AGI – Angela Merkel, l’eterno paradosso tedesco. Sì, perché è lei, la cancelliera, il convitato di pietra delle elezioni tedesche che si terranno fra un anno. Nei palazzi della politica di Berlino non si sa se guardare con soddisfazione o con terrore ai sondaggi: stando all’ultimissimo rilevamento Fgw, l’ex “ragazza dell’est” gode di una popolarità dell’82%, che va ben oltre il 40% delle intenzioni di voto messe a segno dalla “sua” Cdu/Csu. Qui, però, qualcuno si è messo calcolare quanto vale il “bonus Merkel”. E vale tantissimo: senza la cancelliera, l’Unione tra cristiano-democratici e cristiano-sociali bavaresi è condannata ad un’emorragia di almeno 13 punti.
Miracoli della pandemia, da lei gestita con piglio da scienziata, ma non solo: in 16 anni di regno, la cancelliera ha costruito un consenso trasversale, che va ben oltre il recinto conservatore Cdu/Csu, e per il quale le simpatie per “Angie” in arrivo dagli elettori socialdemocratici e verdi negli ultimi anni si sono solidificate sempre di più. In parte grazie alla “politica delle porte aperte” durante la crisi migratoria del 2015, in parte grazie al suo posizionamento versus Donald Trump e Vladimir Putin, in parte grazie alla svolta del Recovery fund, che ha inaugurato una nuova stagione delle relazioni tra gli Stati del Vecchio Continente.
Insomma, Merkel rappresenta un asso formidabile alle elezioni dell’autunno 2021. Peccato che la cancelliera non ci sarà: “Mutti” (mammina), come la chiamano, ha ribadito sì e non un centinaio di volte che non si presenterà, che quello attuale è il suo ultimo mandato. Il problema è che il voto del 2021 che non solo rischia di cambiare il paesaggio politico della Germania, ma anche e soprattutto di scombinare gli equilibri europei, oggi costruiti sul gioco di sponda tra la cancelliera e la sua ex delfina, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
E allora gli osservatori guardano con un certo imbarazzo al congresso della Cdu che si terrà il 4 dicembre a Stoccarda, dove tre candidati si contendono la successione di Annegret Kramp-Karrenbauer alla leadership, ennesima “delfina” della cancelliera fagocitata dalle convulsioni interne del partito che fu di Adenauer e di Kohl. Che, in effetti, se si esclude il “bonus Merkel”, è lacerato come non mai, indeciso se continuare sul viatico postmoderno e anti-ideologico tracciato dalla cancelliera, oppure se rivestire i panni originari, quelli del conservatorismo popolare e cristiano che riuscì a trascinare la Germania fuori dalle macerie della Seconda guerra mondiale. Vieppiù che i tre sfidanti sono candidati in cerca d’autore: i delegati sceglieranno tra il bonario centrista Armin Laschet, governatore del Nord-Reno Vestfalia, il “miliardario” Friedrich Merz, storico avversario di Frau Merkel, e Norbert Roettgen, presidente della Commissione Affari esteri al Bundestag.
In teoria, il vincitore della disfida sarà in pole position per la cancelliera. In realtà, se c’è una cosa su cui nessuno ha dubbi a Berlino è che tutti e tre paiono debolissimi di fronte all’icona Merkel e a quell’82% di consenso bulgaro. Tanto che si aggira, tra le fila della Cdu, persino lo spettro di una spaccatura del partito. Uno spettro evocato ieri dalla vicesegretaria Silvia Breher, che ha chiesto in termini accorati a colui che sarà il vincitore di “unire il partito, di tornare ad essere una grande squadra”. Ne ha parlato anche lo sfidante Merz, che si è sentito in dovere di assicurare che non ci sarà nessuna scissione, che in caso di vittoria coinvolgerà l’avversario Laschet.
