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In Asia La newsletter sull’Asia e il Pacifico a cura di Junko Terao

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I RISCHIOSI AFFARI DELLA CINA IN PAKISTAN
Quando i pianificatori della Belt and road initiative cinese – la mastodontica rete d’infrastrutture nota anche come “nuova via della seta” e pensata per far viaggiare nel mondo in tempi rapidissimi le merci prodotte in Cina e viceversa portare in Cina le risorse di cui ha bisogno – avevano pensato di collegare Kashgar, nello Xinjiang, con il porto pachistano di Gwadar ottenendo così uno sbocco sul mar Arabico, probabilmente avevano sottovalutato le difficoltà che l’operazione avrebbe comportato. 

Gwadar è particolarmente importante perché è un porto in acque profonde, realizzato nei primi anni duemila e poi rimasto inutilizzato fino al 2013, quando Islamabad e Pechino hanno cominciato la costruzione del Corridoio economico sinopachistano (Cpec): autostrade, ferrovie, oleodotti e gasdotti che dalla Cina attraversano il Pakistan fino a raggiungere il mare. Il problema è che si trova nel Belucistan, una delle regioni più povere del Pakistan e, per quanto il Cpec sia stato presentato come una manna per lo sviluppo locale, i separatisti beluci (ci sono diversi gruppi armati, in lotta con le autorità dal 1948) lo considerano l’ennesimo tentativo di sottrarre alla popolazione le risorse di cui la loro terra è ricca.  

I cinesi, che nel frattempo sono arrivati per lavorare alla costruzione del Cpec, hanno avuto un primo assaggio di cosa significa investire in una regione come il Belucistan nell’agosto 2018. Nel primo attacco suicida contro ingegneri cinesi rivendicato dai ribelli, rimasero ferite tre persone. Pochi mesi dopo fu la volta del consolato cinese a Karachi e nel 2019 cinque persone (tutti pachistani) furono uccise in un assalto dei separatisti all’hotel Pearl continental di Gwadar, una cattedrale nel deserto di Gwadar dove alloggiavano turisti cinesi. Nel 2021 in un attacco contro un pulmino che trasportava lavoratori cinesi, dieci  sono morti e 28 sono rimasti feriti. Il 26 aprile scorso l’attacco davanti all’istituto Confucio di Karachi: una militante del Belucistan liberation front (Blf) si è fatta saltare in aria uccidendo tre insegnanti cinesi e il loro autista pachistano. All’attentato è seguito un video con un avvertimento rivolto al presidente Xi Jinping in persona: se non vi ritirate, seguiranno altri attacchi. Lunedì scorso la polizia pachistana ha fatto sapere di aver arrestato un’altra militante separatista pronta a farsi esplodere vicino a un convoglio di lavoratori cinesi nella zona al confine con l’Afghanistan e l’Iran. 

Secondo gli analisti il fatto che si tratti di attentatrici segna un cambio di tattica da parte dei gruppi separatisti, che cercano così di attirare l’attenzione internazionale sulla loro lotta. Pechino è chiaramente preoccupata, ma non tanto da mandare in fumo un progetto così cruciale su cui ha investito decine di miliardi di dollari. Islamabad assicura che aumenterà le misure di sicurezza per proteggere i cittadini cinesi, non esattamente la migliore delle prospettive per il futuro prossimo. Tanto più che, avvertono gli analisti, finita la costruzione delle infrastrutture comincerà una seconda fase del progetto, in cui dalla Cina arriveranno le aziende private e i loro dirigenti e dipendenti per farle funzionare e fruttare.

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BIDEN IN ASIA Oggi a Seoul il neoinsediato presidente Yoon Suk-yeol incontrerà lo statunitense Joe Biden, arrivato ieri nella capitale sudcoreana per la prima tappa del suo tour asiatico. I servizi d’intelligence dei due paesi hanno avvertito che per l’occasione la Corea del Nord potrebbe condurre un nuovo test nucleare o, più probabilmente, un test missilistico. Dopo tre giorni in Corea del Sud, lunedì Biden incontrerà a Tokyo il premier giapponese Fumio Kishida e in quell’occasione presenterà il suo piano economico per l’Indo-pacifico (Ipef), nel tentativo di placare le critiche degli alleati sulla natura della straetegia di Washington nella regione, eccessivamente incentrata sulla sicurezza e senza risvolti economici.

