di Alessandro Mola
Le elezioni europee del 8-9/6 hanno confermato sempre di più l’impressione che in Italia (e in Europa e forse in ultima analisi in tutto l’occidente) ci si trovi davanti ad una democrazia decisamente invecchiata.
Non solo e non tanto perché sono quasi 80 anni che il nostro paese è tornato ( a testa alta come ci ha ricordato il bel film della Cortellesi..) all’esercizio di una pratica democratica come il voto ma perché questa pratica sembra ormai interessare e coinvolgere solo ( o in maniera prevalente) i cittadini di una certa età.
Con queste elezioni abbiamo toccato il minimo storico nell’affluenza al voto nelle elezioni europee scendendo al di sotto del 50% dei votanti ( 49,68%) con una dinamica che è utile evidenziare:
Come si vede siamo partiti nel 1979 da valori molto elevati e vicini a quelli delle elezioni politiche per la camera che da noi avevano sempre rappresentato un riferimento per il confronto civile , magari duro ma aperto e con gli occhi di oggi, invidiabile.
Da un livello elevatissimo superiore all’80% per tutta la “prima repubblica” ci si era poi assestati fino al 2004 al di sopra del ’70.
La disaffezione di questi ultimi anni è palese e la si coglie prevalentemente negli strati giovanili.
Non è un fenomeno che coinvolge solo le elezioni europee.
Analizziamo l’andamento del voto sia a livello italiano sia a livello Lombardo che rappresenta una situazione certamente più stabile dal punto di vista demografico e inevitabilmente di riferimento.
L’andamento delle % di votanti alle elezioni della camera mostra un significativo e ovvio parallelismo nei due contesti
L’incremento della disaffezione parte alla fine anni ‘70 inizio ‘80 ma negli ultimi anni registra un salto di qualità figlio di un importante salto in termini di quantità
Oltretutto mentre in una prima fase si registra anche un certo peso delle schede bianche e nulle ( in parte figlie di imperizia e/o ignoranza) negli ultimi anni la distribuzione del non voto è legata di fatto solo all’astensione cioè alla scelta aprioristica di non recarsi a votare.
Sul dato della Lombardi, in linea con il dato nazionale è stato possibile stimare a partire dal 1972 l’incidenza del “Non voto globale” in relazione con quella quota di non voto che per comodità chiamiamo “non voto stabile”. Questa seconda quota rappresenta la quota di “non voto” che si ripropone dalla tornata elettorale precedente.
Si tratta di una componente importante, al pari del non voto complessivo in continuo aumento.
Che il non voto rappresenti una quota sempre più “determinante” lo si coglie a pieno dal raffronto tra il peso di questa componente e quello del voto delle liste.
Mentre fino alla fine degli anni ’70 la quota del non voto rappresentava il 15-20% dei voti raccolti dalla prima lista e meno del 10 % di quello raccolto dalle prime 2 ( nel periodo DC e PCI) nelle elezioni del 2022 questa componente rappresenta ormai il doppio dei voti raccolti dal partito più rilevante ( FdI)!
Questo nuovo “mondo elettorale” si presenta ovviamente molto diverso rispetto a quello a cui ci si era assuefatti nel corso della “prima repubblica”; ad esempio rispetto al passaggio diretto da un partito all’altro ( abbastanza raro specie tra schieramenti diversi) favorisce quello da “partito a non voto” e viceversa.
L’allargamento relativo dell’area del non voto (e il contrarsi del peso assoluto dei vari partiti) collegato a questo meccanismo di scambio favorisce al massimo la mobilità , una mobilità favorita anche dalla trasformazione dei vari partiti che nascono e si spengono e in ogni caso si trasformano con relativa facilità.
Se classifichiamo come un voto di continuità quello che sceglie tra una elezione politica e l’altra sempre lo stesso soggetto vediamo come in un primo periodo questo voto include il 70-80% ( sull’intero corpo degli aventi diritto) per poi scendere a livelli un tempo francamente impensabili.
Per alcuni versi la componente che dimostra più continuità tende ad essere rappresentata da coloro che scelgono con continuità di non votare!
Con queste premesse si comprende come si osservino in maniera non trascurabile fenomeni di gonfiamento-sgonfiamento di partiti in altri contesti inattesi. Se rappresentiamo, i dati delle elezioni generali (camera ed Europee con una evidente approssimazione che ci verrà perdonata) riferite alle % sui voti validi delle liste più “stabili” nel panorama elettorale italiano degli ultimi anni quello che appare è una sequenza di “spikes” molto significativa.
Qui vediamo l’andamento a partire dal 2000 della % di voto ( sui voti validi) di PD , Lega e da un certo momento M5Stelle e FdI. Si evidenza nel 2014 il picco “Renzi” del PD salito al 40,8 % e poi precipitato al 18.8% , quello del M5Stelle salito nel 2018 al 32.7% per poi scendere già nel 2019 al 17.1% , quello della Lega salita appunto nel 2019 al 34,3 e poi subito sprofondata all’8.8% per finire con il salto di FdI tuttora in corso.
Se invece della % dei voti validi riportassimo quelli assoluti (con le inevitabili asimmetrie Camera Europee) coglieremmo anche una triste attenuazione.
Non è detto che questa sequenza e questa tipicità debba essere necessariamente ripetuta nel tempo. Certo è l’indicatore di una instabilità del sistema che in qualche modo cerca assestamenti attraverso equilibri ancora molto aperti.
Con queste premesse non è tollerabile che l’attenzione sull’aspetto della partecipazione si concentri esclusivamente nella prima mezzora che precede l’arrivo delle prime proiezioni , per poi svilupparsi invariabilmente solo sulla percentuale dei voti validi.
Sorvolando sull’invecchiamento fin troppo evidente non solo del corpo elettorale ma più di tutto dello strumento stesso alla base del nostro sistema democratico. Si ascolta e si commenta la musica dell’orchestra mentre il Titanic affonda.