Berlino 1895 – Berlino 1969
Molte donne presero parte alla lotta contro il nazifascismo. Fra loro si contano naturalmente anche diverse artiste; particolarmente documentato questo aspetto nel percorso delle scultrici Jenny Wiegmann e Bianca Orsi, le pittrici Elsa Oliva e Adriana Filippi, la pittrice e ricamatrice Irma Marchiani.
In Germania le donne vennero accolte nell’Accademia Statale di Belle Arti solo a partire dal 1919. Fino ad allora gli studi d’arte accessibili erano quelli privati, sempre costosi, oppure le scuole di decorazione e arti applicate; inoltre per le artiste era sempre un’impresa ardua perfino procurarsi il materiale e gli spazi adatti alla scultura. Anche Jenny si formò tra Monaco e Berlino frequentando istituzioni private femminili, ma tra il 1914 e il 1917 poté studiare alla Lewin-Funke-Schule, scuola di pittura e scultura aperta a entrambi i sessi, dove si cominciava ad ammettere anche le donne agli studi di nudo.
Dopo aver approfondito lo studio dell’arte antica sotto la guida di August Kraus, Jenny concentrò il suo interesse sulla scultura. Dal 1919 al 1923 seguì un corso di modellato nel quartiere di Charlottenburg dove aveva ripreso vigore – con il realismo espressionista di Barlach e Käthe Kollwitz, artista da lei particolarmente stimata – la tradizione dell’intaglio in legno, tecnica aspra che grande fortuna aveva avuto nella figurazione gotica e che Wiegmann apprese dal maestro Hans Perathoner, scultore sud tirolese.
Jenny non aderì propriamente al movimento espressionista, ma avviò una sorta di contaminazione tra forma classica e primitivismo, partecipando a diverse mostre. La produzione di questo periodo è esemplificata dalla Testa maschile (Berlinische Galerie), di impronta purista, ma già stilizzata e moderna. Di questi anni è anche il matrimonio con lo scultore Berthold Müller (1920), la conversione di entrambi al cattolicesimo e la decisione di visitare l’Italia. La scultrice soggiorna a Roma (ottenendo alcune commissioni dal Vaticano) e a Ravenna, che con il mistico splendore dei suoi mosaici suscita in lei un’impressione profonda. Sempre agli anni ‘20 risale l’ingresso di Jenny nell’associazione delle artiste berlinesi e il suo avvicinamento al movimento artistico della Secessione, in polemica con le Accademie.
Al coinvolgimento nel dibattito artistico si affiancava il suo impegno politico. Già nel 1918 Wiegmann partecipa insieme ad altri intellettuali ai moti rivoluzionari di Monaco, presupposto di quella Repubblica di Weimar che avrebbe introdotto il suffragio universale tramite la Costituzione, e che però non avrebbe retto alle pressioni economiche e politiche degli anni successivi. Queste esperienze avrebbero lasciato un segno duraturo nella scultrice, che ancora nel 1956 vi farà riferimento con il Busto omaggio a Rosa Luxemburg. Quando gli eventi precipitarono, con Hitler al potere e l’incendio del Reichstag, molti oppositori decisero di lasciare la Germania. Nel 1930 anche Jenny si era già trasferita a Parigi, dove frequentava il gruppo degli artisti italiani: Severini, De Pisis, Tozzi, i fratelli De Chirico. Nel 1937, alla stessa Esposizione Universale in cui Picasso presentò Guernica, Jenny Wiegmann vinse la medaglia d’oro per la scultura.
