AGI – Ci sono tre sondaggi che stanno girando di mano in mano in queste ore nei palazzi del potere di Berlino. E tutti e tre creano panico soprattutto alla Konrad Adenauer Haus, il quartiere generale della Cdu, il partito di Angela Merkel.
Non solo hanno l’acre odore della sconfitta, soprattutto sono la certificazione di uno smottamento potenzialmente dal ritmo incalzante: i cui ultimi capitoli sono la rabbia diffusa per una campagna vaccinale ingolfata dalle burocrazie, il disastro elettorale dei cristiano-democratici nelle voto in due Laender, lo scandalo della compravendita delle mascherine anti-Covid in cui sono coinvolti diversi parlamentari del blocco conservatore, il clamoroso “mea culpa” merkeliano seguito dal dietrofront sul super-lockdown pasquale, lo scontro frontale tra la stessa cancelliera e i governatori dei Laender sulle misure anti-Covid.
Nel primo sondaggio, fresco di giornata, si chiede ai tedeschi chi vedono alla cancelleria dopo le prossime elezioni federali del 26 settembre: in una combinazione di tre candidati, l’attuale leader cristiano-democratico Armin Laschet arriva ultimo con il 17% delle preferenze, superato dal socialdemocratico Olaf Scholz al 18% e, con un certo distacco, dal capo dei Verdi Robert Habeck, che conquista il 22% dei voti.
Le cose addirittura peggiorano se la candidata dei Verdi è la co-leader Annalena Baerbock, sempre al 22%, ma con Scholz e Laschet appaiati ancora più in basso, al 17%. Ad intorbidire il quadro c’è la variante Markus Soeder: se fosse il governatore di Baviera il candidato cancelliere dell’unione Cdu/Csu, le sue chances crescono al 38%, con Habeck al 20% e Scholz al 14%.
In sostanza: è la fotografia di uno spezzatino politico e la predizione di un terremoto, non di una corsa alla guida del Paese più importante al centro dell’Europa. Ma è forse il terzo rilevamento demoscopico il più doloroso: se si votasse oggi per il rinnovo del Bundestag, il partito che fu di Adenauer e Kohl precipiterebbe al peggiore risultato della sua storia, con un desolante 25%, incalzato dai Verdi al 23%. Solo due punti di distacco. Due mesi fa la differenza era di 16 punti.
A maggio 2020, in piena prima ondata della pandemia, erano 20 punti. Si tratta di umori estremamente volatili, corrono a spiegarti gli analisti: certo, ma sono il segno che la crisi si sta ingoiando uno dopo l’altro i potenziali leader del dopo-Merkel, che scatterà ufficialmente il giorno delle prossime elezioni federali, tra appena sei mesi.
In pratica, la Germania che ha portato all’Europa la sua leader per eccellenza – la ‘cancelliera di ferro’, la donna più potente del mondo, secondo la rivista Forbes – sta attraversando la più grave crisi di leadership della sua storia. Prendete il caso di Jens Spahn: quando il modello tedesco in quanto a lotta alla pandemia sembrava ancora vincente, appena qualche mese fa, il giovane ministro alla Sanità era indicato come politico più popolare del Paese, tanto da poter insidiare gli altri papabili alla cancelleria, il governatore del Nord-Reno Vestfalia Armin Laschet, il capo della corrente liberista Friedrich Merz e il presidente della Commissione Esteri Norbert Roettgen.
Mentre questi ultimi due sembrano letteralmente finiti nel nulla, ingoiati dalla pandemia e dalle guerre interne, Spahn è sotto accusa per una campagna vaccinale che procede a passo di lumaca ed è convolto, sia pur indirettamente, nello scandalo del giorno: il suo ministero avrebbe acquistato milioni di Ffp2 dall’azienda nel quale lavora suo marito.
Per quanto riguarda il Laschet, già in pole position a prendere correre come cancelliere, ha inaugurato la sua leadership della Cdu con la doppia debacle elettorale in Renania Palatinato e nel Baden Wuerttemberg.
E come se non bastasse, tutti ritengono che la cancelliera ce l’avesse soprattutto con lui quando ha accusato in diretta televisiva i governatori di ostacolare la linea dura nella lotta al coronavirus, che in Germania non sembra non voler mollare la presa: Merkel è arrivata a minacciare di avocare a se’ tutta la potestà in quanto a misure restrittive in era Covid se i Laender non si decideranno finalmente di tirare il “freno d’emergenza” a fronte delle infezioni e varianti sempre in crescita. Inaudito, in un Paese così orgoglioso nel suo essere federalista.
“Ma chi ha il potere in questo Paese?”, si chiede sempre più sconcertato Handelsblatt, il principale quotidiano economico tedesco. “È ancora la cancelliera in carica Angela Merkel, che nella gestione della pandemia ha mostrato durezza, ma anche alcune debolezze operative che danno molto da pensare? Oppure è Laschet, da lei biasimato, che addirittura chiede aperture condizionate nel lockdown in modo apertamente anti-merkeliano? Opere è il capo della Csu Soeder, che in quanto a consigli ferrei sembra superare la stessa cancelliera?”.
