Immigrazione, ma anche criminalità, welfare: si sono giocate sugli stessi temi di tutta la campagna elettorale le battute finali prima del voto in Svezia, dove domenica i seggi lasciano presagire una delle elezioni più incerte della sua storia. La destra estrema dei Democratici Svedesi, le cui radici affondano le radici nel movimento neonazista, affronta la retta finale con il vento in poppa, minacciando l'egemonia di socialdemocratici e conservatori e cercando di rompere l'isolamento in cui è stata relegata: gli ultimi sondaggi dell'emittente pubblica Svt e del quotidiano Svenska Dagbladet danno la formazione al secondo posto, davanti, seppur di un soffio, ai conservatori del Partito Moderato (rispettivamente a +1,4 e -+0,1 punti percentuali); dietro i socialdemocratici (a 6 e 7 punti).
La Svezia viene da una legislatura difficile, con un esecutivo rosso-verde che ha governato con il 43% dei voti, perché l'alleanza di centro-destra aveva rifiutato di negoziare con i Democratici Svedesi (SD, l'acronimo in svedese), all'epoca terza forza con quasi il 13%. L'alleanza, guidata dai conservatori, ha ripetuto che continuerà a governare con il centrosinistra in minoranza per isolare i Sd, come nella passata legislatura, indipendentemente da quale sia il blocco che otterrà più suffragi.
Ma anche se non ha alcuna possibilità di arrivare al governo, l'influenza dell'estrema destra svedese potrebbe aumentare a un livello senza precedenti. La sua 'corsa' è partita da lontano. Otto anni fa era al sei per cento, quattro anni raggiunse il 13. Adesso punta al 20%. Dati trionfanti che non sono stati scalfiti neppure dagli ultimi scandali: una decina di candidati che hanno dovuto dimettersi per i vincoli o le simpatie con gruppi neonazisti o per le 'uscite' razziste; si è dimesso anche un deputato, portavoce per l'istruzione, Stefan Jakobson, perché è emerso che aveva incluso nelle spese parlamentari viaggi e conti privati.
Del resto, il partito ha saputo approfittare della montante ondata xenofoba e nazionalista soffiando sul fuoco delle paure. La sua campagna elettorale ha ricalcato temi e immagini ben conosciute anche nell'Europa del sud: quartieri di periferia dove gli abitanti vivono nella paura degli immigrati, lampeggianti della polizia, auto che esplodono.
Del resto, i 163.000 richiedenti asilo ricevuti nel 2015 dal Paese (la cifra più alta pro capite dell'Unione europea) hanno messo in ginocchio il sistema di accoglienza svedese, aprendo la porta a misure come l'istituzione di controlli alle frontiere e una legge temporanea per limitare l'accesso allo status di rifugiati e al ricongiungimento familiare. Un po' meno sbandierata, di recente, quello che era invece un cavallo di battaglia appena qualche mese fa: l'idea della Swexit, l'uscita da questa Ue di banche e burocrati che dettano legge dalle loro scrivanie di Bruxelles.
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Adesso il premier uscente, il socialdemocratico Stefan Lofven, chiede agli svedesi che votino per "un governo stabile, capace di guidare la Svezia in questi tempi incerti". Ma questo ex operaio metallurgico ha dovuto difendere il bilancio del suo esecutivo, molto criticato per aver aperto le frontiere della Svezia nel 2014 e nel 2015 a 250mila richiedenti asilo, prima di tornare a chiudere le frontiere. "L'integrazione è la questione vitale della nostra era", gli ha fatto eco Ulf Kristersson, leader del Partito Moderato svedese, mentre il leader dell'estrema destra, Jimmie Akesson, ha accusato il governo di lassismo nella lotta contro la criminalità,incitando "quelli che non si adattano ad andarsene a vivere in un altro paese". Difficile delineare uno scenario, anche se la maggior parte degli osservatori prevede un nuovo governo di minoranza, formato da Lofven, con una minoranza ancora più ridotta di quella attuale.
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Fonte: estero agi