“Gli italiani in Venezuela? Non è vero che sono benestanti, non più. Un tempo l’80% di loro viveva bene, sì. Oggi però basta una malattia per diventare povero. Il Consolato si fa in quattro per aiutare i nostri connazionali bisognosi, ma sono sempre di più quelli a cui servono assistenza e medicine. I farmaci non arrivano più, e quando si trovano hanno prezzi inaccessibili”.
Mauro Bafile è il direttore della Voce d’Italia, il giornale della comunità italiana che vive in Venezuela, circa 150 mila persone con il passaporto e un milione e mezzo considerando seconda e terza generazione. “Oramai hanno gli stessi problemi dei venezuelani”, spiega.
“In passato la comunità italiana era costituita al 70% da piccole e medie imprese, persone semplici che però producevano – racconta Bafile, nato in Venezuela dal padre Gaetano, ex partigiano poi trasferitosi in Sudamerica –. L’imprenditoria italiana dominava anche nelle varie Camere di settore”, cioè eleggeva i propri rappresentanti. Mobilifici e calzaturifici, soprattutto, e poi il business del petrolio, la principale risorsa del Venezuela.
“L’economia venezuelana soffriva di instabilità già prima degli anni ‘90 – ricorda Bafile – ma la situazione per gli imprenditori è peggiorata vent’anni fa, con avvento del chavismo”. È l’era delle nazionalizzazioni, del passaggio di molte imprese sotto il controllo statale: “L’80% di quelle di Maracaibo che lavoravano per le società petrolifere, occupandosi di fare avanti e indietro tra i pozzi in mare e la terraferma, erano italiane. Sono state espropriate senza che gli imprenditori ricevessero niente in cambio”.
Tra 1998 e 2000 si contavano “12-13 mila aziende sparse in Venezuela”, oggi se ne stimano duemila. “Dati ufficiali però non se ne hanno, il governo non ne fornisce più”.
Con il chavismo, sostiene Bafile, “si è innescato il vortice di una crisi che si fa sempre più acuta”. Se da un lato le politiche di Hugo Chavez avevano mirato a risollevare le condizioni di vita del popolo, dall’altra gli affari per gli imprenditori sono peggiorati: “Chi lavorava con le compagnie del governo aveva la valuta per poter importare le materie prime, gli altri avevano più problemi per ottenere liquidità”. Meno produzione, meno dipendenti, meno ricavi: il solito circolo vizioso. “Dire che Maduro ha provocato la crisi è inesatto – sostiene Bafile -. Non è però stato capace di trovare politiche economiche che mescolassero l’assistenza con uno sviluppo industriale in grado di garantire consumi e produzione”.
Detrás de las cifras está el padecimiento de cientos de miles de venezolanos por la falta de alimentos y medicinas.
El #23F nuestra #FANB debe acatar la orden y permitir el ingreso de la ayuda humanitaria para evitar más muertes.#23FVzlaALosCuartelesEnPaz pic.twitter.com/88cYjfoaiC
— Juan Guaidó (@jguaido)
20 febbraio 2019
Le difficoltà hanno colpito direttamente anche La voce d’Italia: nato come quotidiano cartaceo nel 1949, da sei anni pubblica solo online.
“Il governo ha il monopolio sulla carta e la fornisce soltanto ai giornali che si fanno megafono di propaganda, mentre noi siamo considerati un giornale dell’opposizione”, spiega Bafile. E poi ci sono le minacce, via telefono – “a volte anche in perfetto italiano” – e direttamente dai colectivos, le bande di motociclisti armati: “Sono l’equivalente delle squadre fasciste di Mussolini, il braccio armato del governo che punisce quando la polizia non può farlo”.
Gruppi di criminali che girano armati nelle strade della capitale e agiscono indisturbati: “Fino a qualche anno fa la nostra sede era a Sarrìa, zona nord della città, un’area popolare-industriale. I colectivos però hanno cominciato a prenderci di mira”. Nessun giornalista della Voce è stato aggredito fisicamente, anche grazie agli stessi abitanti della zona che “ci venivano ad avvertire del loro arrivo e noi abbassavamo le saracinesche della redazione”. La pressione, però, a un certo punto è cresciuta al punto da costringere il giornale a cambiare sede, spostandosi nel quartiere di Sabana Grande.
Il Venezuela, che da un mese vive con due presidenti che non si riconoscono, continua ad attendere di scoprire il proprio futuro: “Non si capisce che cosa possa accadere a breve termine né quando la situazione possa esplodere” spiega Bafile. Il 23 febbraio, a trenta giorni dalla proclamazione di Guaido, gli aiuti umanitari hanno cercato inutilmente di passare la frontiera del paese. Quel che chiede la comunità italo-venezuelana, invece, sono “elezioni in tempo molto brevi, la libertà di chi è recluso e il ritorno di chi è in esilio”.
Vedi: La situazione degli Italiani in Venezuela
Fonte: estero agi