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La pedagogista Paglialunga: “Non basta l’educazione emozionale nelle scuole. Raramente si pensa ad équipe psicopedagogiche”

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Uno degli aspetti sociali che più è al centro dell’attenzione di esperti e dell’opinione pubblica è la fragilità delle relazioni. Spesso si sente parlare di strategie di coping e/o di resilienza in diversi ambiti: dalla scuola ai contesti formativi, alle aziende. Ma con quali risultati? Cosa sta succedendo al tessuto sociale? Cosa impatta sulla nostra psiche?
Qui non si daranno risposte, ma si cerca di condividere semplici riflessioni.
Di società e modernità liquida e dei danni collaterali della post-modernità ne ha già parlato il grande Zigmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco.
Li ho divorati i suoi libri. L’ho ascoltato e ho cercato nel mio piccolo di attuare i suoi insegnamenti. Nel pensiero comune, spesso si cercano colpevoli e innocenti, vittime e carnefici. Pensiero e azione: binomio produttivo o distruttivo. E quando è distruttivo? O limitante la crescita o la maturazione personale e sociale? Quanto si sono sgretolati i baluardi di solidità sociale, a partire dalla famiglia?
Il pensiero nutre le nostre azioni e le nostre interazioni, i rapporti che riusciamo a curare. Un bel termine, la cura. Ma oggi anche questo termine
si è cronicizzato e ha perso la sua valenza sostanziale e il suo valore primordiale.
Le nuove generazioni sono più esposte, le più condannate alla liquidità e alla velocità supersonica della realtà e del tempo che travolge.
Le riflessioni educative, pedagogiche, politiche e culturali che da ogni dove stanno proponendo soluzioni risuonano alle mie orecchie come parole
vuote, prive di intenzionalità ma dense di utilitarismo. Abbiamo perso l’orizzonte dell’essenziale, di ciò che fonda le nostre vite e ci fa godere
della felicità intrinseca nei piccoli gesti.
Il problema non è solo individuale e patologico. È anzitutto un problema di concetto, che fonda la ragione sociale. Tutti ci occupiamo di più delle prestazioni più che di maturazione sana ed integrata.
Non basta agire con leggi o proposte di educazione emozionale nelle scuole. Soprattutto se si considera che una formazione efficace alle emozioni e alla gestione di esse, passa per una buona metodologia educativa e didattica che investe tutto il soggetto come attore attivo del suo apprendimento che andrà a modificare i suoi comportamenti. È necessario interrogarsi sulle sovrastrutture politiche, economiche e sociali che offrono servizi e opportunità di crescita e soprattutto di cura di se stessi e degli altri. Regolamentare i ritmi serrati intensivi del lavoro di tutte le categorie, l’offerta di lavoro subito dopo il titolo di studio, sacralizzare almeno la domenica e renderla il giorno speciale delle relazioni interpersonali e della cura di sé. Persino, il significato e la simbologia dei giorni della settimana ha perso di solidità e di valore. Cosa si potrebbe fare, allora?
Non è un caso che in Italia, per esempio, non esista la figura istituzionalizzata di Pedagogista nei contesti formativi ai vari livelli. Così come non entrano nella scuola gli educatori socio-pedagogici. Spesso i Dirigenti scolastici nell’offerta formativa del proprio istituto si servono di progetti vari, ma sempre condotti da una sola figura professionale, lo/la psicologo/a. Raramente, nelle menti più avvedute, si pensa ad équipe psicopedagogiche e ad esperienze di vita che accompagnino gli studenti nell’esplorazione di sé e delle dinamiche personali, degli Altri e delle pratiche relazionali e comunicative. La Commissione Europea già dal 2018 ha promosso e diffuso la valorizzazione e la promozione in tutti gli ambiti formativi delle LifeComp, il quadro europeo per le competenze chiave personali, sociali e di apprendimento per apprendere. Così come la triade saper, saper essere e saper fare costituiscono la base di qualsiasi azione educativa e formativa: ma vi risulta? Quali sono i dati che rilevano la qualità dell’istruzione in Italia?
Secondo i dati Istat (quinta edizione) del Rapporto 2022 sui Sustainable Development Goals (SDGs) adottati con l’Agenda 2030 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (https://www.istat.it/it/archivio/275718), l’Italia si trova all’ultimo posto in Europa per qualità di istruzione e di inclusione scolastica e sociale (dati sulla dispersione scolastica).
