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Iran al voto: chi sono i 6 candidati alla presidenza

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Sei candidati, cinque conservatori e un riformista, si contendono la poltrona di presidente dell’Iran, nelle elezioni anticipate del 28 giugno, convocate dopo la morte dell’ex presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi, morto in un incidente in elicottero a maggio. Solo loro hanno passato il vaglio del Consiglio dei Guardiani, l’organismo che supervisiona le elezioni nella Repubblica islamica.
Il campo ultraconservatore è rappresentato da metà dei sei candidati: Said Jalili; Alireza Zakani e Amir-Hossein Qazizadeh Hashemi.
SAID JALILI, 58 anni, è considerato uno dei politici più oltranzisti del Paese: ex segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza, ha guidato la delegazione che ha condotto i negoziati sul nucleare e si è poi fortemente opposto alla ripresa dei colloqui per ripristinare l’intesa del 2015, da cui gli Usa sono usciti in modo unilaterale sotto la presidenza di Donald Trump. Nato a Mashhad come Khamenei, ha conseguito un dottorato di ricerca all’Università Imam Sadegh, palestra ideologica del regime. È soprannominato il “martire vivente” per aver perso una gamba durante la guerra Iran-Iraq come membro dei basij, la forza paramilitare iraniana che agisce sotto il controllo dei pasdaran. Membro del Consiglio per il discernimento, principale organo consultivo della Guida Suprema, Jalili ha fallito la corsa alla presidenza nel 2013 e nel 2021, ma stavolta potrebbe contare sull’appoggio di alcuni dei più stretti collaboratori di Raisi. E’ uno dei due favoriti alla corsa alla presidenza.
ALIREZA ZAKANI, classe 1966, ha cercato di candidarsi nelle elezioni del 2013, ma senza successo ed è stato poi ammesso nelle ultime presidenziali del 2021, che hanno visto la vittoria di Raisi. Tra i principali critici dei negoziati con le potenze occidentali sul programma nucleare iraniano, quando era parlamentare, è noto anche come il “carro armato rivoluzionario” per la sua retorica aggressiva e gli attacchi ai riformisti. Uno stile combattivo che ha mantenuto anche nella carica di primo cittadino, poco popolare, della capitale. Il suo mandato a sindaco, iniziato nel 2021, gli ha fornito notevoli risorse finanziarie e un certo grado di indipendenza dal governo. Zakani ha guidato la recente campagna di repressione per imporre con la forza l’hijab alle donne. È soggetto a sanzioni da parte del Regno Unito per aver commesso gravi violazioni dei diritti umani.
AMIR HOSSEIN GHAZIZADEH HASHEMI, 53 anni, medico di formazione è un ex membro del Parlamento ed ex primo vicepresidente. Esponente della destra oltranzista, si è candidato alla presidenza nel 2021 senza successo. Raisi in seguito, lo aveva nominato vicepresidente e capo della Fondazione per gli affari dei martiri e dei veterani. Si tratta di una Fondazione parastatale, soggetta a sanzioni per aver indirizzato risorse finanziarie verso organizzazioni come Hezbollah.
Nell’ala dei conservatori ritenuti pragmatici o moderati, come fa notare il sito Amwaj, rientrano Ghalibaf, e Mostafa Pourmohammadi.
MOHAMMAD-BAGHER QALIBAF, classe 1961, alla sua quarta candidatura a presidente, è il grande favorito di queste elezioni. È stato non solo sindaco di Teheran, ma anche ex comandante dei pasdaran durante la guerra Iran-Iraq e capo della polizia. In quest’ultimo ruolo, Qalibaf – secondo un audio circolato anni fa – si è vantato di aver picchiato i manifestanti con bastoni di legno nel 1999 e di aver ordinato agli agenti di sparare sui manifestanti durante le proteste del 2003 nelle università. È appoggiato dai pasdaran, ha rapporti con la cerchia ristretta della Guida Suprema, Ali Khamenei, e gode di sostegno anche tra i centristi. È stato coinvolto in diversi scandali per corruzione.
MOSTAFA POURMOHAMMADI, 64 anni, nato nella città santa sciita di Qom, è l’unico religioso a essere stato ammesso alle presidenziali e il candidato con meno chance. Insieme a Raisi, è stato membro del cosiddetto “Comitato della morte” che ha approvato l’esecuzione di migliaia di prigionieri politici alla fine degli Anni ’80. Ex ministro della Giustizia sotto la presidenza ultraconservatrice di Ahmadinejad e ministro della Giustizia nell’amministrazione del pragmatico Rohani, vanta un considerevole pedigree nell’apparato: dalla burocrazia all’ufficio di Khamenei, passando per la magistratura e l’esecutivo. E’ stato squalificato quest’anno dalle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea degli Esperti, l’organo che sceglierà il successore della Guida Suprema.
Un solo esponente riformista è stato ammesso alla corsa alla presidenza. Si tratta di MASSOUD PEZESHKIAN, 70 anni di origine azera, ha cresciuto tre figli da solo dopo la morte della moglie in un incidente: parlamentare da due decenni, oltre ai moderati e ai riformisti la sua candidatura si rivolge anche alla più grande minoranza del Paese, i circa 18 milioni di azeri. Pezeshkian si è espresso apertamente contro la mancanza di trasparenza del governo durante le proteste a livello nazionale innescate dalla morte di Mahsa Amini nel settembre 2022, mentre era in custodia della polizia morale. È un medico esperto e in precedenza ha servito come ministro della Sanità sotto l’ex presidente riformista Mohammad Khatami (1997-2005). È stato esplicito nel criticare il governo sulla questione dell’hijab obbligatorio.
È un sostenitore dell’accordo sul programma nucleare iraniano (Jcpoa). Ha promesso di migliorare le relazioni con gli Stati Uniti, accusando i suoi rivali conservatori di aver rovinato l’economia, non facendo abbastanza per rilanciare il Jcpoa, da cui gli Usa di Trump si ritirarono unilateralmente nel 2018 ma che aveva portato alla revoca di alcune sanzioni. Pezeshkian ha nominato l’ex celebre ministro degli Esteri, Javad Zarif, come suo consigliere per la politica estera e ha fatto intendere che sotto la sua presidenza potrebbe anche rivedere le relazioni con Mosca. Ha avuto l’endorsement di Khatami (che nelle parlamentari di marzo si era invece astenuto) e di un dei leader dell’Onda Verde, Mehdi Karroubi. Pur condannando l’amministrazione Raisi in quanto incapace di risolvere i problemi del Paese, non è mai arrivato a criticare apertamente Khamenei. Ha anche sostenuto i principi fondamentali del regime, secondo cui gli Stati Uniti sono la causa principale delle tensioni nella regione. (AGI)

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