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La nuova generazione di cittadini europei

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“Pensa che ci sarà una generazione del ’22?” mi ha chiesto recentemente uno studente di Göttingen, intendendo una generazione di europei che per tutta la vita sarà improntata nel modo di pensare e agire politicamente dalla guerra in Ucraina. È un interrogativo importante. L’Europa di oggi è stata plasmata da quattro generazioni politiche fondamentali: quella del ’14 (segnata in gioventù dall’esperienza della prima guerra mondiale), quella del ’39 (seconda guerra mondiale) quella dei i sessantottini e quella dell’89 (la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda). In ogni caso il momento formativo giunge agli albori della vita adulta, per cui trascorre un significativo lasso di tempo prima che la generazione in oggetto arrivi al potere. Sessantottini come il tedesco Joschka Fischer, il britannico Jack Straw e il francese Lionel Jospin hanno avuto un ruolo primario nella politica europea negli anni Duemila. Ragazzi dell’89 come il primo ministro ceco Petr Fiala e il ministro tedesco dell’Economia Robert Habeck sono ora al timone. Qualche anno fa all’Università di Oxford abbiamo lanciato il progetto Europe’s Stories per individuare i momenti formativi dei giovani europei di oggi. All’epoca sembrava che non esistesse nessun momento paragonabile al 1989, al ’68 o agli anni delle due guerre mondiali. Abbiamo trovato invece un’esperienza comune, quella della libertà di movimento in Europa e una preoccupazione dominante: il cambiamento climatico. Ci sono stati certo momenti specifici per determinati sottogruppi geografici: le guerre nella ex Jugoslavia per i giovani europei del sud est Europa, la crisi dell’Eurozona per greci, spagnoli e portoghesi, la Brexit per i britannici e gli irlandesi. Di certo però l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin andrà a stimolare una nuova generazione politica pan europea. È la maggiore guerra mai combattuta in Europa dopo il 1945. È un’idea entusiasmante per molti. Anche io sarei felice di vedere una nuova generazione politica intenzionata a portare avanti il progetto europeo con obiettivi comuni. Ma dai sondaggi di opinione non emerge prova concreta di nulla del genere. In Ucraina ho incontrato molti giovani per cui la guerra sarà il momento determinante della vita politica. In Polonia e Estonia ho visto un impatto simile. In Europa occidentale è però molto meno evidente. Da noi si simpatizza moltissimo con l’Ucraina, ma la guerra non è che una notizia tra tante sui media. Emergono anche forti differenze di atteggiamento tra i Paesi dell’Europa centrale e orientale più vicini alla zona di guerra. Un recente sondaggio condotto per il think tank Gblobsec rivela che circa un terzo degli intervistati bulgari e slovacchi considera l’Occidente il primo responsabile della guerra in Ucraina. È scioccante che il 50% degli slovacchi concordi con l’affermazione “Gli Stati Uniti rappresentano una minaccia alla sicurezza del mio Paese”. La suddivisione generazionale è ancora meno netta. L’analisi dei dati dei sondaggi eseguiti per il nostro progetto e per l’European Council on Foreign Relations mostra che solo il 46% dei soggetti tra i 18 e i 29 anni definisce la Russia un avversario, contro il 60% degli ultrasessantenni. In alcuni dei dieci Paesi europei in cui abbiamo portato avanti i sondaggi i giovani appaiono filo occidentali, in altri più critici nei confronti dell’Occidente. Quanto al sostegno alla prospettiva dell’ingresso dell’Ucraina nell’Ue i giovani europei in genere hanno un atteggiamento più positivo rispetto agli anziani. Inoltre questi sondaggi non mostrano l’importanza relativa del tema. Dalle mie conversazioni con i giovani europei emerge l’indicazione che problematiche come il cambiamento climatico, l’ineguaglianza socio-economica e la percezione di avere il futuro rovinato sono per loro importanti quanto la guerra in Ucraina. Significa che i ragazzi del ’22 sono solo un sogno effimero di quelli dell’89? O nel migliore dei casi un ulteriore sottogruppo geografico? Forse, ma non necessariamente. Il 1989 è stato vissuto con maggiore intensità nell’Europa dell’Est rispetto a quella dell’Ovest, ma ha pur sempre improntato un’intera generazione di futuri leader. L’esaltante marcia in avanti della libertà seguita alla caduta del muro di Berlino ha dato loro lo stimolo a dedicarsi a promuovere l’obiettivo di un’ “Europa intera e libera”. Generazione politica non si nasce, si diventa. La domanda va quindi rimpallata allo studente di Göttingen e ai suoi coetanei: andrete a creare una classe politica di ragazzi del ’22 associando la difesa della libertà e il ripristino della pace in Europa alle problematiche della vostra generazione, come l’uguaglianza intersezionale e la transizione all’energia verde? È senz’altro questa la speranza delle vecchie generazioni del ’89 e del ’68, ma sta a voi giovani. Traduzione di Emilia Benghi

Fonte: Repubblica