La Finlandia, neutrale dalla fine della Seconda guerra mondiale, si vede costretta oggi, dal conflitto russo-ucraino, a valutare l’entrata nella NATO.
Il primo ministro finlandese Sanna Marin ha dichiarato di essere disposta a rinunciare alla neutralità della Finlandia, sancita dopo la fine della Seconda guerra mondiale, per allinearsi alle forze occidentali e sostenere l’Ucraina. La Finlandia è stata una terra contesa per secoli dalla Russia, ma nel 1945, alla fine del conflitto mondiale, preferì rinunciare a una parte dei suoi territori, pur di evitare il destino dei Paesi dell’Europa Orientale, posti sotto il diretto controllo di Mosca. Rimase un Paese indipendente, ma neutrale, in equilibrio per decenni tra Occidente e mondo sovietico. Oggi, costretta dal precipitare degli eventi del conflitto russo-ucraino, si dichiara disponibile ad aderire alle sanzioni contro la Russia e valuta la possibilità di entrare nella NATO. Ma vediamo la lunga Storia di questo Stato, indipendente dalla Russia solo dal 1917.
IL PASSATO ZARISTA. Il risveglio fu brusco: la cavalleria cosacca, armata di spade e fruste, caricava i manifestanti nel centro di Helsinki. Per i finlandesi, in quel 1901, fu il segnale che il governo dello zar stava diventando sempre più oppressivo e non poteva più essere tollerato. Eppure per circa un secolo le cose non erano andate poi così male per gli abitanti del Granducato di Finlandia, trattati dalla Russia col guanto di velluto. Lo zar Alessandro I (1801- 1825), dopo l’annessione al suo impero nel 1809, aveva affermato chiaramente di voler dare ai finlandesi “un’esistenza politica, in modo che essi non considerassero se stessi come conquistati dalla Russia, ma uniti a essa dai loro stessi interessi”. Così in Finlandia non furono imposte né la religione ortodossa né la lingua russa, e i finlandesi ebbero esercito, moneta e dieta parlamentare propri.
LA “GRANDE OPPRESSIONE” RUSSA. Le cose cominciarono a cambiare a fine Ottocento sulla spinta dei nazionalisti russi che tolleravano sempre di meno le minoranze interne all’impero. Inoltre gli zar Alessandro III (1881-1894) e Nicola II (1894-1918) erano convinti di dover rafforzare il potere centrale per rendere la Russia moderna ed efficiente. Per i finlandesi cominciarono gli anni della “Grande oppressione” sotto il tallone dell’autoritario governatore Nikolaj Bobrikov: niente più esercito, soppresso nel 1901, niente più autonomie, assimilazione forzata nell’impero zarista.
La reazione non si fece attendere, come racconta lo storico Massimo Longo Adorno: «I finlandesi, che fino a quel momento erano stati sudditi fedeli dello zar, resistettero con determinazione alle misure di russificazione forzata». Una resistenza che si materializzò in scioperi e manifestazioni contrastati dalle cariche cosacche, e che sfociò nella violenza.
Bobrikov venne assassinato nel giugno 1904 mentre, poche settimane dopo, per mano degli indipendentisti finlandesi moriva anche il ministro dell’Interno dello zar, V. K. Plehve.
Una situazione esplosiva a cui Nicola II rispose con la diplomazia, restituendo ai finlandesi alcuni privilegi (anche perché troppo impegnato nel duro conflitto con il Giappone per mandare truppe in Finlandia). Nel 1906 venne addirittura concesso, per la prima volta in Europa, il voto alle donne, che poterono anche essere elette nel parlamento finnico. Ma si trattava solo di una tregua. Tutti ne erano consapevoli, e i nazionalisti finlandesi più degli altri: la partita con la Russia doveva essere chiusa al più presto.
INDIPENDENZA A TUTTI I COSTI. La guerra del ’14-18, con il coinvolgimento dell’impero zarista nel conflitto, fornì ai gruppi indipendentisti finlandesi una formidabile occasione politico-militare. Tanto più che era ripreso il processo di russificazione della Finlandia, considerata ora strategica nel conflitto contro la Germania. Non a caso, proprio alla Germania cominciarono a guardare molti finlandesi in prospettiva anti-russa e più di duemila giovani lasciarono il Paese per addestrarsi e combattere a fianco dell’esercito tedesco.
Nacque così il battaglione Jaeger, che diverrà più avanti il fulcro dell’apparato militare della Finlandia indipendente. Intanto il potere zarista si stava scavando la fossa da solo a forza di sconfitte militari e privazioni per il proprio popolo. Quando scoppiò in Russia la Rivoluzione del febbraio 1917 i finlandesi sperarono in un’apertura da parte del nuovo governo. Ma era chiaro che né le concessioni né la semplice restaurazione della vecchia autonomia sarebbero bastate: il Paese voleva l’indipendenza.
