La classe dirigente italiana è di fronte ad una scelta fondamentale: finanziare il sistema pubblico d’istruzione scolastica e universitaria, portandola almeno al livello medio dei paesi industrializzati, oppure condannare il Paese ad un inesorabile ulteriore regresso, economico e civile
di Antonino Gulisano
Il termine privato nella lingua italiana è il participio passato del verbo privare. L’idea-forza del neoliberismo è che che si possa fare tutto in nome della libertà. Ma di quale libertà si tratta, se ogni individuo va considerato alla stregua di un’impresa in concorrenza con tutte le altre?
La sfida è tra le idee neoliberali di tipo economicistico e le nuove idee sul concetto di capitale umano provenienti da nuovi laboratori “non economici” e la democrazia partecipativa.
La definizione più dettagliata del concetto di capitale umano è quella data dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), secondo la quale si tratta di “conoscenze, abilità, competenze e altri attributi degli individui che facilitano la creazione di benessere personale, sociale ed economico”. Possiamo descrivere il capitale umano come in insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali possedute in genere dall’individuo, acquisite non solo mediante l’istruzione scolastica, ma anche attraverso un lungo apprendimento o percorso d’esperienza sul posto di lavoro e quindi non facilmente sostituibili in quanto tali.
In sociologia il capitale umano prende il nome di capitale sociale, con riferimento alla capacità di instaurare relazioni sociali costruttive e di lungo periodo. Ridotti tassi di corruzione ed elevato rispetto delle regole sono corollari tipici di un alto livello di capitale sociale. La distruzione del capitale sociale è, da sola, in grado di annichilire un’economia ed una società.
Un esempio di Joseph Stiglitz può aiutare a comprendere la natura del capitale sociale: all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, il potere coercitivo centrale in Uzbekistan venne meno, mentre il paese si trovava in una condizione di elevata disgregazione sociale. In breve tempo la produzione agricola crollò per il collasso dell’intero sistema delle serre pubbliche, perché i cittadini andavano a rubare le lastre di vetro delle serre per rivendersele sul mercato nero. Non fidandosi né del potere centrale, né gli uni degli altri, l’alternativa di un piccolo guadagno a breve termine era ritenuta preferibile ad un grande guadagno collettivo a lungo termine.
Tradizionalmente si distingue il ‘capitale sociale’ dal cosiddetto capitale umano. Per ”capitale umano” si intende l’insieme di conoscenze e capacità personali che contribuiscono alla produzione economica e allo sviluppo sociale. Alla formazione del capitale umano contribuiscono dunque essenzialmente educazione ed istruzione. Capitale sociale e capitale umano sono concettualmente separabili, ma materialmente collegati. Solo chi ha un grado di istruzione sufficiente è anche in grado di comprendere e gestire relazioni che vanno al di là dell’interazione faccia a faccia, tipica di contesti familiari e locali. In questo senso, esistono numerosi studi che mostrano una chiara correlazione tra bassa istruzione media e alti tassi di corruzione in una popolazione.
Se analizziamo l’aspetto dello “ascensore sociale” sui dati di Eurostat, aggiornati al 2019, ci accorgiamo che a rischio di povertà sono le persone tra i 25 e i 59 anni sulla base del titolo di studio dei loro genitori. I figli di persone che avevano al massimo la licenza media (istruzione primaria secondo la definizione Eurostat), sono esposti alla povertà più dei figli dei diplomati (secondaria) o di genitori con almeno una laurea (terziaria).
In una società complessa, come tutte le moderne società industriali, non è l’appello umorale alla fiducia in senso psicologico a fare la differenza. A fare la differenza, in termini di sviluppo a lungo termine, è la disponibilità di capitale sociale e di capitale umano.
È giunto il momento di rispedire al mittente le armi di distrazione di massa che hanno promosso per decenni lo smantellamento del sistema formativo pubblico.
In conclusione, la classe dirigente italiana è di fronte ad una ed una sola decisione fondamentale: o finanzia la propria istruzione pubblica, scolastica e universitaria, portandola almeno al livello medio dei paesi industrializzati, oppure condanna il paese ad un inesorabile ulteriore regresso, economico e civile. Tutto il resto sono oramai solo chiacchiere, colpevoli o complici.
Il capitale umano e sociale che consente ad una democrazia di funzionare, e ad un apparato produttivo di innovare, richiede immediati e seri investimenti di lungo periodo, mentre fa serenamente a meno dello scandalismo interessato di intellettuali mercenari, così come degli annunci tanto al chilo di politicanti da operetta.