Dal Rapporto si evince “nel 2021, in Italia, 51,9 donne ogni 100.000 si sono rivolte al numero verde 1522 perché vittime di violenza. L’aumento del numero di chiamate di donne vittime di violenza è generalizzato sul territorio e cresce di oltre 2 punti percentuali rispetto al 2020. Nel 2020 risultano attivi 263 Centri Antiviolenza (erano 281 nel 2019) e 242 Case Rifugio (257 nel 2019). Nel 2020 sono stati commessi 116 omicidi di donne (111 nel 2019).
L’83,6% degli omicidi femminili commessi nel 2020 è avvenuto in ambito domestico: 60 donne (51,7% del totale degli omicidi) sono state assassinate per mano del partner della vittima, 30 (25,9%) sono state uccise da un altro parente e 7 (6%) dall’ex partner.
Per non parlare dei figlicidi: dal Rapporto Eures (ricerche economiche e sociali), dal 2010 in Italia sono stati commessi 268 figlicidi; ogni due settimane un genitore ha ucciso un figlio. Nel 55,6% dei casi (149 in valori assoluti) si tratta di bambini con meno di 12 anni; in particolare, 106 di età compresa tra 0 e 5 anni (il 39,7%) e 43 tra 6 e 11 anni (16,2%).
Decisamente inferiore, nel periodo in questione, l’incidenza delle vittime adolescenti (26, pari al 9,6%) o di figli maggiorenni (93, pari al 34,4%),
spesso uccisi da genitori anziani, incapaci di prendersi cura o di sostenere fragilità fisiche e mentali o la loro dipendenza. Delle 268 vittime di figlicidio tra il 2010 ed oggi, 151 sono i maschi (56,8%), 117 le femmine (43,7%) https://www.agi.it/cronaca/news/2022-06-15/quanti-figlicidi- italia-numeri-17096911/ .
Si provi a riflettere sui dati dei suicidi https://www.istat.it/it/archivio/suicidi
La depressione è il disturbo mentale più diffuso: si stima che in Italia superino i 2,8 milioni (5,4% delle persone di 15 anni e più) coloro che ne hanno sofferto nel corso del 2015 e siano 1,3 milioni (2,5%) coloro che hanno presentato i sintomi della depressione maggiore nelle due settimane precedenti l’intervista sulla salute mentale.
Rispetto alla media dei paesi europei, in Italia la depressione è meno diffusa tra gli adulti e tra i 15-44enni (1,7% contro 5,2% media Ue28) mentre per gli anziani lo svantaggio è di 3 punti percentuali, ma comunque esiste e falcia le sue vittime.
La depressione è spesso associata con l’ansia cronica grave. Al crescere dell’età aumenta la prevalenza dei disturbi di depressione e ansia cronica grave (dal 5,8% tra i 35-64 anni al 14,9% dopo i 65 anni). Rispetto agli uomini, lo svantaggio delle donne emerge in età adulta e si acuisce oltre i 65 anni di età.
Da soli questi dati dovrebbero farci riflettere sulle politiche di welfare, sanitarie e dei sistemi educativi e di istruzione.
A scuola, con azioni fondanti semplici e routinarie, è necessario creare un ambiente accogliente di tutte le diversità, relazionale sicuro e facilitante i
rapporti interpersonali, cercando di rilevare proficuamente le difficoltà per segnalarle ed affrontare in sinergia con tutti gli enti educativi del territorio, a partire dalla famiglia.
La scuola dovrebbe diventare una fucina di vita in cui insegnare e far esperire strategie di coping adattive e di resilienza.
In ambito pedagogico e psicologico, si parla di strategie di coping (dall’inglese, alla lettera “far fronte”) che le persone mettono in atto in comportamenti per controllare, affrontare e/o ridimensionare conflitti intrapsichici e interpersonali, situazioni o eventi inaspettati o stressanti. Costituiscono dei meccanismi di adattamento e di risposta all’ambiente.
Le variabili che influiscono sul comportamento e sulle strategie di coping per fronteggiare i problemi o gli eventi stressanti o conflittuali non sempre
dipendono solo dal soggetto e dalle sue caratteristiche di personalità.
Spesso a concorrere vi sono il tipo ed entità del problema o dell’evento stressante e le circostanze che scatenano lo stress cognitivo, emotivo.
Le strategie di coping sono diversificate in maniera proporzionale alle differenze tra gli individui. E ve sono di più funzionali ed adattive.
Ma con un’analisi di realtà, mi chiedo se la direzione in cui stiamo andando dipenda dal singolo piuttosto che da eventi che dominano sulle persone e le
comunità e le schiaccino fino a far perdere la propria identità e sostanza.
Di Maria Grazia Paglialunga, pedagogista e docente – fonte: https://www.orizzontescuola.it/