STRETTA TRA URSS E GERMANIA. Gli eventi subirono una brusca accelerazione quello stesso anno, con la Rivoluzione d’Ottobre. I bolscevichi erano, almeno a parole, favorevoli all’autodeterminazione delle minoranze dell’impero e, soprattutto, non avevano le forze per controllare tutto il territorio russo. Intanto in Finlandia l’improvviso vuoto di potere aprì le porte a nuove forze in campo.
Nacquero unità paramilitari legate ai bolscevichi e chiamate “guardie rosse”. In contrapposizione a queste nacque la Guardia civile, mentre il parlamento finlandese stringeva legami sempre più forti con la Germania, in funzione anti-russa. Racconta Longo Adorno: «Il 26 novembre 1917 il generale Erich Ludendorff, capo di stato maggiore dell’esercito imperiale tedesco, ricevette gli emissari finlandesi che portavano la loro richiesta ufficiale di aiuto. Ludendorff consigliò di dichiarare la propria indipendenza il più presto possibile e di chiedere contestualmente il ritiro delle truppe russe dal Paese, assicurando in entrambi i casi l’appoggio della Germania».
Detto fatto: il 6 dicembre 1917 il parlamento finlandese votò l’indipendenza. Bisognava però fare i conti con la realtà del nuovo Stato, stretto tra due potenti vicini in guerra tra loro, la Germania e la Russia, e con truppe russe ancora sul suo territorio. Uno Stato, tra l’altro, privo praticamente di esercito, con l’eccezione delle milizie “bianche” della Guardia civile, fedeli al parlamento. In un contesto così instabile i “rossi”, ma anche i socialisti, guardavano con sempre maggiore simpatia al modello rivoluzionario instauratosi in Russia. I primi scontri tra “bianchi” e “rossi” furono inevitabili e a placare la situazione non contribuì neppure la decisione del leader bolscevico Lenin di riconoscere l’indipendenza finlandese il 31 dicembre 1917.
Il clima in Finlandia era quello di una guerra civile e il parlamento, all’inizio del 1918, decise di affidare il compito di difendere la neonata nazione dai pericoli interni ed esterni al generale Carl Gustav Mannerheim (1867-1951). Un compito enorme, però Mannerheim era l’uomo adatto a svolgerlo. Si era formato nell’élite dell’esercito zarista, aveva combattuto sui fronti della Prima guerra mondiale e sapeva come condurre una campagna militare. Soprattutto aveva le idee chiare e giurò di stroncare la ribellione rossa, restaurare la legalità e “non rinfoderare la spada prima che l’ultimo soldato di Lenin non fosse stato espulso“, come proclamò nel febbraio 1918.
In realtà i russi non avevano intenzione di combattere, e nella maggior parte dei casi si arresero senza colpo ferire. Le milizie rosse invece presero il controllo di Helsinki e della Finlandia Meridionale. Nonostante la limitatezza delle sue forze, Mannerheim passò alla controffensiva. Sapeva di poter contare sull’aiuto tedesco e sul rientro in patria del battaglione Jaeger. A fine aprile 1918 vinse una battaglia decisiva presso Tampere, dove sconfisse definitivamente i “rossi”, molti dei quali fuggirono in Russia per sottrarsi a vendette e ritorsioni.
UN UOMO AL COMANDO. Finì così la guerra civile finlandese. Anche se era durata pochi mesi registrò, da entrambe le parti, il solito, triste campionario di violenze e soprusi sui civili, rappresaglie ed esecuzioni sommarie. Messe a tacere le armi, Mannerheim si dimise da comandante dell’esercito finlandese per protesta contro le ingerenze del governo di Berlino, deciso a imporre il principe tedesco Federico Carlo d’Assia come re di Finlandia.
L’Impero tedesco, però, aveva i giorni contati, stremato da cinque anni di guerra, e non ci fu nessun re finlandese.
Anzi, la Finlandia adesso aveva urgentemente bisogno di una figura di spessore e Mannerheim era l’uomo giusto. Il 12 dicembre 1918 il generale divenne capo provvisorio dello Stato e nel luglio 1919 ratificò la costituzione che faceva della Finlandia una repubblica. Eppure non fu eletto primo presidente. Al posto dell’eroico, ma ingombrante generale, il parlamento scelse un oscuro giurista. Mannerheim si sarebbe rifatto guidando la Finlandia negli anni difficili della Seconda guerra mondiale, quando la Russia sovietica provò a riprendersi, almeno in parte, gli antichi domini.
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Questo articolo è tratto da “Così nasce una nazione” di Roberto Roveda, pubblicato su Focus Storia 134 (dicembre 2017)