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La festa del lavoro al tempo della pandemia

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Domani sarà un Primo maggio speciale per tutti noi, ma lo sarà ancor di più per tutti coloro che, da tempo ormai, hanno perso il lavoro, senza grandi prospettive di riaverlo nell’immediato futuro, senza alcun risarcimento vero. Col pensiero alle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori, a i morti di Chicago ed alla strage di Portella della Ginestra

di Anna La Mattina

“8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire”
Era questo lo slogan coniato in Australia nel 1855 e condiviso da gran parte del movimento sindacale del primo Novecento.
La festa del lavoro nasce da un contesto storico ben preciso: la condizione disumana dei lavoratori al tempo della Seconda Rivoluzione Industriale, nella seconda metà del secolo XIX. In particolare in seguito ai fatti tragici del 1886 a Chicago, nell’Illinois (USA), in cui fu indetto uno sciopero, organizzato dai sindacati, perché i lavoratori avessero riconosciuti più diritti e più tutele, in particolare le otto ore giornaliere di lavoro, contro le 12/16 ore giornaliere del tempo. Naturalmente la sicurezza sul lavoro non era contemplata e i morti sul lavoro non si contavano neanche. Si faceva largo uso del lavoro minorile e tutti (donne, uomini e bambini) erano sfruttati a più non posso; a quel tempo il lavoro minorile era considerato legittimo, anche con orari di lavoro estenuanti, proprio come per gli adulti, e il lavoro delle donne era considerato inferiore a quello degli uomini, anche retribuito meno, cosa che durò per molto tempo ancora, fino alla legge 903 del 1977, che sanciva, in Italia, la parità salariale tra uomo e donna. Tuttavia il problema non può ancora considerarsi risolto dappertutto, nonostante l’esistenza di una legge.
La protesta indetta dai sindacati di Chicago, che chiedevano la riduzione della giornata di lavoro a otto ore, durò quattro giorni e culminò in una vera e propria tragedia: dal 1 al 4 maggio 1886, si ebbero duri scontri tra polizia e manifestanti pacifici, che chiedevano soltanto più tutele e più diritti: qualcuno lanciò delle bombe che uccisero sei poliziotti e ne ferirono una cinquantina. A quel punto la polizia sparò all’impazzata sulla folla di lavoratori… Mai si seppe il numero preciso dei morti e chi fosse o chi fossero gli autori del lancio di quelle bombe. Per tutto ciò vennero condannati a morte lavoratori innocenti, tacciati di anarchia.
La vicenda americana, ebbe un riverbero anche in Europa, dove si proibirono le manifestazioni e gli assembramenti, in memoria dei condannati a morte di quello storico sciopero.
Gli eventi del Primo maggio di Chicago, ci riportano alla mente il nostro Primo maggio del 1947, a Portella della Ginestra, alle porte di Palermo, quando, per mano della banda di Salvatore Giuliano, separatista, si sparò sui lavoratori inermi, che festeggiavano la festa del lavoro, sui prati di Portella, insieme alle proprie famiglie: donne uomini ed anche bambini morirono quel giorno… chi fossero i veri mandanti di quella terribile strage, non si seppe mai; erano gli anni del governo De Gasperi, con il Ministro dell’Interno Mario Scelba, siciliano di Caltagirone. Nonostante non siano mai stati individuati i mandanti, sono certe le responsabilità degli ambienti politici siciliani del tempo, con l’aiuto di alcune frange statunitensi, interessati a intimidire la popolazione contadina che reclamava la terra e aveva votato per il “Blocco del popolo” nelle elezioni amministrative del 1947.
Come per altre conquiste, nella storia dell’umanità, anche le conquiste per il lavoro più giusto e più umano per tutti, sono bagnate di sangue innocente… esattamente come la conquista della libertà dal nazi-fascismo, nel 1945.
Circa sette mesi dopo la Strage di Portella, il 27 dicembre del 1947, veniva promulgata la Costituzione della Repubblica Italiana, con il suo articolo-manifesto, l’art. 1, che recita testualmente, quasi come pietra miliare, angolare dell’intera Carta: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro”… Ma lo stesso articolo recita anche “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Allora, se il popolo è sovrano (il sovrano è colui che detiene un potere, non sottoposto ad alcuna autorità superiore, seppur, in questo caso, esercitato nelle forme nei limiti della Costituzione!), perché il Popolo sovrano non rivendica il suo diritto al lavoro, nonostante tutto, anche nonostante la pandemia dei nostri giorni, richiamando lo Stato (sancito anch’esso dalla Costituzione repubblicana), ai suoi doveri fondamentali, come quello stabilito dall’art. 4 che recita:
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”? È troppo complicato chiedere ciò che ci è stato già riconosciuto?
Non è complicato avere condotto praticamente alla fame centinaia di migliaia di persone, i lavoratori con partite Iva per esempio, che coraggiosamente si sono inventati il proprio posto di lavoro, quando negli anni ’80 del Novecento, si cominciò a recitare il Mantra del “posto fisso che non poteva essere per tutti”, laddove per “posto fisso”, il lavoratore non intendeva necessariamente fare il dipendente dell’Azienda Stato, ma il diritto ad una regolarità delle entrate, per potere a sua volta ottemperare regolarmente alle uscite, senza l’umiliazione e la disperazione di chi non sa come fare, pur lavorando, come i lavoratori del settore privato, abbastanza spesso disorganizzato e sommerso, specialmente nel Sud. Ricordiamo che, con la chiusura delle piccole e medie aziende, oltre agli imprenditori, molti lavoratori dipendenti hanno perso, di conseguenza, il loro posto di lavoro.
In tempo di pandemia, domani sarà un Primo maggio speciale per tutti noi, ma lo sarà ancor di più per tutti coloro che, da tempo ormai, hanno perso il lavoro, senza grandi prospettive di riaverlo nell’immediato futuro, senza alcun risarcimento vero.
I lavoratori sono i veri costruttori del mondo civile e sono anche portatori di vera cultura. Se lo ricordi bene chi pensa di poter disegnare una società senza di essi e regnare da solo o con pochi altri, all’insegna del “Capitale fine a sé stesso”! Il gioco prima o poi finirà per tutti… anche per loro. Il Capitale non è tutto… Occorre altro.
Auguro a tutti noi di vivere il primo maggio 2021 all’insegna di una profonda riflessione sull’articolo 1 e sull’articolo 4 della nostra meravigliosa Costituzione Italiana.

Nell’immagine: Renato Guttuso, Primo maggio (1956)