AGI – Dopo l’inflazione, il rischio recessione è dietro l’angolo. Nel 2022 il mercato sta girando e lo sta facendo al ribasso. Dopo decenni di crescita ininterrotta, ora i mercati perdono colpi, l’inflazione è in forte crescita, le banche centrali preannunciano forti strette monetarie e il rischio recessione è dietro l’angolo.
Tutto dipenderà dall’aumento dei prezzi che nei prossimi mesi rischia di far perdere potere d’acquisto ai lavoratori e di far calare i consumi. “Prevedo forti turbolenze sui mercati nei prossimi 4-5 mesi – spiega Antonio Cesarano, global strategist di Intemonte Sim – anche perchè le banche centrali e in particolare la Fed non possono dare ascolto a ciò che succede sui mercati e intervenire per calmarli perchè devono concentrarsi nella lotta all’inflazione. Tuttavia intorno a maggio, giugno penso che ci sarà un drastico calo della crescita, di cui adesso si percepiscono solo tiepidi segnali.
La verità è che già adesso l’inflazione sta salendo molto più dei salari e questo significa che i lavoratori stanno perdendo potere d’acquisto, si stanno impoverendo. Si tratta di un trend che è solo all’inizio, diciamo che nel secondo trimestre, probabilmente a partire da giugno-luglio le banche centrali saranno costrette a cambiare rotta e a intervenire, diventando meno ‘falche'”.
Intanto, questa settimana negli Usa usciranno i dati sull’inflazione. La previsione è che a gennaio l’aumento dei prezzi al consumo abbia accelerato dal 7% al 7,2%, il top dal 1982. In Europa la crescita dei prezzi è un pò meno pronunciata, a gennaio il tasso annuo d’inflazione ha toccato il +5,1% rispetto al +5% di dicembre, nettamente al di sopra dell’atteso +4,4%. Tuttavia il trend dell’inflazione è al rialzo a livello globale e le banche centrali si stanno attrezzando a una stretta generalizzata. La Banca d’Inghilterra ha già rialzato i tassi due volte nel giro di due mesi, la Fed ha fatto capire che potrebbero esserci fino a cinque rialzi dei tassi da un quarto di punto quest’anno, di cui il primo, quello di marzo, probabilmente sarà di mezzo punto percentuale.
Così almeno prevedono gli analisti. E anche la Bce adesso non esclude uno o più rialzi dei tassi nel corso del 2022, forse a partire da settembre. “I tassi bassi per i mercati – spiega Cesarano – sono come una giornata di sole e i tassi alti come una giornata di nebbia e di pioggia. I tassi bassi rischiarano l’orizzonte e dunque favoriscono i business proiettati nel tempo, come l’innovazione tecnologica, gli investimenti, gli affari speculativi. I tassi alti invece ostacolano le prospettive di lunga durata e favoriscono i business tradizionali, quelli sicuri. Ecco perchè dall’inizio dell’anno il Nasdaq, il listino dei titoli tecnologici, ha perso circa il 10% e i rendimenti sui Treasury sono saliti all’1,9% e probabilmente questa settimana potrebbero superare la soglia del 2%”.
Storicamente, a un’inflazione sopra il 5% ha sempre fatto seguito una recessione. Dal 1918, l’inflazione è salita a un picco di oltre il 5% in 10 occasioni e l’economia è entrata in recessione almeno sei volte. Le ultime volte in cui l’inflazione ha raggiunto il picco del 5%, si sono verificate nel 1970, nel 1974, nel 1980, nel 1990 e nel 2008 e ogni volta l’economia è entrata in recessione.
Le uniche volte in cui l’inflazione è salita al 5% e poi non c’è stata una recessione è stata nel 1951, in occasione del surriscaldamento creato dalla guerra di Corea, e nel 1947, quando l’economia è emersa dalla seconda guerra mondiale. Insomma, in entrambi i casi si è trattato di eccezioni, legate alle economie di guerra. Alcuni politici ed economisti hanno sostenuto che l’emergenza creata dalla pandemia è più simile a un dopo guerra che a un normale ciclo economico. In particolare, gli economisti della Casa Bianca hanno esplicitamente paragonato l’attuale impennata dell’inflazione ai rapidi aumenti dei prezzi del 1947 causati dalla fine dei controlli dei prezzi, dai problemi della catena di approvvigionamento e dalla domanda repressa dopo la guerra.
Il problema è che si tratta di un esempio risalente a più di 70 anni fa, mentre gli episodi inflazionistici più recenti sono generalmente sfociati in una recessione o in un rallentamento a metà ciclo. Stavolta la Federal Reserve potrebbe essere in grado di progettare un atterraggio più morbido per l’economia, anche se negli ultimi 70 anni le autorità politiche e monetaria che hanno tentato questa strada hanno più spesso fallito di quanto abbiano avuto successo. La documentazione storica suggerisce che il percorso politico richiesto per riuscire a ottenere un atterraggio morbido è molto stretto.
Ma cosa potrebbe fare la Fed a questo punto? “Innanzitutto – spiega Cesarano – la Fed dovrebbe modulare meglio la combinazione dei rialzi tassi e dei tagli di bilancio“. Attualmente il bilancio della Fed è arrivato quasi a 9.000 miliardi di dollari, di cui 5.800 miliardi sono acquisti di titoli di Stato, o Treasury, e circa 2.600 miliardi acquisti di Mbs, o mortgage-backed securities, cioè di titoli che hanno come sottostanti i mutui. “In primo luogo la Fed non deve esagerare nel taglio del bilancio e concentrarsi di più sul taglio degli Mbs che dei Treasury, cioè puntare sul taglio di quei titoli che più impattano sull’inflazione. E questo deve farlo perchè altrimenti corre il rischio di far salire troppo i tassi a lungo termine, creando un effetto recessivo. Il mercato obbligazionario è già surriscaldato e non c’è bisogno di mettere altra benzina”.
L’altra azione importante che la Fed deve fare è “non implementare tutti i rialzi dei tassi che ha messo in cantiere, o diradarli di più nel tempo.
Insomma, deve stare più ferma e dev’essere più selettiva, non può pensare di fare un rialzo dei tassi a ogni riunione di qui alla fine dell’anno, deve dare più tempo ai mercati di assorbirli. Se la Fed pensa di fare tutto e subito: rialzi dei tassi e riduzione del bilancio, la curva si appiattirà mandando l’economia in recessione”.
Inoltre, conclude Cesarano, la Fed deve oliare meglio il sistema iniettando più liquidità. Quello che decide di togliere dal mercato deve sostituirlo, immettendo dei ripo, ovvero dei prestiti a termine. In altri termini, quello che non la Fed non comprerà più lo dovranno prendere le banche e la Fed dovrà prenderli in prestito”.
Source: agi