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Israele sotto pressione per prolungare tregua

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La tregua è al ‘countdown’ mentre Israele è sotto pressione, internamente ed esternamente, per prolungarla. Oggi, al terzo giorno di cessate il fuoco, è stato liberato un altro gruppo di ostaggi, 14 israeliani più tre stranieri. Tra tutti anche la piccola israelo-americana di 4 anni, Abigail Mor Edan, i cui genitori sono rimasti uccisi nell’attacco sferrato da Hamas il 7 ottobre. Il presidente americano, Joe Biden, ha confermato la liberazione della piccola, dicendo anche di aspettarsi il rilascio di altri ostaggi e l’estensione della tregua “oltre domani”.
Per l’esercito israeliano un prolungamento del cessate il fuoco a questo punto vorrebbe dire dare la possibilità a Hamas di riorganizzarsi e perdere quindi la dinamica che dovrebbe permettere a Tel Aviv di annientare il movimento islamista. L’accordo, ottenuto grazie alla mediazione americana, qatariota ed egiziana, dovrebbe durare quattro giorni, concludendosi quindi domani sera, con la possibilità però di essere prorogato per un massimo di dieci giorni. Ogni 24 ore, finché le armi tacciono, una dozzina di ostaggi israeliani devono essere rilasciati in cambio di tre volte più palestinesi detenuti da Israele. Ogni giorno che passa aumenta quindi il numero degli ostaggi liberati, rispondendo a un’immensa richiesta dell’opinione pubblica israeliana, ma anche permettendo a Hamas di riprendere forza dopo settimane di guerra devastante.
Allo stesso tempo, le cancellerie di molti Paesi stanno lavorando per evitare una ripresa dei combattimenti che aggraverebbe ulteriormente la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza. “Il tempo è contro Israele”, assicura Andreas Krieg, del King’s College di Londra, riassumendo il dilemma delle autorità israeliane: da un lato liberare tutti gli ostaggi, dall’altro perdere il ritmo della guerra.” L’esercito, per il momento, non nasconde l’intenzione di tornare a combattere. Il 7 ottobre Hamas ha ucciso circa 1.200 persone, per lo più civili, e ne ha rapite circa 240 in Israele.
Da allora, il governo di Benjamin Netanyahu ha promesso di “annientare” il movimento palestinese, da qui i bombardamenti incessanti sul piccolo territorio assediato dove sono state uccise circa 15.000 persone, per lo più civili, secondo quanto riferisce il ministero della Sanità di Hamas.
Per la prima volta nella Striscia di Gaza, oggi il premier ha riaffermato il suo desiderio di riprendere i combattimenti. “Continuiamo fino alla fine, fino alla vittoria. Niente ci fermerà”. Ma “dalla popolazione stessa di Israele arriva la pressione, dalle famiglie degli ostaggi”, ha detto Arik Rudnitzky del Centro Moshe Dayan dell’Università di Tel Aviv. Ieri decine di migliaia di manifestanti si sono radunati nel centro di Tel Aviv, cantando “Ora, tutti adesso” e portando striscioni che imploravano “tirateli fuori dall’inferno”.
Intanto il Qatar, onnipresente dall’inizio della crisi e che ospita una rappresentanza di Hamas, sta lavorando per garantire che i combattimenti non riprendano, al fine di “mantenere la dinamica” di un cessate il fuoco duraturo, secondo il portavoce del Ministero degli Affari Esteri Majed al-Ansari. “Ciò può essere fatto solo con la volontà politica, non solo da parte di israeliani e palestinesi ma anche di altri partner”, ha affermato. Una fonte vicina a Hamas intanto ha fatto sapere che che il movimento ha “accettato di estendere l’attuale tregua da due a quattro giorni”. Per il movimento è in gioco a questo punto la sopravvivenza e il tempo potrebbe giocare a suo favore. (AGI)