Su 10 euro guadagnati dalle imprese italiane 6,5 euro vanno allo Stato. Il total tax rate per l’anno 2014 si è attestato al 65,4%, con un leggero miglioramento rispetto al 65,8% del 2013. Una pressione fiscale maggiore si ritrova solo in Francia (66,6%), mentre ben più basso risulta il prelievo complessivo in Germania (48,8%), Spagna (58,2%) e Regno Unito (33,7%). Senza considerare ordinamenti di particolare favore verso le imprese come quello della Croazia (tassazione totale al 18,8%) e dell’Irlanda (25,9%).
È quanto emerge da un’elaborazione del Centro studi ImpresaLavoro basata sui dati contenuti nel rapporto Doing Business 2015, predisposto ogni anno dalla Banca mondiale. Il tax rate gravante sulle imprese viene calcolato in percentuale sugli utili totali e comprende l’imposta sul reddito (corporate tax), i contributi sociali e previdenziali, le tasse su dividendi e capital gain, nonché le tasse su rifiuti, veicoli e trasporti.
Il Doing Business è impietoso con il Belpaese: nella classifica globale che misura la facilità di fare impresa, al capitolo fisco l’Italia si piazza ultima a livello continentale e 141° nel mondo (su 189 paesi), dietro a paesi quali Sudan, Sierra Leone, Burundi. «Un risultato determinato da un mix micidiale composto da pressione fiscale elevata, sistema complesso e tempi lunghi anche per pagare quanto dovuto allo Stato», spiega una nota di ImpresaLavoro, «al prelievo elevato, infatti, si associa anche un sistema burocratico particolarmente complicato. Tra Ires, Irap, tasse sugli immobili, versamenti Iva e contributi sociali in Italia un imprenditore medio effettua in un anno 15 versamenti al fisco, sei in più di un suo collega tedesco, sette in più di un inglese, di uno spagnolo o di un francese e nove in più di uno svedese».