“Niente è sicuro”, ripetono come in un mantra i giornali tedeschi riferendosi al fatidico 2021. Laschet si sente rafforzato dal recente voto delle comunali nel suo Land, dove ha incassato il 34,3% dei consensi: lui giubila, ma è il peggior risultato della storia Cdu in Vestfalia. Ma se Laschet nei mesi scorsi ha avuto in qualche modo la ribalta in quanto governatore, gli altri due durante la fase più tosta della pandemia sono praticamente scomparsi dai radar. Tutto era Merkel, la “Krisenkanzlerin”, la cancelliera delle crisi, a quanto pare l’unica capace di rassicurare i tedeschi.
E poi l’altro grande rompicapo degli analisti è ovviamente quello di quali alleanze si potranno mettere in piedi dopo il voto dell’anno prossimo. La Spd, attuale partner nella Grosse Koalition, non si schioda dal 15%, il risultato peggiore da quando è nata. I Verdi di Robert Habeck e Annalena Baerbock sono ancora in vetta ad un boom che ne hanno fatto, stando ai sondaggi, la seconda forza politica della Germania, tanto che molti profetizzano un’alleanza tra cristiano-democratici e ambientalisti: impossibile, se a vincere dovesse essere Merz, già presidente del consiglio di vigilanza di BlackRock Germany, improbabile se sarà il tenero Laschet, appena più ipotizzabile con Roettgen, che però è il meno favorito dei tre. Paradossalmente, avrebbe più chances l’attuale ministro alla sanità Jens Spahn, la cui popolarità è cresciuta esponenzialmente con la pandemia, ma che ha il piccolo difetto di non essere candidato.
Le cose vanno ancora peggio in casa Spd. I nuovi leader, Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans, non riescono a far riemergere il partito dagli abissi in cui è precipitato nel favore degli elettori, che per la maggioranza ritengono che sia stata proprio la Grosse Koalition a sancirne il destino da perdente. Ma anche a sinistra c’è un deficit di alternative: il voto in Vestfalia ha confermato che ci sono pochi spazi per un’alleanza “rosso-rosso-verde”, ossia con i massimalisti della Linke e i Verdi, dove oltretutto gli orgogliosi nipotini di Brandt e Schmidt si ritroverebbero nei panni imbarazzanti di junior partner. Né ci si attendono grandi palpitazioni su altri fronti: mentre il modernismo dei liberali dell’Fdp non li fa schiodare da un risultato intorno al 5% (sotto il quale uscirebbero dal Bundestag), anche la fiammata dell’Afd, che tanti maldipancia aveva causato nella politica tedesca dopo l’exploit del 2017, sembra ormai concentrarsi solo su Laender dell’ex Ddr: il che potrebbe scatenare un ulteriore elemento di instabilità, se venisse a crearsi una nuova spaccatura tra est e ovest del Paese. Ma a livello nazionale i sondaggi non vanno oltre il 10%, penalizzati dalle lacerazioni interne dopo la cacciata del leader in Brandeburgo Andreas Kalbitz, accusato di eccessive simpatie per formazioni di stampo neonazista.
E Angela? A chi le chiede delle elezioni dell’anno prossimo risponde che “ogni giorno conta, non voglio sprecarne neanche uno”. Dopodiché ripete i punti-chiave della presidenza tedesca del semestre Ue, ossia i suoi cavalli di battaglia: maggiore integrazione, una nuova configurazione delle politiche migratorie europee, la rotta da seguire negli equilibri geostrategici globali, in mezzo alle tormente Usa-Cina-Russia, occhio a cambiamenti climatici, “pericolosi quanto la pandemia”. Ecco perché, insiste, “non ha tempo” di farsi grandi pensieri su cosa fare una volta dismessi i panni da cancelliera. “Intanto continuo a lavorare, poi si troverà qualcosa. Sono ottimista, qualcosa mi verrà in mente”. Tipico di Merkel, e anche un po’ misterioso.
Vedi: La Germania verso il voto del 2021 con lo "spettro" Merkel
Fonte: estero agi