Il giornale tira le conseguenze: “Quel che stiamo vivendo è il triangolo delle Bermuda dell’Unione Cdu/Csu, nella quale la prima a scomparire l’unità interna, seguita dal buon nome e infine il potenziale successo elettorale”.
Il punto è che l’unione tra cristiano-democratici e cristiano-sociali il potere rischiano di perderlo davvero alle elezioni federali, e questo dopo ben 16 anni ininterrotti al governo, nel segno merkeliano ovviamente. Così come già avviene in Renania Palatinato e come potrebbe verificarsi nel Baden Wuerttemberg, crescono drammaticamente le possibilità di una coalizione ‘semaforo’, ossia composta da Verdi, socialdemocratici e liberali, sloggiando l’attuale Grosse Koalition tra Cdu/Csu ed Spd.
In sostanza, la tentazione di fare a meno della ‘balena bianca’ tedesca è fortissima. Tanto che Olaf Scholz, candidato socialdemocratico alla cancelleria, ha esultato: “Tutto è possibile”. In teoria, è possibile anche che sarà lui a sedersi sulla poltrona oggi occupata da Frau Merkel: non fosse che ad oggi l’Spd, incapace di capitalizzare alcunché dalla crisi del mondo cristiano-democratico in questo lungo tramonto merkeliano, nei sondaggi non esce dal recinto del 15-17%.
Un po’ poco per aspirare a guidare il prossimo esecutivo. Evidente che a giubilare attualmente siano i Verdi, il cui boom pare inarrestabile e che finora sono quelli che ci guadagnano di più dalle convulsioni degli altri partiti.
Ma pure gli ambientalisti esitano a formalizzare il proprio candidato alla cancelleria, incerti tra il “filosofo” Habeck e la “pragmatica” Baerbock (che comunque ha ammesso che sarebbe “un piccola coltellata al cuore se non fossi io la candidata”). Sebbene i giornali si sprechino nel declinare scenari in cui il prossimo cancelliere sia verde, è un fatto che la loro avanzata verso il potere reale è ancora una pagina bianca, tutta da scrivere.
Molte e grandi le ipoteche sul loro cammino: dalla diffidenza di buona parte del mondo industriale e finanziario, che potrebbe essere superata nel caso di una coalizione insieme alla Cdu/Csu a fare da garante, più difficile nella combinazione ‘semaforo’ con altri due partiti in crisi d’identità come quello socialdemocratico e quello liberale.
E poi? Dopo il voto nel Sud-Ovest del Paese dello scorso 14 marzo, il prossimo scoglio sono le elezioni del 6 giugno in Sassonia-Anhalt: e qui la situazione potrebbe rivelarsi ancora più confusa. In questo Land dell’ex Ddr governa dal 2016 una coalizione a tre formata da Cdu, Spd e Verdi: ma la seconda forza politica è l’Afd, con oltre il 24% dei voti, seguita dalla Linke, il partito della sinistra, oltre il 16%.
Se anche qui per i cristiano-democratici dovesse essere un bagno di sangue, le trattative di governo potrebbero rivelarsi un labirinto ad alto rischio. Senza considerare, ovviamente, le conseguenze sull’appuntamento con le urne nazionali potrebbero essere ferali.
Tra coronavirus che non si ferma, l’autorità della cancelliera contestata sempre più sfacciatamente dai Laender (le sue “scuse” e quell'”l’errore è solo mio” sul lockdown pasquale, si sibila a Berlino, altro non sono stato che un contrattacco) e guerra fratricida nel mondo conservatore, le previsioni dei commentatori si fanno via via più fosche.
“Sulla lista dei danni sociali provocati dalla pandemia entro breve se ne potrebbe annotare anche un altro: l’unione Cdu/Csu. Se non altro come la conoscevamo, ossia come l’ancora di stabilità della vecchia Repubblica federale.
Anzi, come ultimo partito popolare d’Europa”, scrive sulfureo il principale editorialista della Welt, Robin Alexander. Secondo il quale, i principali esponenti dei due partiti “si danneggiano a vicenda, in una forma finora sconosciuta”, con la cancelliera che mena fendenti sul capo del suo partito, il mite Laschet. Questo mentre “Soeder si mette in scena da mesi come figura alternativa” al leader della Cdu.
Il risultato? “Con i casi di corruzione sullo sfondo, queste cabale spaventano gli elettori”, annota sempre Alexander. Che conclude il suo pezzo con una sorta di epitaffio: “Se i grandi dell’Unione non ce la faranno a decidere di risolvere la lite intorno alla candidatura per la cancelleria, alla fine potrebbe rivelarsi del tutto irrilevante chi lo vince”.
Source: agi