Il Financial Times ieri ha anticipato alcuni particolari del piano, oltre al fatto che Biden annuncerà l’avvio delle consultazioni per arrivare poi a negoziare con i vari paesi, attenuando il tono del suo discorso, che nella prima bozza parlava già di fase negoziale. A quanto pare è stato il governo Kishida a chiedere di rallentare il passo per ottenere così più adesioni da parte delle nazioni del sudest asiatico. 
Il 24 è previsto il vertice del Quad, il dialogo quadrilaterale sulla sicurezza tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India. Da New Delhi volerà a Tokyo il primo ministro indiano Narendra Modi, e inevitabilmente la sua posizione ambigua sulla guerra in Ucraina e il blocco delle esportazioni di grano indiano saranno due temi centrali.
 

Kishida e Biden, un giorno solo per diventare amici: il premier giapponese avrà solo il 23 maggio per conquistare il presidente americano, scrive l’Asahi Shimbun. Prima i vaccini, ora il grano: l’India sta perdendo sul terreno del soft power, commenta Scroll.in. 

UNA SPARATORIA E MOLTA CONFUSIONE La notizia è passata un po’ in secondo piano perché è arrivata poche ore dopo la strage di Buffalo, dove un ragazzo di 18 anni ha sparato in un supermercato di un quartiere afroamericano uccidendo dieci persone. A Laguna Woods, vicino a Irvine, una quarantina di minuti a sud di Los Angeles, un uomo di 68 anni “di origini cinesi” ha sparato sulla folla in una chiesa presbiteriana taiwanese uccidendo una persona e ferendone gravemente cinque. Dalle prime informazioni risultava che l’attentatore fosse un cittadino statunitense immigrato dalla Cina e residente a Las Vegas che, “esasperato dalle tensioni tra Pechino e Taiwan”, aveva architettato la strage.

L’inquietante taglio politico della vicenda è in realtà frutto di una serie d’imprecisioni, equivoci e cattiva informazione legata in parte alla fretta di dare la notizia e in parte alla scarsa comprensione della complessa realtà politica taiwanese. Brian Hioe, giornalista statunitense e taiwanese che vive a Taipei, fondatore e animatore di New Bloom, ha fatto chiarezza sulla vicenda. A un certo punto la stampa statunitense ha scritto, riprendendo alcune testate taiwanesi, che David Wenwei Chou era un waishengren (discendente di cinesi emigrati a Taiwan tra il 1945, dopo la resa dal Giappone che fino ad allora aveva colonizzato l’isola, e l’arrivo di Chiang Kai-shek, nel 1949), senza capire però il reale significato del termine e che si trattata in sostanza di un taiwanese a tutti gli effetti. 

Chou rimaneva quindi un cinese mosso dall’odio verso i taiwanesi. In realtà, spiega Hioe, negli Stati Uniti i taiwanesi schierati dalla parte dei nazionalisti del Kuomintang coesistono con quelli più vicini ai democratici, favorevoli al mantenimento dello status quo rispetto a Pechino, o addirittura all’indipendenza dell’isola, e anche se tra loro non si mescolano, difficilmente si scontrano. L’azione di Chou, conclude Hioe, s’iscrive più probabilmente nella cultura delle armi e delle sparatorie di massa tipicamente statunitensi che nella rivalità tra Pechino e Taipei.

LE NOTIZIE DELLA SETTIMANA

La visita in Cina dell’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet è confermata, anche se non è stata comunicata una data ufficiale del suo arrivo. Bachelet, che secondo Bloomberg volerà in Cina la prossima settimana, andrà anche nello Xinjiang.  Sempre Bachelet ha condannato la decisione dei taliban di eliminare la Commissione per i diritti umani dell’Afghanistan, giudicata dai nuovi governanti di Kabul un’istituzione inutile.  Oggi gli australiani vanno alle urne per il rinnovo del parlamento federale e del governo. I sondaggi danno più o meno alla pari il primo ministro uscente Scott Morrison e il leader dei laburisti Anthony Albanese, anche se sembra sarà più facile per quest’ultimo formare un governo di maggioranza. 👉🏼I seggi elettorali da tenere d’occhio. 👉🏼L’Australia ha bisogno di ricominciare da zero.