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La sfida ecologica in filosofia e la filosofia post-moderna

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di Antonino Gulisano

Riflettendo sulle tragedie e le complessità del tempo contemporaneo sottoposto a prove di impegno esistenziale, mi sovviene ripensare al concetto di filosofia post-moderna e di sfida ecologica in filosofia. La modificazione del sistema dell’habitat dell’universo con il cambiamento climatico e la crisi ecologica della difesa dell’ambiente per avere vita e vita intelligente. Le pandemia del Covid 19 che sta attraversando il mondo, le guerre che si scontrano in tutte le parti del mondo: dallo Yemen, al Medio oriente, all’ultima nel centro dell’Europa tra Russia e Ucraina.

La filosofia postmoderna è una corrente filosofica che assume un oltrepassamento delle idee che avevano caratterizzato la modernità. Iniziando come critica della filosofia continentale, è stata fortemente influenzata da fenomenologia, strutturalismo ed esistenzialismo, e dai filosofi Friedrich Nietzsche e Martin Heidegger.

Il termine “postmodernità” è stato impiegato in diversi campi disciplinari (architettura, letteratura, arte, sociologia, filosofia) secondo accezioni differenti. In ambito filosofico la sua fortuna è legata al testo di Jean-François Lyotard intitolato La condizione postmoderna.

Schematicamente, secondo i postmoderni, la modernità (cioè il periodo che va all’incirca da Cartesio a Nietzsche), sarebbe qualificata da talune direttrici fondamentali, quali:

  • La tendenza a credere in visioni onnicomprensive del mondo (idealismo, marxismo, ecc.) capaci di fornire legittimazioni filosofiche al conoscere e all’agire;
  • La tendenza a pensare in termini di “novità” e “superamento”, ossia la propensione a identificare ciò che è “nuovo” con ciò che è “migliore” e ciò che è “trascorso” con ciò che è “superato”;
  • La tendenza a concepire la storia in termini di “emancipazione”, ossia come percorso progressivo di cui gli intellettuali conoscono i fini (la libertà, l’eguaglianza, il benessere, ecc.) e i mezzi idonei a realizzarli (la diffusione dei lumi, la rivoluzione proletaria, le conquiste della tecno scienza, ecc.)
  • La tendenza a concepire l’uomo come “dominatore” della natura e la concomitante esaltazione della scienza, con la conseguente riduzione della realtà a oggetto omologabile e formalizzabile secondo criteri di tipo ipotetico-sperimentale e con la parallela identificazione della ragione con la ragione scientifica;
  • La tendenza a pensare secondo le categorie di “unità” e “totalità”, in modo da subordinare la folla eterogenea degli eventi e dei saperi a gerarchie forti, mettenti capo a un unico centro e a un unico orizzonte globale di senso (ontologico, storico, gnoseologico, ecc.).

A queste idee-madri della modernità i postmoderni contrappongono una costellazione di idee che, pur non potendo venir ridotta a un semplice capovolgimento dialettico del moderno, è pur sempre un’alternativa a esso:

  • La sfiducia nei macro-saperi onnicomprensivi e legittimanti e la proposta di forme «deboli» (Vattimo) o «instabili» (Lyotard) di razionalità, basate sulla convinzione dell’inesistenza di fondamenti ultimi – e unitari – del sapere e dell’agire;
  • Il rifiuto dell’enfasi del “nuovo” e della categoria avanguardista di “superamento”. Tant’è che il postmoderno, più che come l’ultima avanguardia, intende essere la fine di tutte le avanguardie;
  • La rinuncia a concepire la storia alla stregua di un processo universale o necessario, in grado di fungere da piattaforma “garantita” dell’umanità verso l’emancipazione e il progresso: rinuncia che si accompagna all’elaborazione di un «pensiero senza redenzione», ossia a una sfiducia programmatica nei confronti di ogni terapia “salvifica” (politica, esistenziale, artistica, ecc…) finalizzata al raggiungimento di una condizione umana “trasparente” e dialetticamente “riconciliata” con se stessa;
  • Il rifiuto di identificare la ragione con la ragione tecnico-scientifica e di concepire l’uomo come “padrone” incontrastato della natura e dell’ambiente: rifiuto che connette la sensibilità postmoderna all’ecologismo, inteso come movimento di reazione agli effetti distruttivi del dominio tecnologico sulla natura e come ricerca di una nuova cultura dell’abitare;
  • Il privilegiamento del paradigma della molteplicità rispetto al paradigma dell’unità, ossia la consapevolezza che «il mondo non è uno, ma molti» (Vattimo).

