di Lorenzo Pellegrini
L’invasione russa dell’Ucraina, giunta al suo secondo anno inoltrato, ha alterato profondamente la situazione internazionale nel teatro euroasiatico. Questa modifica sta interessando anche le regioni che storicamente erano sotto l’influenza della Russia, quali il Caucaso del Sud e l’Asia Centrale. Il recente ritiro dei peacekeeper russi dal Nagorno-Karabakh e ciò che questa smobilitazione significa per la regione rappresentano una prima prova della precarietà della posizione russa.
Cosa stanno facendo i Paesi di questa regione?
I Paesi di questa regione si trovano a dover compiere delle scelte diplomatiche tra una Russia troppo occupata in Ucraina per continuare ad esercitare la sua influenza come prima, una Cina pronta a sostituirsi a quest’ultima e un Occidente che tenta di sfruttare la parabola discendente di Mosca per isolarla ulteriormente nel suo vicinato. Mentre alcuni tentano manovre di equilibrismo diplomatico altri adottano delle posizioni più nette e in contrasto con la situazione precedente.
I cambiamenti in atto appaiono evidenti analizzando ciò che sta accadendo, oltre che nell’Asia Centrale, soprattutto nel Caucaso del Sud. Infatti, il riassetto del vicinato russo si evince soprattutto dalla volontà di un paese da sempre vicino alla Russia quale l’Armenia di voler iniziare a guardare ad Occidente.
Perché l’Armenia si sta allontanando dalla Russia?
Questo radicale cambiamento è la reazione al mancato supporto russo all’Armenia in seguito all’offensiva militare azera che, nel settembre 2023, ha portato all’invasione e successivamente alla dissoluzione della regione etnicamente armena e indipendentista del Nagorno-Karabakh, una zona contesa tra i due Stati, vicina all’Armenia e da sempre rivendicata dall’Azerbaijan che, de iure, ne esercitava il controllo.
Già qualche giorno prima che l’Azerbaijan lanciasse la sua offensiva contro il Nagorno-Karabakh il primo ministro armeno Nikol Pashinyan aveva definito la dipendenza del Paese dalla Russia in quanto garante della sua sicurezza come un “errore strategico”, mettendo in dubbio l’efficacia della presenza delle truppe russe in Armenia e nel Nagorno-Karabakh dove avevano funzione di peacekeepers.
Per rendere ancora più esplicita l’insofferenza verso Mosca, a febbraio 2024 Pashinyan ha “congelato” la partecipazione dell’Armenia all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), un’alleanza militare a guida russa composta da sei Paesi ex-sovietici, citando come causa la mancata risposta alle richieste di intervento e garanzia nel Nagorno-Karabakh. Pashinyan ha aggiunto che nella sua conformazione attuale il CSTO rappresenta, per la sua inefficacia, una minaccia per la sicurezza nazionale armena.
La fortezza di Mayraberd nel Nagorno-Karabakh armeno prima dell’invasione azera [crediti foto: Adam Jones, via Wikimedia Commons, CC BY-SA 2.0 DEED]
Verso chi sta guardando l’Armenia per il suo futuro?
L’Armenia rimane ancora fortemente dipendente dalla Russia, la quale fornisce la maggior parte dell’energia elettrica usata nel Paese e continua ad essere il principale partner commerciale. Ciononostante, la volontà armena di diversificare le proprie relazioni internazionali la sta portando a guardare verso l’Occidente. Ciò è testimoniato dall’annuncio di Unione Europea e Stati Uniti per la fornitura di aiuti finanziari per un valore di circa 360 milioni di dollari e dalla volontà di intrattenere per la prima volta dei colloqui bilaterali. Inoltre, a marzo di quest’anno, il ministro degli esteri armeno Ararat Mirzoyan ha dichiarato che l’Armenia sta guardando a nuove possibilità per il suo futuro e che tra queste rientra anche una possibile, seppur remota, adesione all’Unione Europea.
Anche dal punto di vista militare l’Armenia sta cercando di diminuire la sua dipendenza dalle forniture di Mosca, dopo che questa ha ritardato consegne di armamenti dal valore di oltre 370 milioni di dollari, preferendo stringere accordi con altri partner quali l’India e la Francia.
Quali difficoltà sta incontrando l’Armenia in questo processo?
