AGI – Quando, schierati a metà del campo un attimo prima dell’inizio, i belgi si inginocchieranno e lo faranno anche gli italiani, i primi saranno già in vantaggio per uno a zero. Loro sono stati tra quelli che hanno imposto a questi Europei il gesto di ribellione, che poi si è voluto confondere con un’idea arcobaleno mentre invece l’unico colore citato era ed è il black afroamericano.
È già stato, quindi, il loro campionato. Noi seguiamo a ruota: imitatori e nulla più.
Sappiamo di un bimbetto di prima media che aveva capito tutto della vita: facevano una domanda in classe e lui alzava regolarmente la mano un attimo dopo il primo. Un metodo sicuro per far la figura di chi sa, ma senza correre rischi. Peccato che a un certo punto iniziassero a interrogare dal secondo.
Questo per dire che gli azzurri, con Lukaku e i suoi compagni, dovranno tirar fuori qualcosa in più della semplice emulazione, ed essere se stessi. Non che non lo siano stati, finora. Ma dovranno esserlo ancor di più.
Perché il Belgio è così, e non solo nel calcio: siccome è piccolo, la gente crede di potergli mettere i piedi in testa e poi se ne pente. Soprattutto ora che l’Europa, che tra i belgi ha posto la sua tenda, non è più la vecchia e grassoccia signora decadente come la si dipingeva all’indomani della Brexit. Al contrario.
Sulla strada che da Liegi porta a Maastricht e ai suoi accordi storici, per dire, s’incontra Heristal: la patria dei Pipinidi, quelli che poi i Franchi migrati più a sud a fare quell’architettura storica che è la Francia vollero a sé come signori e padroni.
È in Belgio la culla di tutto, e l’Europa Carolingia conseguentemente più belga che franco-tedesca è. Ai galletti l’ha appena ricordato la Svizzera, che poi europea è fino in fondo, ma sia chiaro a modo suo.
Ad ogni modo in quell’angolo di Belgio si fabbricarono milioni di pistole e artiglierie varie che cent’anni fa finirono sulla Marna: anche questo è Europa. Quanto al nome, Heristal (o più correttamente Herstal), in altotedesco e cioè nella lingua dei Pipinidi vuol dire “corte dei signori”.
Anche qui: azzurri tenete le orecchie dritte.
Belgio ed Europei, insomma, sono binomio indissolubile quanto elementare, tale e quale ad “ab uguale ad a per b”. Primo quadrimestre di quarta ginnasio, niente di complicato. Ma vallo a spaccare: è dagli atomi che si scatena la forza più tremenda.
Pertanto attenti a loro: il nomignolo “Diavoli rossi” sa troppo di Tintin per essere credibile, ma tutto il resto è pura sostanza e qualità. Poi c’è anche qualche precedente, sparso ma significativo. Insomma, resta da sperare negli infortuni che si sono manifestati nelle loro file, ma di atteggiamento poco nobile si tratta.
Anche perché non è detto che gli italiani, da quelle parti, abbiano necessariamente fatto facile fortuna. Certo, messer Giovanni Arnolfini lucchese, uomo di mercatura nel XV secolo, trovò in quel di Bruges casa e ricchezze.
La moglie però se l’era portata da Lucca, perché all’epoca per le mogli valeva lo stesso ragionamento che per i buoi (attenzione alla cancel culture, qui). Lui e madonna Costanza Trenta si fecero felicemente immortalare da un talento locale che seppero ricompensare, ed ora li si ammira (lui protettivo, lei in attesa di un figliolo) appesi a un muro della National Gallery di Londra.
Sotto c’è scritto: Jan Van Eyck. Quattrini spesi bene.
Sempre a Bruges, decenni dopo, si affacciò Michelangelo nella speranza di altrettanto generosa committenza. Venne pagato, sì, ma anche lui dovette accettare un caro esborso in termini di estro e linguaggio artistico. Il risultato fu una statua in cui l’unica cosa un po’ michelangiolesca è il panno che copre i capelli di Maria.
Il Bambino è sproporzionato proprio come in un’opera tardogotica qualsiasi, addio equilibri delle masse e delle forme. La committenza era generosa, ripetiamo, ma anche esigente. E persino il genio dovette piegare il collo. Speriamo non accada tra qualche giorno.
Lo confessiamo, uno guarda “Monuments Men” di George Clooney e si sorprende di un pensiero riprovevole: tra tutti i capolavori perduti ad opera di quelle bestie che erano i nazisti, proprio questo dovevano andare a recuperare. Ma poi quel pensiero lo cancella: forse perché non è politicamente corretto.
Di michelangiolesco, invece, il Belgio ha il fisicaccio di Lukaku. Sprizza forza e vitalità da ogni fibra muscolare. Ha il ginocchio del Mosè e quando corre la posa irata e distruttrice del Cristo della Sistina. Inginocchiato, poi, la maestosità di chi discende da stirpe regale.
Per questo non sarà tempo sprecato, quell’inchino. Idealmente gli mettiamo accanto Liliam Thuram, che quando si rivoltarono le banlieu di Parigi e un improvvido Nicolas Sarkozy parlò di schiuma della Terra, lui lo zittì in due dignitose parole.
Perché è vero: il problema razziale esiste, anche se qualche volta pare trasformato in una filastrocca ripetuta per sciacquarsi la coscienza mentre si pensa alla palla che rotola.
E allora proponiamo, per quando il ginocchio verrà poggiato sull’erba: a chi viene dal Belgio di ricordare cosa fu in Congo il regime coloniale leopoldino; a chi viene dall’Italia la memoria degli etiopi dei massacri di Debre Libanos e delle marce della morte nel deserto della Libia.
Anche questo è l’Europa.
La vita di chi è nero è importante: lo è sempre stata. E, soprattutto, tutti l’abbiamo calpestata. Non basta ripulirsi la coscienza pensando all’altra parte dell’Oceano.
Infine, rialzatisi in piedi, ci si ricordi che è importante non arrivare secondi: poi, sennò, qualcuno ti interroga.
Source: agi