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Il Pd segue i grillini contro l’invio di armi a Kiev

Giuseppe Benedetto

I partiti congiunti
In Italia da tempo vi è una questione esogena di squilibrio di pesi e contrappesi tra poteri dello Stato, e una questione endogena di squilibrio all’interno di quegli stessi poteri. Esempio classico della prima questione è il rapporto trentennale tra politica e magistratura, con questa seconda che ha esondato dai suoi argini costituzionali. Altra questione di analoga natura è quella riguardante l’italica burocrazia nelle sue varie articolazioni – tema caro al Professor Cassese – la cui proliferazione è divenuta metastasi in un corpo statuale indebolito. Ma non sono questi gli aspetti che intendo affrontare oggi, quanto invece quelli interni al sistema dei partiti e alla crescente e inarrestabile disaffezione del cittadino non tanto al voto, quanto alla stessa politica.
I partiti, aggrediti dall’esterno, si sono rinchiusi in se stessi. Il Partito dei congiunti altro non è che l’evoluzione di quello che con una famosa battuta un deputato socialdemocratico ben rendeva nella prima repubblica. A chi lo accusava di nepotismo rispondeva che non capiva l’accusa visto che il favorito non era suo nipote, ma suo figlio. Oggi i candidati selezionati dai cacicchi di ciascun partito sono tanti nipotini non sottoposti, ma imposti all’elettore con il meccanismo delle liste bloccate. Le Leggi elettorali succedutesi nel tempo null’altro hanno portato che una maggiore possibilità per i capi partito di indicare praticamente tutti gli eletti. Le preferenze tanto criticate nella prima Repubblica appaiono oggi un miraggio, per consentire all’elettore di scegliere il “suo” parlamentare , tra quelli proposti da ogni singolo partito. Il nefasto taglio dei parlamentari non concede, a Costituzione vigente, altra possibilità di scelta libera, stante il ridotto numero di collegi che non consentirebbe un rapporto diretto di conoscenza e valutazione del singolo candidato. Ci rendiamo conto che i leader di partito debbano in qualche modo, anche legittimamente, tutelare alcune figure rappresentative del partito stesso. Si potrebbero semplicemente assegnare al capolista designato le preferenze non attribuite ad alcun candidato. Siamo ben consapevoli della differenza, che sembra a volte sfuggire anche agli addetti ai lavori, tra assegnazione dei seggi a ciascun partito e la questione dell’attribuzione dei seggi all’interno di ciascuna lista elettorale. Ogni costituzionalista – ormai in Italia il numero sfiora i 60 milioni – ci illustrerà con dotte argomentazioni che un sistema di selezione degli eletti con le preferenze potrebbe non essere necessariamente legato all’attribuzione di seggi con il proporzionale. In linea teorica è vero, in concreto abbiamo tanti dubbi. Ma su questo aspetto, per ragioni di spazio, torneremo.
“Abbiamo votato nel merito, senza vedere le firme di chi aveva presentato quei testi. Abbiamo voluto essere coerenti, con noi stessi prima di tutto, con la storia del Pd, con le nostre scelte di politica estera che non possono cambiare a seconda degli umori e della maggioranza di turno o delle alleanze da costruire”. Perché la politica estera e della difesa è materia troppo seria per diventare merce di scambio al mercato del tatticismo politico. Marianna Madia attraversa il Transatlantico dopo il voto sulle comunicazioni del ministro della Difesa Guido Crosetto sull’Ucraina. Non vuol aggiungere altro rispetto al voto che lei, la deputata Lia Quartapelle e l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini hanno voluto manifestare votando, in dissenso dal Pd, la risoluzione della maggioranza e quella dell’ex Terzo Polo, Italia viva Azione e +Europa tornato unito per l’occasione ma contro quella dei 5 Stelle. “Strappo” o “strappetto”, non c’è dubbio che ieri alla Camera c’è stato un riposizionamento, già in corso a livello locale e su più temi, che la segretaria Elly Schlein farebbe bene a non sottovalutare. La scelta del Pd infatti è stata quella di astenersi non solo sulla risoluzione di Italia viva ma anche su quella dei 5 Stelle che al punto 1 impegnava il governo “ad interrompere immediatamente la fornitura di materiali di armamento alle autorità ucraine”. Leggendo i testi, logica avrebbe voluto che il Pd votasse a favore di quella del Terzo Polo e decisamente contro a quella del 5 Stelle. Un pasticcio non casuale.
