Le conclusioni del secondo stress test della Bce sulla transizione green
Solo una transizione ecologica accelerata non genererebbe rischi finanziari, ambientali e aziendali troppo difficili da affrontare.
Questa, in estrema sintesi, è la conclusione del secondo stress test climatico di rilevanza macroeconomica sul rischio di transizione verde fatto dalla Bce che ha analizzato investimenti tra i 2.500 e 3.200 miliardi da mettere sul piatto da qui ai prossimi 8 anni.
Più nello specifico, la Banca centrale europea ha spiegato che gli investimenti nella transizione verde e nelle energie rinnovabili deve essere rapida per aumentare la stabilità finanziaria, ridurre i costi a medio termine e abbassare i rischi fisici, che derivano dalla maggiore frequenza e dall’entità dei disastri naturali, per imprese, famiglie, banche e investitori istituzionali.
Mentre il primo stress test analizzava come i rischi fisici e di transizione aumentino la probabilità che le aziende non ripaghino il proprio debito economico, il secondo esamina le sole conseguenze finanziarie della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Inoltre, il test di settembre 2021 analizzava un periodo di 30 anni e non conosceva ancora lo scenario energetico attuale scatenato dall’aggressione russa in Ucraina.
Per il suo studio, la Bce ha analizzato scenari che coprono il periodo 2023-2030 suddividendoli in 3 tipologie:
– Transizione accelerata;
– Transizione differita;
– Transizione ritardata
Il risultato è che più la transizione verde è lenta e indecisa, più il rischio di credito peggiora e la probabilità di default aumenta. Chiaramente, nel caso della transizione accelerata, imprese e famiglie devono anticipare costi maggiori rispetto agli altri due scenari.
“Procrastinare può essere più facile e meno costoso nell’immediato, ma significa che pagheremo di più dopo”, spiega il vicepresidente della Bce Luis de Guindos sul blog della Bce, che ha aggiunto: “Dobbiamo raggiungere la neutralità carbonica per evitare rischi esistenziali alla natura, alle persone, alle nostre economie”.
Prima di passare ai 3 scenari, una doverosa premessa.
I rischi finanziari legati al cambiamento climatico
Uno dei parametri analizzati è il rischio di credito legato ai cambiamenti climatici. L’effetto domino che si potrebbe verificare è il seguente: il costante aumento delle catastrofi ambientali aumenta esponenzialmente il rischio fisico per le aziende, che, di conseguenza, potrebbero diventare insolventi nei confronti delle banche che hanno prestato denaro. Quanto successo in Emilia-Romagna dopo l’alluvione dello scorso maggio è un chiaro esempio di come il cambiamento climatico possa mettere in ginocchio un’intera economia.
Le conseguenze finanziarie legate al cambiamento climatico possono derivare sia dai rischi fisici, come i danni alle materie prime, agli immobili e alle infrastrutture, sia dai rischi di transizione, come i cambiamenti delle norme o delle condizioni di mercato che potrebbero influire sulla solvibilità dei debitori.
Nella gestione del rischio di credito, le istituzioni finanziarie sono tenute a prendere in considerazione i rischi climatici e ambientali in tutte le fasi rilevanti del processo. Gli effetti dei cambiamenti climatici possono generare rischi finanziari significativi a lungo termine per le istituzioni finanziarie. Allo stesso tempo, la mancanza di informazioni e piani di transizione può portare a perdite finanziarie, in un contesto in cui i consumatori e gli investitori chiedono alle imprese maggiore trasparenza e un impegno concreto per le tematiche Esg.
La transizione accelerata
La “transizione accelerata” consiste nell’anticipare gli interventi anche per fronteggiare l’improvviso aumento dei prezzi dell’energia. In questo scenario si prevedono investimenti in energia rinnovabile pari a 2.000 miliardi di euro da parte delle imprese dell’area Euro entro il 2025.
Secondo l’ente presieduto da Christine Lagarde, questa strategia permetterebbe all’Ue di centrare gli obiettivi fissati con l’Accordo di Parigi (aumento di +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali), portando a una drastica riduzione delle emissioni entro il 2030.
Secondo le proiezioni della Bce, entro il 2030, se si verificassero scenari estremi, le banche potrebbero subire perdite fino al 48% del loro portafoglio crediti nel caso della transizione accelerata.
La transizione differita
In questo secondo scenario, vengono ipotizzati investimenti verdi per “soli” 500 miliardi entro la fine del 2025. Nella “transizione differita”, la transizione verde inizia più tardi ma comunque in maniera molto intensa dal 2026 e riesce a centrare gli obiettivi di emissione entro il 2030 con un costo totale di 3.000 miliardi di euro.
Secondo le proiezioni della Bce, entro il 2030, se si verificassero scenari estremi, le banche potrebbero subire perdite fino al 48% del loro portafoglio crediti nel caso della transizione differita.
La transizione ritardata
La “transizione ritardata” inizierebbe nel 2026 come nel secondo scenario ma sarebbe più lenta. Con questo andamento, riferisce la Bce, non si centrerebbero gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Questa sarebbe la strategia più rischiosa, in quanto negli altri due scenari i benefici della transizione migliorerebbero anche le prestazioni del settore creditizio.
Secondo le proiezioni della Bce, entro il 2030, se si verificassero scenari estremi, le banche potrebbero subire perdite fino al 78% del loro portafoglio crediti nel caso della transizione ritardata.
Chiaramente le banche sono invitate ad aumentare gli accantonamenti almeno dello stesso importo e ad anticipare investimenti green per ridurre costi e rischi nel medio termine.
Fonte: Adnkronos