Il postmoderno, come si è visto, nasce da un atto di sfiducia nei confronti delle varie «storie di emancipazione», ovvero di quelle che Lyotard chiama i «grandi racconti», e si configura quindi come post-istorico, nel senso che tende a collocarsi oltre la concezione della storia che ha caratterizzato la modernità (tant’è che in alcuni contesti, il termine post-histoire viene usato come sinonimo di postmoderno).

Il postmoderno filosofico non è soltanto il frutto di un insieme di suggestioni teoretiche o di convergenze speculative. Esso è anche il prodotto di trasformazioni storico-sociali che hanno inciso profondamente sulle condizioni di esistenza dell’uomo novecentesco.

Infatti, alle spalle della cosiddetta moda post vi è una serie concatenata di avvenimenti storici (le guerre mondiali, gli orrori dei campi di concentramento, i fallimenti del socialismo reale, gli inconvenienti del capitalismo, i pericoli di una guerra atomica, la minaccia di una catastrofe ecologica, ecc…) che hanno minato alla base i principali «miti» della modernità, a cominciare da quelli del progresso e dell’emancipazione. Analogamente ad Adorno, Lyotard sintetizza questa strage di illusioni, in un’unica cifra: «Ci sono molti tipi di distruzione, diversi nomi che ne sono il simbolo. “Auschwitz” può esser preso come un nome paradigmatico per l'”incompiutezza” tragica della modernità».

I postmoderni manifestano un atteggiamento più positivo nei confronti del progresso tecnologico rispetto a registi come Fritz Lang, che ipotizzò una città del futuro disumanizzata.

Particolarmente stretti risultano anche i rapporti tra postmoderno e società “complessa” di tipo postindustriale. L’elemento mediatore è costituito dagli assetti pluralistici di tale società. Il postmoderno si sforza di far valere le istanze della molteplicità e della differenza, sino a farsi portavoce della fisionomia policentrica e diversificata delle odierne società plurirazziali e pluriculturali. Da ciò il progetto postmoderno di «un’umanità al plurale», capace di lasciarsi definitivamente alle spalle il sogno “medievale”, ripreso da certo universalismo moderno, di un’unica verità, di un’unica fede e di un unico sistema di valori. Il risalto dato alla società complessa ha condotto i postmoderni a valorizzare le tecnologie informatiche e multimediali che ne stanno alla base e che risultano incarnate dalla nuova figura dell’uomo come rice-trasmettitore di messaggi.

Il postmoderno si presenta infine come il compimento o la realizzazione estrema del processo di «secolarizzazione del mondo» che ha caratterizzato il pensiero e la civiltà occidentale degli ultimi secoli. Infatti se la modernità si configura come il pensiero dell’Europa secolarizzata, il postmoderno, in quanto distruzione di ogni residua certezza «forte» scaturente dalle originarie matrici teologiche e metafisiche, si configura a rigore, come la secolarizzazione che ha secolarizzato se stessa:

«L’individuo postmoderno è colui che non avendo più bisogno della rassicurazione estrema, di tipo magico, che era fornita dall’idea di Dio, ha accettato il nichilismo come chance destinale ed ha imparato a vivere senza ansie nel mondo delle mezze verità, con la raggiunta consapevolezza che l’ideale di una certezza assoluta di un sapere totalmente fondato e di un mondo come sistema razionale compiuto è solo un mito.

Guardando ai primi due decenni del XXI secolo, è quasi inevitabile nutrire qualche dubbio sulle sorti progressive promesse da quell’Età dei Lumi che è stata il luogo d’origine della modernità. German Watch ogni anno pubblica il report Climate Risk Index, che analizza in che misura i Paesi del mondo siano colpiti da eventi naturali drammatici legati ai cambiamenti climatici. Da questa, come da tante altre ricerche del mondo scientifico, risulta come sia l’uomo la causa principale di molti disastri ambientali e di come le prospettive per il futuro, se la situazione generale non dovesse migliorare, non siano molto rassicuranti. A partire dalla necessità di un taglio radicale delle emissioni nocive entro i prossimi dieci anni, affinché sia ipotizzabile un freno all’aumento delle temperature globali, non bisogna neanche dimenticare il continuo aumento della popolazione mondiale. E’ necessario il riconoscimento di un’assoluta centralità della questione ecologica, che non va soltanto compresa, ma che implica la messa in questione dell’impianto categoriale e delle forme di vita (anche in senso sociale e politico) che hanno caratterizzato l’età moderna nel suo complesso, ma anche più in generale una millenaria tradizione occidentale.