È stata senza dubbio un’informativa problematica quella del ministro Crosetto. “Vorrei non dover preparare un nono o un decimo pacchetto, vorrei che l’ultimo fatto fosse l’ultimo”, ha detto intervenendo di prima mattina alla Camera e poi nel pomeriggio al Senato dove il presidente La Russa ha ottenuto di cancellare la discussione generale causa derby Roma-Lazio alle 18 e Capitale non più agibile già dalle prime ore del pomeriggio. Continuare a sostenere la difesa del popolo ucraino e quindi la guerra contro l’invasione russa è sempre più difficile e inizia a scontare un sentimento diffuso di stanchezza nell’opinione pubblica. Chi governa ne è consapevole. Non solo in Italia. “Ma non ci sono alternative”, ha ribadito il ministro. “Vorrei che il prossimo pacchetto potesse essere di aiuti umanitari alla ricostruzione, per rifare asili, ospedali. Lo auspico tutti i giorni”. Ma ancora non siamo a questo punto. “Se la Russia smette di combattere scoppia la pace, se l’Ucraina smette di combattere muore l’Ucraina. E con l’Ucraina un pezzo d’Europa, di democrazia, di sicurezza. Oggi al mondo non esiste un Paese che possa rinunciare alla difesa. La difesa esiste per dare sicurezza e stabilità, e la stabilità porta la pace”. In un paese normale, dove la politica estera non è moneta di facile consenso ma consapevole e minuziosa costruzione diplomatica, sarebbe finita lì. Una risoluzione unica, limata nei punti chiave che è uno soprattutto: lo sforzo diplomatico per raggiungere una pace sicura e giusta. Ma così non è. Da tempo, anche. Così i gruppi parlamentari hanno presentato cinque diverse risoluzioni: quella di maggioranza, la più snella, tre pagine in cui si chiede di “continuare a sostenere le autorità ucraine con l’invio di mezzi militari” e di “profondere tutti gli sforzi diplomatici, in tutte le sedi, anche in qualità di Presidente di turno del G7 per giungere ad una pace giusta, duratura ed equilibrata”.
La faccenda si poteva chiudere qua. Invece sono arrivati i distinguo. Nella risoluzione del Pd non si parla mai di invio di armi ma di un più generico “pieno sostegno al popolo e alle istituzioni ucraine anche al fine di assicurare quanto previsto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che sancisce il diritto all’autodifesa individuale e collettiva”. Il resto sono impegni e sforzi diplomatici “per immediato cessate il fuoco”. La risoluzione dell’ex Terzo Polo è forse la più convinta nel sostegno all’Ucraina, sul piano umanitario, militare, diplomatico e finanziario anche tramite il Fondo europeo per l’Ucraina (Eu for Ukraine fund) della Bei e altri due fondi europei satelliti, Ukraine support package e European peace facility. La stessa risoluzione chiede che la prossima Commissione s’impegni sull’ esercito europeo e nel dare continuità al sostegno per tutto il tempo necessario. La maggioranza infatti lo ha votato compatta. I problemi vengono fuori con i testi dell’Alleanza sinistra e verdi e dei 5 Stelle. I primi chiedono di “interrompere la cessione di mezzi e materiali d’armamento” perché, come ha detto nel pomeriggio il capogruppo De Cristofaro al Senato, “siamo allo stallo totale e inviare armi è del tutto inutile”. I 5 Stelle picchiano duro: “Non si può parlare di pace ed inviare armi”. Nella risoluzione sferrano un attacco al sistema della Difesa nazionale e al budget per le armi mettendo nel mirino “le trenta multinazionali dell’Aerospazio, Difesa e sicurezza che hanno realizzato ricavi complessivi nel core business della Difesa per oltre 315 miliardi con una capitalizzazione in Borsa di 721 miliardi al marzo 2023”. In pratica basta Difesa, basta industria della Difesa, basta Nato. Non c’è scritto “forza Russia” ma è come se. La negazione di settanta anni di atlantismo. Invotabile. Eppure il Pd si è astenuto. Tranne Madia, Guerini e Quartapelle che hanno votato la risoluzione Pd, quella del Terzo polo e contro il testo di Sinistra e Verdi e Cinque stelle. In nome della coerenza. E del rispetto per se stessi.
Si è appena spento Ferruccio Laffi, uno degli ultimi sopravvissuti della Strage nazista di Marzabotto.
Aveva 16 anni quando il 30 settembre del 1944 tornando a casa trovò l’intera famiglia, in totale 14 familiari, tra cui genitori, fratelli e sorelle, trucidati dai nazifascisti. Ferruccio si salvò per miracolo, nascondendosi nel bosco.
La sua vita è stata esempio ammirevole di memoria e testimonianza, soprattutto nei confronti dei più giovani ai quali ha continuato fino a pochi mesi fa a raccontare l’orrore provocato dalla bestia nazifascista.
Non ti dimenticheremo mai, stanne certo, e continueremo a difendere e diffondere i valori di libertà, pace e democrazia propri della lotta partigiana.
Ciao Ferruccio, raggiungi oggi i tuoi cari che ti furono strappati ancora bambino, fai buon viaggio e riposa se puoi.

Fonte: Il Riformista