L’Istat segnala un “rilevante” aumento del costo del lavoro per Unità di lavoro dipendente (Ula) nel primo trimestre che “raggiunge valori tra i più alti in serie storica”. Rispetto al trimestre precedente, la crescita è dell’1,8% con un aumento sia delle retribuzioni (+1,2%) sia, in misura maggiore, degli oneri sociali (+3%). Su anno la crescita è ancora più intesa (+3,9%), con un +3,4% per la componente retributiva e un +5,4% e per gli oneri sociali.
All’aumento delle retribuzioni concorrono gli importi una tantum, mentre l’aumento degli oneri sociali è legato al restringimento degli interventi di decontribuzione del 2021-2022.
L’aumento del costo del lavoro risulta tra i valori massimi delle serie storica che è iniziata dal 2010, 13 anni fa. Risulta tuttavia inferiore al tasso di inflazione che, alla fine del trimestre, nel mese di marzo è pari al 7,6% e nei due mesi precedenti è stato ancora maggiore. L’incremento delle retribuzioni non basta così a compensare la corsa dei prezzi e a difendere il potere d’acquisto dei lavoratori.
La nota dell’Istat sul mercato del lavoro nel trimestre indica inoltre un calo dei posti di lavoro vacanti, quelli per i quali i datori di lavoro cercano attivamente candidati adatti al di fuori dell’impresa e sono disposti a fare sforzi supplementari per trovarli. Il tasso dei posti vacanti, secondo i dati Istat, è pari al 2,1% in diminuzione di 0,3 punti nel confronto congiunturale, mentre è ancora in crescita, di 0,1 punti, in quello su base annua. (ANSA).