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Indagini sul c/c, al contribuente il compito di dissolvere i sospetti8

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La produzione di un reddito d’impresa, inoltre, evidenza l’ufficio finanziario, prescinde dalla titolarità dei terreni su cui l’imprenditore individuale svolge la propria attività agricola
In caso di accertamento basato sull’esame dei conti correnti bancari si realizza un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente il quale deve dimostrare che gli elementi ricavabili dai movimenti bancari non sono collegati a operazioni imponibili.
Questo è il principio espresso dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 27301 del 25 settembre 2023.
La vicenda che ha dato luogo alla citata pronuncia riguarda una contribuente, titolare di una ditta individuale che, per tre anni consecutivi, aveva presentato una dichiarazione dei redditi dalla quale emergeva un reddito d’impresa di 1 euro per ciascun anno d’imposta.
Constatata tale anomalia, l’Amministrazione finanziaria ha invitato la contribuente a esibire le scritture contabili e, in particolare, i registri Iva e la documentazione dei componenti positivi e negativi del reddito inerente l’attività da lei esercitata (coltivazione di uva).
Contestualmente l’ufficio ha avvitato le indagini bancarie, richiedendo agli istituti di credito, con i quali la contribuente operava, di comunicare notizie in merito ai rapporti intrattenuti dalla contribuente.
Verificato che dalla risposta ricevuta risultava una rilevante movimentazione sui conti correnti, l’Agenzia ha chiesto alla contribuente giustificazioni in merito a tale circostanza. A seguito della mancata giustificazione dei numerosi movimenti bancari, l’ufficio ha notificato tre avvisi di accertamento, ognuno per un diverso anno d’imposta, con i quali è stato rettificato il reddito d’impresa dichiarato e sono stati recuperati a tassazione alcuni componenti positivi che non erano stati contabilizzati.
La contribuente ha impugnato gli avvisi di accertamento e i suoi rilievi sono stati accolti sia dalla Ctp di Pescara (decisione n. 314/2014) che dalla Ctr dell’Abruzzo (decisione n. 1097/2016).
Alla base dell’accoglimento della tesi della ricorrente vi era la considerazione che la stessa non era titolare di terreni sui quali avrebbe potuto svolgere l’attività economica finalizzata alla produzione di uva secondo le dimensioni presunte dall’ufficio. Le stesse commissioni tributarie evidenziavano che l’ufficio non aveva fornito prova della titolarità, in capo alla contribuente, di terreni idonei a produrre il reddito accertato.
L’Amministrazione finanziaria ha, quindi, presentato ricorso in Cassazione, censurando le decisioni di primo e secondo grado per aver ritenuto che incombesse sull’Agenzia delle entrate l’onere probatorio dell’esistenza del presupposto per la produzione del reddito, considerato che, nel caso specifico, la rettifica era stata basata su indagini finanziarie e, in particolare, sul riscontro tra i versamenti ed i prelievi che non erano stati giustificati dalla contribuente.
L’ufficio, inoltre, ha evidenziato che, ai fini della produzione di un reddito d’impresa, non fosse necessaria la titolarità di terreni sui quali svolgere la propria attività da parte dell’imprenditore individuale. Ciò in quanto, è abbastanza plausibile che l’attività agricola possa essere esercitata su terreni detenuti a vario titolo dalla contribuente, pur spettando la proprietà a altri soggetti.
In particolare, secondo l’Amministrazione finanziaria, trattandosi di accertamenti bancari, era del tutto irrilevante la mancanza della titolarità formale dei terreni in capo alla contribuente, in quanto, in presenza di questo tipo di accertamento, assumono rilevanza assoluta le giustificazioni fornite dalla parte in merito alle movimentazioni riscontrate sui conti correnti.
Le commissioni tributarie, secondo la tesi erariale, avrebbero dovuto focalizzare la loro attenzione sull’esame delle giustificazioni relative ai singoli movimenti bancari oggetto di contestazione e non sulla mancata intestazione formale dei terreni in capo alla contribuente.
I giudici della Corte di cassazione hanno richiamato il costante insegnamento della giurisprudenza (Cassazione n. 13112/2020) in base al quale in tema di accertamenti bancari, gli articoli 32 del Dpr n. 600/1973 e n. 51 del Dpr n. 633/1972 sanciscono una presunzione legale a favore dell’erario.
Trattandosi di presunzione legale, essa opera a prescindere dalla sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’articolo 2729 del codice civile per le presunzioni semplici.
Si è, quindi, precisato che la presunzione connessa con l’accertamento bancario, può essere superata dal contribuente “….solo attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili…..”.
In definitiva, secondo la pronuncia in esame, quando l’accertamento si basa sulla verifica dei conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria è soddisfatto, secondo l’articolo 32 del Dpr n. 600/1973, “…attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova, non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili”
Sulla base di queste argomentazioni, è stata accolta la tesi dell’Agenzia delle entrate.
Fonte: https://www.fiscooggi.it/