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Jacques Maritain e la necessità di pensare “metafisico”

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In molti nel Novecento hanno decretato la morte della metafisica. Il filosofo francese, scomparso 50 anni fa, ne ribadisce la centralità e la vitalità per ogni società

Anticipiamo parti dell’introduzione di Vittorio Possenti al suo Incontrare l’esistenza. Jacques Maritain e la metafisica (Studium), pubblicato in occasione dei 50 anni della morte del filosofo francese.

Ogni metafisica, comprese quelle che rigettano tale termine in quanto post o anti metafisiche, volenti o nolenti ha a che fare con la questione dell’ente e dell’essere e con il nostro “incontro” con esso. Jacques Maritain è un grande Maestro in tale cammino, particolarmente impervio nell’ultimo secolo, quando sulla bocca di tanti risuonava la formula della crisi (o della morte) della metafisica occidentale, un mantra ripetuto in maniera indifferenziata. In effetti la Metafisica non esiste, esistono diverse metafisiche e per dare decoro e solidità al discorso filosofico, che non può rinunciare al logos e all’argomentazione, bisogna tenerne conto. La ricerca metafisica e la filosofia prima, vertendo sul sapere più alto, sono sempre state luoghi di ardua profondità, e niente oggi o domani le muterà in saperi agevoli. È più facile rigettare l’idea stessa di ricerca metafisica che impegnarsi a bene intenderla.

I grandi decostruttori, tra cui Nietzsche, Heidegger e Severino, hanno abusato del concetto di “fine della filosofia occidentale”, che conduce alla nullità tutto il pensiero dell’occidente dagli albori greci a noi, secondo diagnosi epocali e talvolta profetiche. Vladimir Solov’ëv pubblicò nel 1874 La crisi della filosofia occidentale, acquistando una primogenitura, che però va ben compresa e ridimensionata; per Solov’ëv l’Occidente è l’Europa senza l’Oriente russo-slavo, e la crisi (non la morte o la fine) di cui egli parlava era temporalmente molto più limitata, e identificabile nel percorso della moderna filosofia europea, specialmente quella settecentesca (Kant e Schopenhauer) e quella ottocentesca. I principali avversari di Solov’ëv erano il positivismo e Comte, che allora dominavano. In certo modo Solov’ëv e Maritain possono essere accostati in quanto il secondo ha sostenuto non la fine del pensiero occidentale dai Greci a noi, ma la conclusione del ciclo metafisico europeo moderno, durato circa 3 secoli (da Cartesio a Gentile per dirla in breve), mentre da tempo vigoreggiano il postmoderno, il postmetafisico e il decostruttivismo.

Una rinascita o una ripartenza può avvenire sulla scorta di qualcosa di grande: di un pensiero secolare orientato verso il vero, ma che è stato messo a lato durante buona parte della modernità a favore del “moderno” come tale, mentre la tradizione sussisteva ma lateralmente. Chiamiamo “filosofia dell’essere” tale tradizione che possiede un punto di eminenza nel gesto inaugurale di san Tommaso d’Aquino. Il termine è stato impiegato nel XX secolo da un gruppo di filosofi tomisti celebri, tra cui E. Gilson, C. Fabro, J. De Finance, M. Krapiec, R. Garrigou-Lagrange, J. Maritain. Essi si sono battuti per la permanenza storica di tale filosofia […]. La sua vicenda non si è chiusa con l’inizio della modernità, ma ha sperimentato nuove partenze, in specie nel secolo scorso, nel quale metafisica e antimetafisica si sono combattute come forse mai. Il tomismo e la sua concezione dell’essere sono stati tratti fuori da antichi scaffali e cassetti delle biblioteche e portati al centro del dibattito sulla sorte della metafisica.

Il XX secolo, insieme alla crisi della metafisica moderna, ha visto la ripresa di tale tradizione con un rinnovato impegno di confronto discernente con la modernità speculativa. Da Antimoderno (1922) a Il contadino della Garonna (1966) Maritain reitera la critica agli “ideosofi” moderni, sostenendo che la filosofia dell’essere è in potenza attiva verso il futuro. Maritain vede nella filosofia di Tommaso un progresso consistente nello sviluppo delle migliori virtualità dell’aristotelismo, per cui la metafisica dell’Aquinate e la corrispondente concezione dell’essere non può venire intesa come esclusivo ritorno ai Greci, come hanno ritenuto altre scuole della metafisica classica del ‘900. La filosofia dell’essere ha stabilito con l’Aquinate quanto ho chiamato la “terza navigazione” nella storia della metafisica, ossia la scoperta di una concezione dell’essere più alta e compiuta di quella propria dei Greci. In tal senso Tommaso non è stato un aristotelico in più.

