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Il trattato che mise fine a (quasi tutti) i test nucleari

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Il 5 agosto 1963, dopo difficili negoziati, Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica firmarono il Trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari. Un trattato ‘limitato’, si badi bene, come tennero a sottolineare i firmatari nel nome stesso dell’accordo.

Di Ugo Narbara

AGI – La notizia del presunto trasferimento di un convoglio ferroviario russo attrezzato per test nucleare verso il confine ucraino risveglia uno spettro che si credeva sopito da tempo: quello dei test nucleari russi.

Mentre nell’escalation inarrestabile di tensione si arriva a parlare di argomenti un tempo tabù cone l’impiego di armi nucleari in scenario bellico, l’ipotesi che Vladimir Putin voglia affidare a un test atomico una dimostrazione di forza non appare più così peregrina. Nonostante 60 anni fa si fosse deciso di porre un argine.

La data non era stata scelta a caso. Alla vigilia del 18esimo anniversario della prima esplosione di un ordigno nucleare su un obiettivo in tempo di guerra, il mondo aveva deciso che di funghi atomici ne erano spuntati abbastanza.

In realtà la necessità di porre fine ai test atomici era cominciata a serpeggiare otto anni prima, quando le grandi potenze, spazzato via il Terzo Reich, si confrontavano a distanza mostrando le proprie capacità nucleari in uno sfoggio che ricordava tanto quello tra i forzuti nelle fiere di paese. Con la difefrenza che quei forzuti tenevano il dito sul pulsante che poteva porre fine alla civiltà.

Il 5 agosto 1963, dopo difficili negoziati, Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica firmarono il Trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari. Un trattato ‘limitato’, si badi bene, come tennero a sottolineare i firmatari nel nome stesso dell’accordo.

 

Dopo la distruzione di Hiroshima e Nagasaki, l’inizio dell’era nucleare aveva portato gli scienziati negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nell’Unione Sovietica a condurre test e sviluppare armi nucleari sempre più potenti. Ma a quale costo? Nel 1959 erano stati trovati depositi radioattivi nel grano e nel latte negli Stati Uniti settentrionali.

Man mano che gli scienziati e l’opinione pubblica diventavano più consapevoli dei pericoli del fallout radioattivo, levavano la loro voce contro i test nucleari. Leader e diplomatici di diversi Paesi cercavano di affrontare la questione e nel maggio del 1955, la Commissione per il disarmo delle Nazioni Unite riunì gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, la Francia e l’Unione Sovietica per avviare i negoziati sulla fine dei test con le armi nucleari.

 

Presto sorse un conflitto sulle ispezioni per verificare i test sotterranei. Mosca temeva che le ispezioni in loco portassero alla luce quanto esagerati erano i proclami sovietici sul numero di armi nucleari a disposizione dei russi. Mentre i negoziatori cercavano di ricomporre le divergenze, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti sospendevano i test nucleari: una moratoria che sarebbe durata dal novembre 1958 al settembre 1961.

L’impegno di Kennedy

Dal 1956 John F. Kennedy aveva sostenuto il divieto di test di armi nucleari e una volta eletto si era impegnato a non riprendere i test nell’atmosfera e aveva promesso ogni sforzo diplomatico per un trattato che vietasse ogni tipo di test prima di riprendere quelli sotterranei.

Incontrò il premier sovietico Krusciov a Vienna nel giugno 1961, appena cinque settimane dopo l’umiliante esito dell’invasione di Cuba alla Baia dei Porci, sostenuta e finanziata dagli Stati Uniti. Era un momento di massima tensione: Krusciov aveva preso una linea dura al vertice, aveva annunciato l’intenzione di bloccare l’accesso a Berlino e aveva minacciato la guerra se gli Stati Uniti o i loro alleati avessero cercato di fermarlo.

I consiglieri politici e militari di  Kennedy temevano che l’Unione Sovietica avesse continuato i test clandestini segreti e si fosse avvantaggiata nella tecnologia nucleare. Per questo fecero pressioni su Kennedy perché riprendesse i test. E, secondo un sondaggio Gallup del luglio 1961, il pubblico approvava i test con un margine di due a uno.