Nel frattempo si era separata dal primo marito e aveva incontrato l’architetto italiano Gabriele Mucchi, che sposò nel 1933. Il trasferimento a Milano permise alla coppia di allargare la propria cerchia; il loro studio era frequentato da innovatori come Adriano Olivetti ed Ernesto Treccani, fondatore della rivista “Corrente”, e naturalmente da artisti: Campigli e Cantatore, Quasimodo, Saba, Sinisgalli, Gatto, Guttuso. Politicamente il clima italiano era turbolento quanto quello tedesco, ma sul piano culturale sembrava promettente e vivace; si discuteva di impegno civile, di cultura dominante e cultura popolare, di arte figurativa e non figurativa. La scultrice (ormai conosciuta come Genni) partecipò alla Triennale del 1933 con l’opera Fanciulla nel sole, ricavata in un materiale povero e scabro come il cemento e per questo vicina non solo alle proposte di Sironi e Fontana, ma anche al nuovo corso dell’architettura d’avanguardia. Tuttavia le scelte formali di Genni, senza condurre all’astrattismo, comunicavano soprattutto una profonda sensibilità nei confronti della vita reale e dei suoi travagli.
Con l’inasprimento del regime fascista, in Italia crebbe un vasto movimento di opposizione che fece incontrare gruppi sociali diversi; tra le organizzazioni giovanili entrarono in fermento persino alcuni Guf, i Gruppi Universitari Fascisti, voluti in origine per orientare il consenso, ma in seguito capaci di una certa autonomia di pensiero e azione. Alcuni artisti di Novecento, il movimento organizzato da Margherita Grassini Sarfatti, dopo una prima adesione alla propaganda trionfalistica del fascismo abbracciarono un naturalismo severo e presero le distanze dalla retorica della romanità. Di fronte a questa evoluzione, nel 1940 la rivista “Corrente” venne soppressa per diretto ordine di Mussolini, ma la censura rinforzò la vocazione polemica e libertaria del gruppo, che maturò una crescente missione antifascista.
Presto l’Italia fu trascinata in guerra e sperimentò un periodo di ulteriore violenza, con razionamenti e bombardamenti. Durante il conflitto mondiale la casa Mucchi-Wiegmann venne colpita, molti componenti del gruppo subirono arresti, persecuzioni e aggressioni. A questo punto Genni e Gabriele sentirono la resistenza attiva come un dovere: lui partì per la Val d’Ossola con altri partigiani e lei divenne staffetta, impegnandosi anche a fornire soccorso ai ricercati politici e agli ebrei.
Per i partigiani queste attività erano il naturale sbocco di una visione del mondo basata sul senso della giustizia, sulla solidarietà con gli oppressi e sulla fede nell’umanità, convinzioni che nel dopoguerra accompagnarono sempre Genni nel suo attivismo per la pace e contro ogni sopraffazione. La scultrice non smise mai di coltivare con l’impegno libertario anche la ricerca artistica, senza sacrificare nessuno dei due aspetti. Anzi, la potenza espressiva delle sue opere si è sempre sostanziata di passione politica attraverso le lotte in difesa dei diritti umani.
Temendo che, nel fermento della ricostruzione, la memoria degli eventi culminati con la Liberazione potesse lentamente sbiadire, a fine guerra Genni decise di continuare a testimoniare con l’arte le esperienze della sua generazione. Risale al 1953 la figura scarna del Partigiano impiccato, ricavata nella materia aspra e graffiata del cemento. Di impatto altrettanto potente è la scultura dal titolo No alla guerra, intagliata nel 1950 nella trave di una casa bombardata. Gli anni ’50 videro Genni collaborare anche a diversi monumenti pubblici, primo fra tutti quello dedicato alla Resistenza che la città di Bologna aveva commissionato a Piero Bottoni e Stella Korczynska.
Wiegmann visse gli ultimi anni spostandosi tra Berlino, nella zona Est che sperimentava il socialismo, e Milano; questa città, a quel tempo fattiva e concreta ma anche solidale e culturalmente sensibile, apprezzava dell’artista tedesca sia l’energia che il linguaggio, poetico e universale nella sua semplice eloquenza.