Riprendiamo il filo della narrazione con il porci il quesito: Che cos’è l’Illuminismo?

L’Illuminismo viene definito in modo interamente negativo, ovvero come un processo attraverso cui si realizza «l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, il quale è da imputare a lui stesso», dalla sua «pigrizia e viltà» nel sottomettersi alle «regole e formule» dell’autorità religiosa e politica. Il motto dell’Illuminismo, proclamava Kant, è «Sapere aude! (Osa conoscere!)», perciò la sua rivendicazione fondante è la libertà di pensiero.

In linea generale, non si ha una definizione univoca di Illuminismo. Lo si colloca convenzionalmente negli ultimi due terzi del XVIII secolo, sebbene sia derivato dalla Rivoluzione scientifica e dall’Età della ragione del XVII secolo e si sia prolungato fino all’apice del liberalismo classico della prima metà del XIX secolo.

A questo punto, pur non negando gli elementi di vicinanza fra l’Illuminismo e la modernità, è necessario operare una distinzione. In effetti, se si prende in considerazione una nozione come quella di progresso, ci si rende conto anche delle enormi differenze fra i pensatori dell’Illuminismo dei due periodi. Il concetto di progresso degli Illuministi è caratterizzato da una concezione laica della storia, dalla convinzione che le arti tutte possano portare a un miglioramento dell’uomo, dalla curiosità per i popoli selvaggi pensati ad uno stato primitivo. Al contrario, pur nelle numerose e diverse trattazioni che se ne fanno, nell’Ottocento emerge l’idea che il progresso non sia semplicemente una possibilità di miglioramento delle condizioni umane, ma una necessaria legge della storia dell’uomo.

La sfida ecologica in filosofia

Partendo dalla considerazione definitiva che la modernità abbia mancato nel non considerare l’elemento naturale, ecco che la situazione attuale fa emergere la necessità di un ripensamento. Proprio partendo dalle preoccupazioni dovute alla questione climatica, ripensare la modernità può rappresentare una possibilità di soluzione alle stesse. Non si è costretti ad abbandonarsi a scenari apocalittici, come, d’altra parte, la possibile soluzione non deve necessariamente consistere in una rivoluzione tecnologica in grado di risolvere la totalità del problema; prospettiva questa di cui non va certamente negata la validità.

Ciò che qui si propone è un’altra possibile strada, che si fonda su un diverso modo (non-moderno) di relazione nei confronti del naturale. Ecco dunque profilarsi un diverso tipo di rapporto fra l’uomo e la natura.

Dunque, non più concependo l’elemento naturale come: «des informations irritantes» e attraverso una praxis diversa da come la intendeva Sartre in Critica della ragione dialettica, si profila una possibile azione politica nuova. Questa azione non sarà quella dell’uomo libero nella storia (come in Sartre), ma dovrà al contrario sempre confrontarsi con un non-umano a cui andrà concessa una propria autonomia e che potrà essere l’inizio di una relazione. Natura e cultura sono una cosa sola. Società e ambiente sono una cosa sola. Il modello dell’opposizione fra le due parti non deve essere pensato come valido per tutti i popoli.

In conclusione, partendo dalle novità portate dall’uomo nell’Età dei Lumi, di cui non deve essere negato l’enorme valore avuto nella storia, e considerando il contributo avuto da questo periodo nella formazione della modernità europea originatasi nell’Ottocento, è necessario cogliere anche i limiti di questo processo. In particolare, quest’ultima, nonostante alcune voci discordanti, si è fondata su un preciso modo di pensare il rapporto con l’elemento naturale. In effetti, l’Ottocento ha posto una netta separazione fra ciò che è moderno e ciò che non lo è, finendo per fare in modo che ci fosse un dominio del primo sul secondo.

D’altra parte, non si può negare la forte crisi ecologica dei nostri tempi, che ha sicuramente mostrato la limitatezza di questa nozione di progresso. Ciò che si è voluto qui mostrare è come l’emergenza climatica che noi tutti stiamo vivendo può avere il punto di partenza per una soluzione nel tentativo di instaurare dialogo con ciò che finora è stato escluso

Per concludere, la critica al modello occidentale di razionalità non è fatta nel presupposto che esso possa essere messo da parte, infatti è comunque visto come una risorsa indispensabile: un pensiero ecologico, come pensiero della vita, non intende negarlo, ma arricchire, ampliare quel modello.