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La moda Made in Italy sul palcoscenico della Scala

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AGI – Non c’è il tripudio di lustrini nel foyer, come nelle solite prime. E non ci sono nemmeno le scivolate kitsch di alcuni personaggi in cerca di qualche minuto di gloria all’arrivo in Teatro. Eppure, la prima della Scala 2020, senza pubblico, nella formula originale di uno spettacolo che interseca poesia, Opera e balletto, non può che essere una serata dove regna l’eleganza.

Così, il glamour, che negli anni passati era riservato alla platea, sale sul palcoscenico, con le firme delle principali maison italiane a vestire gli artisti di questa serata unica. “A riveder le stelle”, come è stata intitolata la serata inaugurale della stagione operistica – nata dalla necessità di ideare uno spettacolo compatibile con le norme Covid – è anche un’occasione per celebrare la storia d’Italia, non solo nella musica, ma anche nella moda.

La più elegante è certamente Marianne Crebassa, la mezzosoprano francese interprete della Habanera dalla Carmen di Bizet. E’ ipnotica: capelli neri acconciati in un raffinato raccolto, pelle bianchissima e abito Armani Privé rosso scarlatto.

Un contrasto che la rende perfetta, mentre con le sue labbra sottili intona la sfrontatezza di Carmen: “Mais si je t’aime, si je t’aime; Prends garde à toi!”. L’aria termina con l’attrice sdraiata su una zattera di legno, con un richiamo moderno al colossal Titanic. E d’altra parte in questa ‘Prima’ così diversa, e così ‘visiva’, il dialogo tra teatro e cinema è quasi d’obbligo.

La prima attrice ad entrare in scena per un intermezzo è Caterina Murino, che nel corso della serata vestirà tre volte Dolce&Gabbana: inizia recitando un brano tratto da Victor Hugo in una nuvola di tulle rosa. Prosegue con uno snodo in cui ricorda le più importanti eroine dell’Opera: “Indosso la guerra di Giovanna – dice – l’amore di Tosca, la solitudine di Violetta. Mi infilo in bugie che sanno di poter essere vere”, aggiunge, incorniciata in un abito di rose rosse da sogno.

Ma sono le cantanti a riempire la scena con i loro vestiti, che risultano meno scenografici che in una normale recita, ma sono davvero cuciti intorno alle loro voci. E’ il caso del lungo di tulle nero cosparso di strass che cinge Lisette Oropesa (Armani Privé), mentre interpreta Donizetti: leggero e soave come la sua voce ricca di sfumature. Il profondo scollo sul petto è davvero perfetto per un acuto finale che lascia impressionati. 

Sorprende Rosa Feola, interprete di “So anch’io la virtù magica” dal Don Pasquale di Donizetti. Moderna l’ambientazione, in una Cinecittà felliniana, di fine anni 50: abito bianco a pois neri e  stile ironico per lei, che ricorda una pin-up mentre intona, per l’appunto, “Mi piace scherzar” (qui l’idea è di D&G).

In blu Armani è Kristine Opolais, mentre canta “Tu, piccolo iddio” dalla Madama Butterfly di Puccini: scollo a cuore e ampie maniche trasparenti che hanno la leggerezza di due ali. Valentino ha vestito invece il mezzosoprano lettone Elīna Garanča, interprete dell’aria della principessa Eboli “O don fatale” da Don Carlo di Verdi.

Meno appariscenti, ma non meno raffinati, i tenori che hanno intonato i brani più potenti. Primo fra tutti Placido Domingo, ma anche Vittorio Grigolo, in un frac targato ‘Re Giorgio’. Immancabile lo smoking per Davide Livermore, il regista, che compare alla fine recitando un inno all’arte, tremendamente necessaria anche nei periodi di crisi, come quello attuale e come nel dopoguerra.

Nello snodarsi della serata risultano fondamentali i monologhi recitati, come il celebre “Odio gli indifferenti” di Gramsci a cui regala la sua profonda e inconfondibile voce Massimo Popolizio, vestito Dolce&Gabbana. C’è spazio anche per le maestranze scaligere: i costumi dello schiaccianoci sono quelli storici di Nicholas Georgiadis; quelli di Verdi Suite vengono dalla fantasia di Luisa Spinatelli. Infine, l’inno alle donne e alla democraticità dell’Opera è letto da Michela Murgia:

“E’ alle donne – spiega – che la lirica trasmette il suo messaggio più rivoluzionario: nota dopo nota appare chiaro che Madama Butterfly è una sposa bambina; che le Nozze di Figaro si aprono con la storia di una serva che confessa al fidanzato gli abusi del padrone. Solo che nei libretti le eroine spesso muoiono, perché nella società il posto dove la donna può essere se stessa è spesso solo la tomba”. Per la scrittrice “l’Opera incarna l’eterna richiesta di giustizia di chi non ha voce, il silenzio dei diseredati che si trasforma in un acuto potente. L’arte manda in frantumi il vecchio mondo e mostra che l’opportunità di essere felici deve appartenere finalmente a tutti e tutte”. La scrittrice ne parla seduta, in un lungo abito nero, semplicissimo e quasi piatto. Ma non anonimo: perché assolve alla sua vera funzione, come tutti gli abiti dovrebbero fare: vestire una mente, e non solo un corpo. 

 

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Fonte: cultura agi


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