In realtà la società uscita dal conflitto mondiale non era affatto pacificata, con la Germania divisa, le potenze coloniali ancora minacciose e le nuove guerre nei diversi continenti. Fedele alle sue convinzioni, Genni produsse opere su temi nevralgici come la pace e il lavoro, il razzismo e il bisogno di libertà; ne sono la prova alcune realizzazioni che si riferiscono ai movimenti anticoloniali nordafricani (Fuoco in Algeria, Interrogatorio in Algeria), due sculture dedicate al dramma vietnamita (Anno 1965 e II grido) e l’omaggio a Lumumba, eroe delle lotte di indipendenza congolesi.
Nella produzione complessiva di Genni non mancano opere intimiste e spirituali – probabilmente ascrivibili anche al suo incontro con il pensiero cristiano – come la ragazza distesa in Le ciel est triste et beau (1935), gli Angeli, alcuni Crocifissi e le Danzatrici; ma le interpretazioni di Genni avevano sempre un taglio molto reale e corporeo; perfino il tema dell’Uragano (1965) si sostanziò di una forma umana, scarnita e avvolta in vesti sbattute dal vento. Fra i ritratti, quelli di personaggi di successo (il musicista Paul Dessau e Maria Callas) convivevano accanto alle rappresentazioni della gente comune, come la Nuotatrice, la Malata o la Contadina incinta, ciascuna alle prese con diversi gravami del vivere.
Il linguaggio plastico di Genni si articola tra primitivismo ed espressionismo; è figurativo perché l’artista ritraeva donne e uomini della quotidianità, ma non si fermava alla semplice descrizione: esprimeva in modo lirico un sentire che nasceva dal profondo. Le sue sculture erano ruvide ed essenziali, si affidavano ai tratti significanti di un gesto, di un abbandono delle membra o di una posizione raccolta, di un movimento del capo.
Nell’invitare alla riflessione sui destini umani Wiegmann adottava le finalità dell’arte classica, ma le declinava con una forma moderna e brusca, coerente con i contenuti: raccontava l’attualità senza retorica, ne denunciava gli elementi di degrado, ma apriva anche alla fiducia nel futuro.
Genni non condivideva, infatti, l’atteggiamento decadente di alcuni artisti contemporanei, che si percepivano fragili e in balìa di forze inesorabili. A questa visione opponeva piuttosto la necessità dell’azione e la speranza di riscatto, realizzabili attraverso pratiche di solidarietà e di presa di coscienza collettiva.
La sua arte poneva come protagoniste soprattutto le donne; sottraendole alla condizione di marginalità in cui l’arte tradizionale continuava ad inquadrarle, la scultrice le illuminava attraverso uno sguardo totale, considerando in modo integrato il corpo e l’interiorità: le mostrava attive e pensanti, proiettate sempre a costruire il nuovo anche dove ciò poteva sembrare impossibile.
Le figure femminili di Genni sono rappresentate spesso nella loro lotta per la sopravvivenza, intente a fronteggiare precarietà ed emergenze di ogni tipo (fame, violenza, solitudine, sfruttamento). In questa scelta si percepisce anche la lezione politica di Käthe Kollwitz: come lei Wiegmann era un’attenta osservatrice e raccoglieva l’esperienza di vita delle donne, di chi fa i conti con la concretezza quotidiana, ma non si rassegna al dolore e all’oppressione. Eppure, andando oltre questo modello, l’arte di Genni talvolta poteva diventare poeticamente immaginifica: si veda la scultura conosciuta come Donna che vola, pensata per accompagnare le idee innovative dell’amico Adriano Olivetti e da lui collocata nell’emporio di Napoli. La figura in gesso, spostata ad Ivrea dopo i bombardamenti, in origine era appesa nella parte alta della vetrina e appariva bianca e fluttuante, con le braccia rivolte verso un oggetto pieno di promesse: una macchina per scrivere.
Di Lidia Piras – Fonte: https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/jenny-wiegmann-genni/