A un secolo dalla scoperta della terapia insulinica, a Niguarda continuano i progressi della ricerca sulla cura del diabete
Mai sentito il termine “isletina”? Si potrebbe pensare che si tratti di una nuova molecola scoperta di recente o che sia un refuso di qualche elemento scientifico come “istamina” o “istidina”.
In realtà, questa è l’espressione usata la prima volta per definire la più nota insulina. Era il 1921, anno della sua scoperta e da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, 100 anni per essere precisi. Un periodo lungo, in cui la ricerca non si è mai fermata: oggi, infatti, chi soffre di diabete 1, oltre a poter contare su terapie e strumenti tecnologicamente avanzati per il monitoraggio della glicemia, ha anche la possibilità di essere candidato al trapianto delle isole pancreatiche e l’Ospedale Niguarda è uno degli unici due centri in tutta Italia a svolgere questa procedura.
A un secolo dalla sua scoperta, ripercorriamo la storia dell’insulina e della capacità della medicina di evolversi.
In passato chi soffriva di diabete era destinato a un graduale e inarrestabile deperimento, accompagnato da sintomi come sete eccessiva e minzione frequente. L’unica “terapia” possibile consisteva in una dieta serrata fatta di pochissimi carboidrati, che se da una parte aiutava a guadagnare qualche anno di vita, dall’altra portava i soggetti a patire i morsi della fame. Trovare una cura era, quindi, una questione di primaria importanza.
Chi pose le fondamenta per la scoperta dell’insulina (ormone prodotto dal pancreas) fu Paul Langerhans nel 1896 quando individuò le omonime isole di Langerhans, la cui funzione era, tuttavia, ancora poco chiara. Fu nel 1889 che si cominciò ad intuirne l’importanza, una volta che gli scienziati Minkowski e Von Mering decisero di provare ad asportare il pancreas da un cane. Il risultato fu incredibile: l’animale sviluppò il diabete in brevissimo tempo. A quel punto diventò abbastanza chiaro il ruolo cruciale di quell’organo nella regolazione dei livelli della glicemia.
Anni dopo, nel 1916, il ricer catore Nicolae Paulescu decise di andare a fondo delle scoperte fatte dai colleghi, seguendo tuttavia un percorso inverso. Scelse infatti di iniettare ad un cane che già soffriva di diabete una sostanza acquosa prelevata dal pancreas. Come previsto dallo scienziato, il liquido fu in grado di normalizzare la concentrazione di zuccheri nel sangue. Tuttavia, nonostante gli strabilianti risultati, non fu lui ad aggiudicarsi il premio Nobel: nel 1921 due studiosi canadesi, Frederick Banting e John Macleod, perfezionarono la tecnica utilizzata da Paulescu, isolando la famosa “isletina”. Fu a quel punto che i due si chiesero: se la somministrazione di questa sostanza ha guarito un cane dal diabete, che possa funzionare anche sugli esseri umani?
Il rischio era alto, ma decisero comunque di tentare il tutto e per tutto. Selezionarono quindi un ragazzo di 14 anni con una grave forma di diabete e, con non poche preoccupazioni, il fatidico giorno arrivò: il 10 gennaio 1922 il giovane ricevette la prima iniezione di insulina. I risultati non delusero le aspettative e i livelli glicemici si normalizzarono in meno di 24 ore. Questo fu la dimostrazione definitiva che il diabete poteva essere curato con una terapia insulinica.
Insieme all’entusiasmo della scoperta cominciò a crescere di pari passo anche l’ambizione di molti scienziati che decisero di alterare la natura dell’insulina. Uno dei primi tentativi fu quello di prolungare l’effetto della sostanza, richiedendo quindi ai soggetti un numero minore di iniezioni. Molti esperti definiscono quelli gli “anni oscuri” (the dark ages) del trattamento insulinico. Se infatti da una parte le iniezioni erano diminuite, dall’altra la modifica strutturale della sostanza causava un’alterazione dei livelli di glucosio con complicazioni a lungo termine, tra cui problemi cardiaci, insufficienza renale e cecità.
Altri esperimenti invece andarono a buon fine, finché nel 1978 si riuscì a creare la prima insulina umana ottenuta per via sintetica. I vantaggi erano impressionanti: non solo eventuali reazioni allergiche erano completamente eliminate, ma ora la produzione e la distribuzione dell’insulina non sarebbero state più un problema, diventando facilmente accessibili a tutti coloro che ne avevano bisogno.
Sono passati 100 anni e la ricerca non ha mai smesso di innovarsi, offrendo oggi a chi soffre di diabete importanti alternative al trattamento insulinico: il trapianto del pancreas e quello delle isole pancreatiche. Questi consentono di ottimizzare il compenso glicemico, eliminando o riducendo l’insulino-dipendenza e abbassando il rischio di eventuali complicazioni. L’Ospedale Niguarda in particolare è uno dei due soli centri in tutta Italia ad effettuare il trapianto delle isole di Langerhans, posizionandosi come una delle strutture più all’avanguardia rispetto ai servizi offerti ai pazienti diabetici. L’intervento non può essere esteso a tutti perché è necessario assumere una terapia immunosoppressiva che può causare severi effetti collaterali. Di conseguenza, l’operazione viene indicata a coloro che presentano delle complicanze gravi o per i quali una terapia insulinica non è sufficiente.
In futuro le cose potrebbero cambiare ancora grazie alla ricerca. Con il supporto della Fondazione Italiana Diabete, è stata attivata a Niguarda una nuova sperimentazione per evitare il ricorso ai farmaci antirigetto.
Dal 1921 sono stati fatti molti passi in avanti. Una cosa però non è mai cambiata: la voglia della scienza di aggiornarsi e di offrire più alternative a chi sente di non averne alcuna. L’Ospedale Niguarda supporta da sempre questo desiderio con determinazione, mosso dal fine di proporre trattamenti efficaci, personalizzati e accessibili a tutti. Oltre a questo, sostiene la ricerca nel raggiungimento di un obiettivo ben più ambizioso: riuscire un giorno a trovare una cura definitiva per il diabete.
Fonte: https://www.ospedaleniguarda.it/