AGI – Quando la polizia ha capito che Mariano Cannio si era rifugiato nell’abitazione di una zia in via Duomo, ha trovato un espediente per farsi aprire la porta. Prima gli agenti hanno suonato il campanello ripetutamente, ma lui ha fatto finta di non essere in casa, poi hanno messo sotto la porta una bolletta della luce. Una busta che lui ha ritirato; e a quel punto i poliziotti sono entrati, certi che ci fosse.
Il giudice per le indagini preliminari di Napoli, Valentina Gallo, ha convalidato il fermo per omicidio volontario, nonostante il racconto frammentario di Cannio che in pratica non ha risposto durante l’interrogazione di garanzia, e nell’ordinanza di convalida ha riportato gli stralci dei verbali di quello rilasciato dall’uomo il giorno del fermo di pm, venerdì scorso.
Cannio aveva confermato di fare saltuariarmente le pulizie nella casa in via Foria della famiglia di Samuele e di aver nascosto la diagnosi di schizofrenia per cui era in cura in un centro di igiene mentale. “L’ho lasciato cadere”, “ho avuto un capogiro”, “poi sono andato a mangiare una pizza”, ha detto.
Così è morto Samuele, bimbo di 4 anni, lanciato nel vuoto dal balcone della sua abitazione la mattina dello scorso 17 settembre. L’uomo racconta che intorno alle 9.15 era in quell’appartamento che si sviluppa su due piani. C’era solo la madre con Samuele, il marito era andato a lavoro, in uno dei negozi di famiglia lungo quella stessa strada; ha iniziato a pulire il bagno, poi la cucina.
E mentre era in cucina, la madre di Samuele è andata in bagno e il piccolo è entrato in cucina in cerca delle merendine. Prima lo ha aiutato a cercarle. “Rispondere alle domande in ordine a quello che è successo mi fa venire in mente tutto quello che è accaduto e provo una brutta sensazione – riporta il verbale visionato da AGI – quando ho preso in braccio Samuele mi trovavo dentro casa ed ero vicino al mobile cucina. Mentre avevo in braccio Samuele gli ho parlato e lui mi ha detto che dopo sarebbe andato a giocare a calcio e io gli ho raccomandato di fare goal. Dopo poco tempo sono uscito fuori al balcone, avendo sempre il piccolo in braccio, e appena uscito in prossimità della ringhiera ho avuto un capogiro”.
“Mi sono affacciato dal balcone mentre avevo il bambino in braccio perché udivo delle voci provenire da sotto – spiega ancora Cannio – a questo punto lasciavo cadere il bambino di sotto. L’ho fatto perché in quel momento ho avuto un capogiro. Dopo che ho fatto cadere Samuele non mi sono nemmeno affacciato perché ho avuto paura. Infatti mi sentivo in colpa per quello che era accaduto essendo consapevole di esserne la causa. Appena ho udito le urla provenire da sotto sono scappato e mi sono diretto nel vicino quartiere Sanità, dove ho mangiato una pizza. Infatti avevo una fame nervosa scaturita dalla paura”.
Source: agi