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La scelta di cosa produrre

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Un maggiore coinvolgimento del mondo del lavoro nella gestione del plusvalore consentirebbe una scelta basata sulla scienza che, con i suoi limiti, ricercherà di individuare ciò che veramente serve all’uomo

di Renato Costanzo Gatti

Perché è importante che il mondo del lavoro sia coinvolto nella gestione del plusvalore, cioè – nel linguaggio marxiano – la differenza tra il valore del prodotto del lavoro e la remunerazione dei lavoratori, oggi monopolio del capitale? La prima ragione sta nella semplice considerazione che quel plusvalore è generato anche dal mondo del lavoro (vorrei poter dire che è generato in toto dal mondo del lavoro in quanto il capitale che oggi se ne appropria in pieno, non è un fattore della produzione, ma aprirei una lunga discussione che rimando ad altre occasioni) e che quindi il mondo del lavoro ha pieno diritto nel deciderne l’impiego.

La seconda ragione sta nel fatto che la gestione del plusvalore è operata dal capitale con una filosofia completamente diversa da come sarebbe operata dal mondo del lavoro. La filosofia del capitale consiste nel gestire il plusvalore con l’unico fine di valorizzare il capitale stesso, al fine cioè di ottenere un profitto come risultato del processo D-M-D’. La merce (M) che il capitale sceglierà di produrre investendo il plusvalore, sarà quella merce che genererà il massimo profitto; il capitale cioè si orienterà a produrre beni di scambio (capaci di produrre profitto) e non beni d’uso eventualmente richiesti dai consumatori; ogni scelta sarà quindi fatta sulla base di ricerche di mercato che esamineranno ogni aspetto del business scegliendo alla fine quello più redditizio. Il capitale, quindi cercherà in ogni modo di influenzare il mondo dei consumatori in modo da spingerli al consumo dei suoi prodotti o, in altre circostanze, farà le azioni politiche necessarie a che la spesa pubblica sia orientata verso i suoi prodotti. Ma se il capitale individuasse la maggior valorizzazione di sé stesso nelle operazioni finanziarie, ovvero nel processo D-D’, esso non avrebbe alcuna remora a spostare i suoi investimenti nella finanza, speculazione o bitcoin che fosse, negando i fondi alle attività produttive. Che le scelte fatte dal capitale seguendo la sua filosofia siano le scelte migliori anche per la comunità, è facilmente negabile, anche sulla base di quanto diremo sulla filosofia cui si rifà il mondo del lavoro.

La scelta di cosa produrre operata dal mondo del lavoro, dal mondo cioè non inquinato dalla logica del profitto, sarà guidata dalla logica razionale. Sarà una scelta “science based” basata cioè sulla scienza che con i suoi limiti ricercherà di individuare ciò che veramente serve all’uomo ma soprattutto programmerà tutte le fasi della produzione determinando i fabbisogni di beni e lavoro, esplodendo quindi in tutte le sue componenti i piani di produzione provvedendo ad ottenere, nelle quantità necessarie, le materie prime ed i beni intermedi e formando le professionalità di lavoro necessarie all’attuazione del piano evitando quei mismatch che producono incompatibilità ad una efficace produzione.

In questo processo scientifico costituito dalla programmazione potrà benissimo essere presente l’attuatore privato, non deve cioè essere tutto pubblico, ma l’attuatore privato sarà vincolato al piano nel senso che il profitto non sarà mai elemento di scelta nelle sue produzioni.

La meccanizzazione del processo produttivo non si porrà come scelta per ridurre il fabbisogno di lavoro vivo da sostituire con la robotizzazione, ma sarà un processo teso a liberare l’uomo dal bisogno di lavorare, dalla forzatura di impiegare il suo tempo per fini estranei alle proprie propensioni. La completa robotizzazione del lavoro costituirà in tal modo non solo una liberazione dal lavoro ma anche contemporaneamente una liberazione del lavoro, garantendo sempre che il cosa far produrre dai robots non sarà frutto della scelta del proprietario del robots ma,  socializzando la proprietà degli stessi, sarà frutto della scelta “science based”.