Il cinquantesimo della morte di Maritain (1973) fornisce l’occasione opportuna per soffermarci sul suo pensiero speculativo e metafisico, e sulla ricezione di questo in Italia. La ricerca metafisica, che è al cuore della sua filosofia, ha sinora ricevuto una attenzione sorprendentemente scarsa. In Italia (e altrove) la maggior parte dell’interesse verso Maritain ha continuato a essere rivolto al suo pensiero storico-politico, al suo personalismo, alla filosofia dell’arte, alla proposta spirituale-contemplativa, molto meno al nucleo speculativo. Nella filosofia europea si diffondono il pensiero postmetafisico, il postmoderno debolistico, la decostruzione sistematica, un’insistenza su autori vicini temporalmente, col presupposto più o meno esplicito che gli autori precedenti fossero ormai muti, e le loro dottrine superate. È quanto il pensatore francese chiama col nome di cronolatria epistemologica. Ciò che è di questa mattina, già sarà nel pomeriggio prossimo a scadere. Il clima filosofico (europeo e italiano) era perciò inospitale alla recezione del filosofo francese.

A questa situazione si aggiunga che in larghi settori della filosofia italiana manca un qualsiasi resoconto sui motivi per cui il sapere metafisico è vitale per ogni società, anzi si pratica una presa di distanza apriorica nei suoi confronti, e non pochi si fanno un vanto di proclamare questa astenia metafisica. Alla filosofia si assegna un oggetto che si limita programmaticamente solo al mondo umano. Di conseguenza una parte consistente della filosofia italiana degli ultimi settant’anni si è definita contro l’idea stessa di un sapere metafisico. Quanto Hegel scriveva a suo tempo: «Ciò che prima si chiamava metafisica è stato, per così dire, estirpato fin dalla radice, ed è scomparso di fra le scienze», vale in certa misura anche oggi. Hegel ricercava il punto da cui operare il cominciamento della scienza o sapere: anche noi dobbiamo porre la stessa questione. Egli rispose che occorreva partire dal pensiero puro, astratto e indeterminato a cui poi la logica aggiungeva in certo modo a priori le proprie categorie per ottenere «la vera e propria metafisica, ossia la pura filosofia speculativa», apparentemente raccordabile a quella greca. Da parte nostra sosteniamo che per rimettere in piedi l’edificio della scienza, ossia la filosofia prima, occorre partire non dal pensiero, né dall’essere astratto e indeterminato della logica, ma dell’ente (ens) come trascendentale fondante e pregno di tutte le sue infinite determinazioni.

Nei decenni a cui alludiamo anche nell’area del pensiero cattolico si segnala un certo “fideismo” e declinante fiducia verso la metafisica, ritenuta forse un retaggio ormai alle nostre spalle […]. Circola l’assunto che si dia un’opposizione profonda tra gli angusti confini che incasellano Dio nelle categorie dell’essere e il Dio biblico che è Amore. Conforta questa opzione il fatto che l’immagine di Dio trasmessa dalle moderne filosofie razionalistiche è poverissima, una sorta di sterile deismo, che è stato l’anticamera dell’ateismo. La filosofia dell’essere intravede da lontano Dio come l’ipsumesse per se subsistens che, sulla scorta della Rivelazione, è identicamente l’agape stessa per se subsistens. Il Cristo come Verbum caro e il Deus Trinitas sono il fine oltre il fine di tale metafisica, aperta all’illuminazione di sorgenti trascendenti [ …]. Non tutti i filosofi sono maestri di vita. In verità dovrebbero esserlo: sarebbero tenuti a tanto perché l’amante della sapienza non può perdere sé stesso. Non di rado però non sussiste una corrispondenza adeguata tra altezza del pensiero e altezza della vita. Ciò non è accaduto per Maritain in cui il pensiero è stato pari alla nobiltà della vita, e questa a quello.

Di Vittorio Possenti  – fonte: https://www.avvenire.it/