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 In 10 anni aumentano del 37% i pazienti vivi dopo la diagnosi di tumore

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Oggi, in Italia, sono circa 3,6 milioni (il 5,7% dell’intera popolazione) i cittadini vivi dopo la diagnosi di tumore, con un incremento del 37% rispetto a 10 anni fa. Sono i dati diffusi dall’Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica) in occasione della Giornata Mondiale contro il cancro (World Cancer Day). Almeno un paziente su quattro (quasi un milione di persone) è tornato ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale e può considerarsi guarito.

Si accumulano i ritardi nelle diagnosi

Poi l’allarme: i ritardi nelle diagnosi precoci, dovute in gran parte alla pandemia Covid, possono causare un aumento della mortalità. Nei primi nove mesi del 2020 sono stati eseguiti oltre due milioni (2.118.973) esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Ritardi che si stanno accumulando e che si traducono in una netta riduzione non solo delle nuove diagnosi di tumore della mammella (2.793 in meno) e del colon-retto (1.168 in meno), ma anche delle lesioni che possono essere una spia di quest’ultima neoplasia (oltre 6.600 adenomi avanzati del colon-retto non individuati) o del cancro della cervice uterina (2.383 lesioni Cin 2 o più gravi non diagnosticate). “Se la situazione si prolunga, diventa concreto il rischio di un maggior numero di diagnosi di cancro in fase avanzata, con conseguente peggioramento della prognosi, aumento della mortalità e delle spese per le cure”, osserva Giordano Beretta, presidente di Aiom e responsabile Oncologia medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo.

Il ritardo diagnostico accumulato si sta allungando ed è pari a 4,7 mesi per le lesioni colorettali, a 4,4 mesi per quelle della cervice uterina e a 3,9 mesi per carcinomi mammari, “sono le conseguenze indirette della pandemia – afferma Beretta – Queste latenze e le relative lesioni non individuate dipendono sia dal minore numero di persone invitate che dalla minore adesione da parte della popolazione durante la pandemia, per timore del contagio. L’utilizzo dei dispositivi di protezione, l’intensificazione delle procedure di sanificazione e la necessità di mantenere il distanziamento fisico anche nelle sale di attesa hanno dilatato il tempo necessario tra un esame di screening e l’altro, con conseguente riduzione del numero di sedute disponibili”.

Ma c’è un altro problema: in diversi contesti, “già in epoca pre-Covid il personale allocato ai programmi di prevenzione secondaria era appena sufficiente a svolgere l’attività di base. E, in alcune regioni, il personale, che durante la prima ondata del virus era stato riconvertito a supporto dell’emergenza, non è stato ancora completamente riallocato allo screening, di fatto minando la capacità di ripresa dei programmi”.

Le richieste di Aiom

“Chiediamo – spiega Giordano Beretta -, da un lato che sia mantenuta la completa separazione dei percorsi fra pazienti Covid e non Covid, perché le cure anti-cancro devono continuare in sicurezza anche durante la pandemia, e dall’altro sono necessari il riavvio immediato degli screening in tutte le regioni e una loro radicale ristrutturazione, anche con l’acquisto di nuove apparecchiature e l’assunzione di personale”. Una parte delle risorse per la sanità ricavate dal Recovery Fund “può essere destinata al rafforzamento delle campagne di prevenzione, sia primaria che secondaria”.

Non solo. “Una quota consistente dei finanziamenti dovrebbe essere indirizzata anche al potenziamento della telemedicina e al rafforzamento dell’assistenza domiciliare oncologica, creando percorsi definiti di collaborazione con la medicina di famiglia e con le strutture di cure intermedie”. Infine, l’integrazione con la medicina del territorio, “che ha evidenziato preoccupanti lacune durante l’emergenza sanitaria” e che “è uno dei capisaldi da cui deve partire l’effettiva realizzazione delle Reti oncologiche regionali, purtroppo rimaste solo sulla carta o del tutto assenti in diverse Regioni”. Nel 2020, nel mondo, sono stati stimati quasi 20 milioni (19,3) di nuovi casi di tumore. Circa un terzo può essere prevenuto, basti pensare che il 22% è causato dal fumo di sigaretta e il 5% dell’abuso di alcol. Nel 2020, in Italia, ne sono stati diagnosticati 377.000, circa 6.000 casi in più rispetto al 2019.

Fonte: cronaca agi


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