sempre: lemme – lemme! Il Ramadan è finito e si torna alla normalità!
Dalla presa di poteri del presidente della Repubblica Kaïs Saïed, nel luglio del 2021, la Tunisia ha subito una progressiva riconfigurazione del proprio assetto istituzionale: a) una nuova Costituzione di tipo presidenziale b) elezioni legislative con un Parlamento ridimensionato nelle sue funzioni. Nell’occasione, il tasso di affluenza si è attestato all’11,4% (un dato ai minimi storici molto vicino all’11,2% del primo turno), con meno di un milione di elettori su 8 milioni di aventi diritto; è evidente una sempre maggiore disaffezione dei tunisini per la politica, ritenuta incapace di risolvere i gravi problemi strutturali del paese.
Questo sta portando ad una crescente erosione dello stato di diritto, una situazione di stallo nei negoziati con le istituzioni finanziarie internazionali e al peggioramento delle relazioni diplomatiche fra Tunisi e i suoi partner occidentali (Unione europea e Stati Uniti in primis).
Un recente decreto presidenziale emanato da Saïed a inizio marzo ha sciolto i consigli comunali del paese; 350 sindaci e consiglieri comunali, eletti nel 2018. Lo scioglimento dei consigli comunali avviene sullo sfondo di una costante repressione del dissenso pubblico che, da inizio febbraio, ha assunto proporzioni rilevanti, gettando un’ombra sulla tenuta dei diritti civili nel paese, a cui occorre aggiungere una serie di arresti di oppositori del presidente, fra cui esponenti di partiti politici, leader sindacali, uomini d’affari e giornalisti.
Un’involuzione della democrazia, che è fonte di preoccupazione.
Vi è la percezione sgradevole tra i giovani tunisini, che sono i più colpiti dalla disoccupazione, che vi sia una ‘rivoluzione tradita’, tanto da ricordare con nostalgia il regime autoritario di Ben Ali, in cui non c’era diritto di parola, ma tanto benessere diffuso.
Ritornando ai giorni nostri, la presa di posizione di Saïed nei confronti del Fondo Monetario Internazionale ha creato tensioni a livello internazionale. Le trattative con il FMI per un prestito pari a 2 miliardi di dollari sembrano essersi impantanate. Saïed non intende accettare le condizioni di austerità che il FMI impone. L’Unione Europa non ha ancora risposto alle richieste d’aiuto. Il capo dello Stato si avvia ad aprire un canale di negoziato con Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (BRICS), le nuove emergenze industriali. Fibrillazioni.
Alla repressione del dissenso interno si è unita una recrudescenza della discriminazione razziale ai danni dei migranti subsahariani presenti nel paese. Saïed ha dichiarato che l’immigrazione clandestina fa parte di “un complotto per modificare la composizione demografica della Tunisia al fine di trasformarla in uno stato solo africano e offuscarne il carattere arabo-musulmano”. La Tunisia ospita circa 21.000 immigrati subsahariani, ovvero lo 0,2% del totale della popolazione; fra di essi si contano diverse migliaia di studenti universitari e lavoratori dediti soprattutto a mansioni manuali. Una cifra insignificante ridefinire gli equilibri demografici interni al paese.
La decisione della Banca mondiale di sospendere temporaneamente alcuni dei suoi programmi di assistenza alla Tunisia dopo le violenze indiscriminate contro la popolazione subsahariana scaturite dalle esternazioni di Saïed sembra complicare un quadro già estremamente fragile, caratterizzato da un’inflazione che corre al ritmo del 10,4%, un’alta disoccupazione (oltre il 15%) e un altrettanto elevato debito pubblico, pari all’89,2% del Pil.