Nell’agosto 1961, l’Unione Sovietica annunciò la sua intenzione di riprendere i test atmosferici e nei tre mesi successivi condusse 31 test nucleari e fece esplodere la più grande bomba nucleare della storia, 58 megatoni, 4.000 volte più potente della bomba sganciata su Hiroshima.

 

Fallimento e frustrazione

Scoraggiato e costernato dai test sovietici, il presidente Kennedy proseguì gli sforzi diplomatici prima di consentire un nuovo test da parte degli Stati Uniti. Nel suo discorso alle Nazioni Unite il 25 settembre 1961, sfidò l’Unione Sovietica “non a una corsa agli armamenti, ma a una corsa alla pace”. Non ebbe successo e finì per annunciare con riluttanza la ripresa dei test atmosferici. I test americani ripresero il 25 aprile 1962.

Dopo la crisi dei missili di Cuba nell’ottobre 1962, il presidente Kennedy e il premier Krusciov si resero conto di essere pericolosamente vicini alla guerra nucleare. Come disse Krusciov, “Le due nazioni più potenti si erano trovate l’una contro l’altra, ciascuna con il dito sul pulsante”.

 

Kennedy condivideva questa preoccupazione e in una riunione della Casa Bianca ebbe a dire: “È folle che due uomini, seduti ai lati opposti del mondo, possano decidere di porre fine alla civiltà”. In una serie di lettere private, Krusciov e Kennedy riaprirono il dialogo sul divieto dei test nucleari.

La ripresa dei negoziati

In un discorso all’American University il 10 giugno 1963, Kennedy annunciò un nuovo round di negoziati sulle armi ad alto livello con i russi e chiese la fine della Guerra Fredda. “Se non possiamo porre fine alle nostre differenze” disse “almeno possiamo contribuire a rendere il mondo un luogo sicuro per la diversità”. Il governo sovietico trasmise una traduzione dell’intero discorso e ne permise la ristampa sulla stampa sovietica.

Il presidente Kennedy scelse Averell Harriman, un diplomatico esperto conosciuto e rispettato da Krusciov, per riprendere i negoziati a Mosca. Un accordo per limitare la portata del divieto di test aprì la strada a un trattato. Escludendo dal patto i test sotterranei, i negoziatori eliminavano la necessità delle ispezioni in loco che preoccupavano il Cremlino.

 

Il 25 luglio 1963, dopo soli 12 giorni di trattative, le due nazioni decisero di vietare i test in atmosfera, nello spazio e sott’acqua. Il giorno successivo, in un discorso televisivo che annunciava l’accordo, Kennedy disse che un divieto limitato di test “è di gran lunga più sicuro per gli Stati Uniti di una corsa agli armamenti nucleari illimitata”.

Cosa dice il trattato

Il trattato sulla messa al bando dei test nucleari limitato fu firmato a Mosca il 5 agosto 1963 dal segretario degli Stati Uniti Dean Rusk, dal ministro degli Esteri sovietico Andrei Gromyko e dal ministro degli Esteri britannico Lord Home. Nei due mesi successivi, il presidente Kennedy convinse un pubblico timoroso e un Senato diviso a sostenere il trattato. Il Senato approvò il trattato il 23 settembre 1963, con un margine di 80-19. Kennedy firmò il trattato ratificato il 7 ottobre 1963.

Il trattato vieta i test di armi nucleari o altre esplosioni nucleari sott’acqua, nell’atmosfera o nello spazio, consente i test nucleari sotterranei purché nessun detrito radioattivo cada al di fuori dei confini della nazione che conduce il test, impegna i firmatari a lavorare per il completo disarmo, la fine della corsa agli armamenti e la fine della contaminazione dell’ambiente con sostanze radioattive.

Il divieto totale

Trentatré anni dopo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò il Trattato sulla messa al bando globale degli esperimenti nucleari. Firmato da 71 nazioni, comprese quelle in possesso di armi nucleari, il trattato proibiva tutte le esplosioni di test nucleari, comprese quelle condotte sottoterra. Sebbene fosse firmato dal presidente Bill Clinton, il Senato respinse il trattato con 51 contrari e 48 favorevoli.