Rungstead 1885 – 1962
Di Claudia Brigato
“…il destino degli altri può servire, rispetto al proprio, quasi solo come chiarimento…”1
La vita di Karen Dinesen, poi baronessa Blixen a seguito delle nozze con il cugino Bror, è il racconto di una fedele ostinazione a compiere fino in fondo il proprio destino, di donna e scrittrice, con la determinazione di chi, solo nell’accettazione profonda della sorte, sa di poter perseguire l’umana, tormentosa ricerca della felicità. Una vita che potremmo narrare divisa da uno spartiacque profondo: gli anni africani tutti centrati intorno alle fatiche legate alla coltivazione della terra e ad un amore nato in quei luoghi, quello con Denis Finch-Hatton, e gli anni del ritorno in Danimarca, in cui Karen maturò e si affermò come una tra le più note scrittrici del panorama europeo e statunitense.
Gli anni dell’infanzia e della prima giovinezza trascorsero invece per Karen e per i quattro fratelli, a Rungstead, un piccolo paese sul mare, posto tra Copenaghen e Elsinoire, un porto battuto dai venti freddi del Nord. Il padre, Wilhem Dinesen, apparteneva a una famiglia di ufficiali e proprietari terrieri, ma abbandonata ben presto la carriera militare emigrò in America dove visse tra i nativi indiani come cacciatore e mercante di pelli. Qui imparò il linguaggio segreto e nascosto della natura che trasmise alla piccola Tanne (il soprannome famigliare di Karen), unitamente all’anelito alla libertà e a quella propensione nell’immaginare e raccontare storie che divenne poi la cifra stilistica caratterizzante il talento letterario della figlia.
Fu profonda e radicale l’influenza del padre nel formarsi della lenta ma inesorabile vocazione letteraria di Karen, la quale in una lettera del 1921 alla madre, così ne sottolineava il profondo debito:
Ma se ci riuscirò e se ce la farò a concludere qualcosa nella mia vita, se un giorno potrò vederla con calma e chiarezza, sarà merito di papà. Saranno stati il suo sangue e il suo spirito ad aiutarmi a continuare.2
Dinesen morì suicida nel 1895, lasciando Karen all’età di dieci anni a dover fare i conti con “la più grande disgrazia della vita”3. Ad assumere le redini di tutta la famiglia fu pertanto la madre Ingeborg Westenholz, che educò i figli secondo una disciplina morale descritta da Karen come priva “del gusto di divertirsi – o, per dirla con simboli, di godere il vino della vita – e tendeva a credere che la felicità umana consistesse in una dieta di pane e latte”4; per via di quella sua appartenenza alla Congregazione religiosa unitaria verso la quale ben presto la Blixen finì per ribellarsi definendosi una pagana umanitaria5.
L’influenza materna fu comunque determinante non solo per la formazione di Karen, ma anche per la sua futura realizzazione: fu infatti la madre ad accompagnarla e seguirla nello studio, a finanziarla poi nell’avventura africana e a riaccoglierla a casa dopo il fallimento che ne conseguì, incitandola a perseguire la sua vocazione letteraria, senza mai ostacolarla, ma cercando di favorire la sua volontà di affermazione e il suo talento. Compiuti dunque i primi studi sotto la guida della madre e della zia Bess, Karen seguì i corsi presso l’accademia delle arti di Copenaghen, dedicandosi in modo disordinato all’attività di pittrice.
Nel 1907 esordì con la sua prima prova letteraria: un racconto pubblicato nella rivista «Tilskuen», che tuttavia passò quasi inosservato. Inquieta e malinconica, con una vita sentimentale confusa e soggetta a corteggiamenti di poco conto, si innamorò, non corrisposta, del cugino Hans Blixen, finendo per sposare il fratello gemello Bror con il quale iniziò l’avventura africana acquistando, nel 1913, una piantagione di caffè nei pressi di Nairobi. Qui Karen trascorse diciassette anni di bellezza e tormento dovuto da un lato alla malattia venerea trasmessale dal marito (dal quale, suo malgrado, finì per divorziare nel 1925) che la obbligava a continue cure, dall’altro alle difficoltà economiche legate alla piantagione di caffè, che mai riuscì realmente a decollare. Blixen tuttavia, amò profondamente l’Africa e le sue genti, così come emerge nello scritto postumo, La mia Africa, pubblicato nel 1937, nel quale il respiro immenso dei giorni africani e la dedizione verso i nativi, assumono i contorni di un racconto senza tempo, universale e costantemente presente, sempre sul punto di accadere di nuovo.
Gli anni africani furono fondamentali per Karen anche dal punto di vista sentimentale: conobbe e si innamorò di Denis Finch-Hatton, con cui condivise la passione per i safari, per la musica classica e la letteratura e che fu ascoltatore eletto delle storie con cui lei sperimentava ed esercitava la propria creatività e l’ironia sagace che la caratterizzava.
Il 1931 fu un anno tragico: Finch-Hatton morì in un incidente aereo e la Compagnia che gestiva la piantagione, in balia dei dissesti finanziari, obbligò Karen ad abbandonare definitivamente l’Africa e a far rientro in Danimarca, dove sino alla fine dei suoi giorni si dedicò alla scrittura. Per lei fu come affrontare una discesa agli inferi: “la sua vita cessò nel momento in cui iniziò a scrivere sul serio. Eros fu trasformato in poesia, la vita in arte…”6.
Le sue raccolte di racconti, da Sette storie gotiche, a Racconti d’inverno e Capricci del destino, passando per il romanzo I vendicatori angelici e ancora Ombre sull’erba e Racconti postumi, la portarono ad essere riconosciuta tra i più grandi scrittori del secondo Novecento. Composti prevalentemente nel raccoglimento di Rungstead, in essi viene sperimentato un genere letterario nel quale la trasposizione mitica e archetipica del racconto si fonde ad elementi autobiografici, universalizzandoli. Gli anni che seguirono il rientro dall’Africa, furono interamente dedicati alla scrittura, che divenne il senso primo e ultimo della sua esistenza: non più i cieli sconfinati delle pianure del Ngong, non il mistero animista custodito dai nativi, non le battute di caccia in sfida ai leoni, ma la nuda bianca pagina, i neri tasti della Corona, e la sua straordinaria, animata e viva fantasia.
Karen Blixen morì in un pomeriggio di fine estate del 1962, accanto a lei i famigliari e gli amici della rivista «Heretica», con i quali per anni aveva collaborato dibattendo intorno alla sua idea di arte.
Osservò le stelle che erano lassù e pensò di essere stato condotto a percorrere strane vie. – Le ali che ho guardato e desiderato tutta la vita, -si disse- mi sono state finalmente accordate, perché io le possa ripiegare! Grazie a coloro nelle cui mani sono stato e sono. 7
Karen Blixen, Lettere dall’Africa, Milano, Adelphi 1987, pag. 275. ^
ID., pag. 134. ^
ID., pag. 204. ^
ID., pag. 165. ^
O.Wivel, Karen Blixen. Un conflitto irrisolto, Milano, Iperborea 2002, pag. 105 ^
Fonte: enciclopedia delle donne