Ciò non di meno, a dispetto del record negativo di affluenza alle ultime elezioni legislative, dell’escalation di violenza registrata nelle ultime settimane, e delle molteplici incognite sul piano economico, Saïed sembra poter contare ancora su un significativo sostegno popolare. Secondo quanto emerge dall’ultimo sondaggio effettuato da Emrhod Consulting, qualora si andasse al voto domani il presidente tunisino otterrebbe una maggioranza che gli consentirebbe di vincere al primo turno delle elezioni presidenziali. L’indice di gradimento per il suo operato, seppur in forte calo rispetto all’82% di agosto 2021, si attesta intorno al 52%, dopo aver guadagnato quattro punti percentuali nel periodo dicembre 2022-febbraio 2023. Infine, più del 60% dei tunisini si è detto ottimista per il futuro del paese, contro il 28% di pessimisti.
Rimane la questione migratoria che preoccupa l’Italia.
La crisi della Tunisia, Paese da cui oggi parte la maggior parte dei migranti che sbarca in Italia, è figlia di un malessere economico e sociale immutato rispetto alle condizioni che spinsero nel dicembre 2010 il venditore ambulante Mohammed Bouzizi a darsi fuoco con un gesto disperato che fu la miccia delle famose primavere arabe.
È importante però sottolineare un punto che non viene messo in evidenza dai media, e cioè che questi arrivi partono sì dalla Tunisia ma non sono in tutti tunisini. I migranti che sbarcano in Italia sono in realtà Guinea e Costa d’Avorio seguiti da Pakistan e Bangladesh: prima dunque abbiamo l’Africa subsahariana, poi l’Asia e solo dopo la Tunisia.
Questi sviluppi hanno sicuramente contribuito ad accendere i riflettori sulla Tunisia nelle ultime settimane con proclami a mio parere un po’ eccessivi sulle dimensioni del fenomeno e sull’effettivo rischio circa cosa potrebbe succedere se la Tunisia andasse in bancarotta. Rischio che si sta cercando di evitare attraverso i contatti con le istituzioni finanziarie internazionali e con i tentativi di far concedere nuovi prestiti al Paese.
In Tunisia il tasso di inflazione è arrivato al 10 per cento, il debito pubblico è quasi al 90 per cento del prodotto interno lordo, mentre la disoccupazione è al 15 per cento. La condizione generale dell’economia è preoccupante, ma non disperata.
Va da sé che, qualora non si arrestasse l’inflazione e lo stato crisi, aumenterebbe probabilmente una crescita esponenziale dei livelli d’immigrazione verso l’Italia.
La crisi della Tunisia potrebbe essere ricondotta anche alle politiche per l’approvvigionamento energetico. Il Paese non è un produttore significativo di idrocarburi, ma ospita il tracciato del gasdotto Transmed, conosciuto anche come gasdotto Enrico Mattei, che porta in Italia il gas algerino passando proprio per la Tunisia.
Per la risoluzione della crisi, un ruolo importante sarà svolto dall’Italia. Il nostro paese fornirà circa 110 milioni di euro al bilancio e alle piccole e medie imprese della Tunisia attraverso l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics). In questo ambito la nostra Ambasciata svolge un ruolo cruciale e delicato.
Sulla situazione tunisina vi è però l’ombra della speculazione delle holding internazionali, soprattutto nel campo dell’energia, che buttano benzina sul fuoco.
Dopo il 2014 il governo tunisino ha parzialmente tagliato le sovvenzioni al prezzo del gas. Ci troviamo difronte a squilibri finanziari che hanno aumentato il suo deficit, aggravato dalla drammatica svalutazione della valuta tunisina (il dinaro). Si stato, quindi, costretto a ricorrere a prestiti esterni per acquistare gas naturale e sviluppare l’infrastruttura energetica. In definitiva, la battaglia per la democrazia energetica, in Tunisia ma non solo, si basa sulla lotta contro il capitalismo, la rivendicazione dei diritti della popolazione e la rottura con le pratiche estrattiVE, con l’obiettivo di garantire la sovranità energetica del Paese e dei suoi abitanti.
Per tutto questo la Tunisia paga un prezzo altissimo, ma rimane pur sempre un paese affascinante e pieno di sorprese, dove cucina, pesca e turismo la fanno da padrone.