(AGI) – Dopo mesi di discussioni, autorizzazioni e stoccate, prende ufficialmente il via l’offerta pubblica di scambio con cui Intesa Sanpaolo vuole inglobare la più piccola Ubi Banca, in un’operazione che metterebbe assieme il primo e il quarto istituto di credito italiani.
L’Ops, che quando è stata lanciata valorizzava la banca guidata da Victor Massiah 4,86 miliardi con un premio del 27,6% sul valore di borsa del venerdì precedente, non è però piaciuta al management di Ubi, che l’ha bocciata definendola “non concordata” e “non conveniente”.
– L’OFFERTA
L’operazione, presentata a febbraio a sorpresa dall’ad della Ca’ de Sass, Carlo Messina, proprio nel giorno in cui Ubi aveva rivelato il nuovo piano industriale, prevede un concambio di 17 azioni Intesa di nuova emissione ogni 10 titoli portati in adesione. L’obiettivo, ribadito durante questi mesi e corretto alla luce della pandemia da Coronavirus, è di creare un gruppo che nel 2022 realizzi utili per almeno 5 miliardi, che remuneri i soci con dividendi in contanti pari al 75% dell’utile quest’anno e al 70% il prossimo, e che possa giocare un ruolo da protagonista sul panorama europeo, anche in vista di un consolidamento transfrontaliero. Le sinergie attese sono pari a 700 milioni e Intesa è pronta ad andare avanti anche solo col 50%+1 delle azioni, nella convinzione che anche in questo caso, e anche se non si dovesse raggiungere la fusione di Ubi nella banca milanese, la maggior parte sarebbe comunque ottenibile.
– I RISCHI
Il principale rischio rimane quello Antitrust: per portare avanti l’ops, Carlo Messina, supportato dai consigli dell’advisor Mediobanca e in particolare di Francesco Canzonieri, già al momento della presentazione aveva in tasca un accordo con Bper perché acquistasse 4-500 filiali. Dopo i primi dubbi dell’authority sulla concorrenza questo numero è stato rivisto al rialzo, a 532 filiali; se non fosse sufficiente, Intesa è pronta a cederne altre 17 a soggetti terzi. A seconda di come andrà l’offerta, ovvero della quota di capitale che Intesa avrà in caso di successo, un possibile rischio è legato alla cessione di questo ramo d’azienda. Altro rischio evidenziato dal prospetto è quello dei dividendi: al momento la Bce ha raccomandato di non distribuirne fino ad ottobre, ma ovviamente se questa politica venisse prorogata, Intesa non potrà pagare le cedole con cui intende remunerare i soci.
– LA POSIZIONE DI INTESA
“Fermo restando il massimo rispetto per il consiglio di amministrazione e il management di Ubi, confermo che la nostra attenzione è rivolta agli azionisti: l’approvazione da parte di Consob del Documento di offerta e l’apertura del periodo di adesione fanno sì che da lunedì 6 e fino al 28 luglio saranno loro ad esprimersi su un progetto volto a creare un gruppo ai vertici europei del settore, rafforzando al contempo il contesto domestico”, ha detto Messina. Anche per azionisti ‘speciali’ come le fondazioni di origine bancaria – in Ubi sono soci di peso Crc e Banca del Monte di Lombardia, con circa il 10% complessivo – ci sono, secondo Intesa, buoni motivi per aderire. Un tema a cui, dopo l’apertura di Aldo Poli e il subbuglio all’interno del Car, il principale ‘patto’ fra soci di Ubi, ha accennato anche Messina. “Alcuni di loro hanno già iniziato a farlo con trasparenza e oggettività, sottolineando proprio alcuni dei punti qualificanti della nostra offerta: attenzione al territorio e alle comunità che li contraddistinguono”.
– LA POSIZIONE DI UBI
L’ops di Intesa è stata bocciata all’unanimità dal cda di Ubi, che la ha ritenuta “non conveniente” per i propri soci, perché “non riflette il reale valore della banca e penalizza i suoi azionisti”, favorendo invece quelli dell’istituto milanese. Il tandem Massiah-Moratti, non potendo proporre ai soci un matrimonio migliore, ha cercato di rilanciare con un aggiornamento del piano industriale che, al 2022, prevede meno utili (da 665 a 562 milioni) ma più dividendi (840 milioni, 330 in più rispetto a quello di febbraio), grazie alla valorizzazione di alcuni “tesori nascosti”. Al tempo stesso, viene fatta balenare la prospettiva di una nuova operazione straordinaria, con un “m&a” entro l’anno, senza preclusioni sul target, che potrebbe andare da Mps (ma prima “bisogna capire” cosa voglia fare lo Stato) a Bper (con cui l’anno scorso “eravamo vicini ad un annuncio, mai direi mai”). Ubi Banca, se resterà indipendente, “vuole essere un soggetto aggregatore” e non una preda, hanno ribadito Massiah e Moratti. “Non pensiamo di voler essere un target di acquisizione di banche straniere ma vogliamo essere aggregatore, una realtà che consolida il mercato. Se i nostri soci riterranno di prendere una posizione differente (dall’adesione all’ops di Intesa, ndr) Ubi sarà un “potenziale acquirente o lo sposo di qualcuno che sia confrontabile con noi”.
– I SOCI DI UBI
Già a febbraio il gruppo storico dei soci di Ubi, che conta circa il 28% delle azioni, aveva iniziato a erigere barricate contro un’offerta “ostile” e “inaccettabile”. Così l’aveva bollata il Car, che pesa per circa il 20% del capitale. Nel muro a difesa della banca – e nello stesso patto – si sono però aperte delle crepe, così nella compattezza degli azionisti bresciani. Sul primo fronte Aldo Poli, presidente della fondazione Banca del Monte di Pavia, ha aperto all’Ops; sul secondo un pezzo da 90 come Giuseppe Lucchini si è sfilato dal suo patto di riferimento ritenendo l’offerta positiva. Rimane da chiarire la posizione dei due primi soci di Ubi, il fondo Silchester (8,6% delle quote) e la Parvus di Edoardo Mercadante (poco meno dell’8%).
Vedi: Intesa Ubi: parte l'offerta, ora la parola ai soci
Fonte: economia agi