di Xavier Mancoso
Il piano di finanziamenti europei (Recovery fund) che comprende il Next Generation Eu (NGEU), lo strumento individuato dalla Commissione europea per rilanciare le economie dei Paesi membri dopo la crisi causata dall’epidemia di coronavirus, rappresenta una massa di 750 miliardi di euro che saranno sostenuti impegnando fino al 2027 il bilancio dell’Unione, destinato a raggiungere un volume di spesa complessivo di 1100 miliardi.
Un simile bilancio non potrebbe essere sostenuto dalle sole quote versate annualmente dagli Stati membri. Dal 2021 al 2024 la UE rafforzerà il suo bilancio raccogliendo le risorse occorrenti sui mercati finanziari.
Si tratta di una svolta epocale, in pratica la condivisione di un debito per finanziare la ripresa delle economie messe in ginocchio dalla pandemia, una scelta maturata sui tavoli delle trattative comunitarie, per la quale parte del merito va anche all’ex premier italiano Giuseppe Conte.
Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. Legare la ripresa e lo sviluppo dell’economia italiana, per sette anni, al bilancio dell’Unione europea significa sottoporre l’andamento finanziario e quindi le politiche economiche del Paese ancora più rigidamente che nel passato al controllo delle centrali finanziarie internazionali, che misurano la sostenibilità di un debito pubblico, il nostro, fatalmente destinato ad aumentare progressivamente.
Ci troviamo di fronte ad una scommessa delicatissima: solo una veloce e sostenuta crescita del PIL può ampliare la base imponibile e rendere sostenibile il debito dello Stato.
Non basta disporre delle risorse, determinante è saperle spendere nel modo più utile e più rapido, affiancando alla spesa pubblica produttiva misure adeguate per stimolare gli investimenti privati e per sostenere le imprese in difficoltà; dalla crisi si può uscire soltanto stanando i capitali immobilizzati negli impieghi finanziari e rendendo il mercato interno più forte e resiliente.
Nel quadro, poi, di una nuova capacità di programmazione che punti sull’innovazione tecnologica delle strutture produttive, il Paese va guidato nella duplice transizione verde e digitale.
Le schiarite di questi ultimi giorni sul fronte della pandemia aprono uno spiraglio per guardare con ottimismo alle possibilità di ripresa, anche se, più che pensare agli interessi delle generazioni future, il sistema politico italiano, tutto invischiato nel “qui ed ora”, negli interessi di bottega elettorale, non sembra in grado nemmeno di guardare con senso dello Stato al settennio che abbiamo davanti. Lo stesso avvento di Mario Draghi al governo ha tutta l’aria di un intermezzo, spartiacque verso nuovi equilibri politici.