La questione più saliente è sicuramente la presenza di truppe russe sul suolo armeno. Dal 1995, la Russia mantiene una base militare a Gyumri, la seconda città più grande dell’Armenia, e un emendamento del 2010 all’accordo di difesa tra Russia e Armenia ha esteso il contratto di locazione di Mosca sulla base fino al 2044. I soldati russi sono ancora schierati lungo i confini tra Armenia e i suoi vicini, Turchia, Iran e Azerbaijan, a dimostrare come l’eredità di un legame di lunga durata quale quello tra Russia e Armenia non si risolva senza problematiche o senza scontenti.
Anche sul fronte interno l’avvicinamento all’Occidente ha sollevato qualche dubbio, specialmente da alcuni partiti di opposizione. Il timore deriva soprattutto dal per ora ambiguo posizionamento internazionale armeno attualmente intento ad allontanarsi dalla Russia, ma senza ancora un’alternativa concreta. Vi è infatti chi non vuole abbandonare del tutto la Russia, nonostante quello che ha compiuto negli ultimi due anni in Armenia e non solo, mentre altri temono che una possibile compresenza di truppe russe ed occidentali su suolo armeno rischi di trasformare il piccolo Paese caucasico in una polveriera. Inoltre, viene chiesto al governo del primo ministro Pashinyan di delineare quale sarebbe l’alternativa al, seppur inefficace, ombrello di difesa costituito dal CSTO.
I Paesi dell’Asia Centrale come si stanno riposizionando verso la Russia?
Come visto in precedenza il riassetto internazionale non riguarda solamente il Caucaso del Sud e in particolare l’Armenia, ma anche un’altra regione di vitale importanza per la Russia, ovvero l’Asia Centrale.
Tutte e cinque le nazioni centroasiatiche hanno rivisto i propri rapporti con la Russia e gli altri Paesi dell’area, tra cui Cina e Turchia, modificando i tradizionali legami con Mosca per trarne benefici soprattutto economici. Nel frattempo, la Russia cerca di mantenere il controllo di una regione che considera strategica sia perchè da questi Paesi provengono milioni di lavoratori essenziali per l’economia russa, sia perché l’Asia Centrale si è dimostrato il canale principale per evadere le sanzioni occidentali imposte dopo l’invasione dell’Ucraina.
Un esempio di ciò è dato dalle esportazioni di autoveicoli e pezzi di ricambio tedeschi verso il Kyrgyzstan, aumentati del 5500% nei primi dieci mesi del 2023. Non essendo i Paesi dell’Asia Centrale sotto regime di sanzioni viene a crearsi un commercio triangolare per cui i beni occidentali, e non solo, vengono prima importati qui e successivamente rivenduti sul mercato russo.
Chi sta beneficiando maggiormente da questa situazione?
Il Paese che maggiormente sta sfruttando la sua posizione divisa tra Russia, Cina e Occidente è il Kazakhistan, la maggiore economia dell’Asia Centrale.
Quest’ultimo da un lato approfitta delle opportunità derivanti dall’isolamento internazionale russo cercando, per esempio, di attrarre oltre 400 aziende occidentali che hanno lasciato la Russia dopo il 2022, mentre continua a tenere legami con Mosca fondati più su esigenze pragmatiche di tipo economico ed energetico che strategiche. Rispetto alla Russia il Kazakhstan ha il beneficio di poter commerciare liberamente con il resto del mondo, ponendolo in una posizione di dialogo privilegiata con Mosca, rappresentando quindi un corridoio commerciale fondamentale l’economia di quest’ultima. Ciò, va sottolineato, succede nonostante il governo kazako abbia dichiarato di non voler aiutare la Russia ad evadere le sanzioni.
Il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev con il suo omologo russo nel 2019 [crediti foto: The Presidential Press and Information Office, via Wikimedia Commons, CC BY 4.0 DEED]
Il pragmatismo ha da sempre permeato la politica estera kazaka, definita multi-vettoriale per il suo approccio al multilateralismo, la quale sembra adattarsi perfettamente al mutevole vicinato del Paese dell’Asia Centrale. Esempio di ciò è la partecipazione del Kazakhstan all’Unione Economica Eurasiatica (EAEU) a trazione russa. Il Paese vi partecipa, pur ribadendo che la collaborazione rimane fortemente entro il perimetro economico, e che Astana non sta cercando alcuna forma di integrazione politica nell’EAEU, preferendo piuttosto sviluppare in proprio i legami con gli altri vicini, quali Kyrgyzstan e Uzbekistan.
Mentre cerca di ridimensionare i propri rapporti con la Russia, il Kazakhstan sta guardando ad altri partner internazionali, tra cui la Cina e l’Unione Europea. Proprio la Cina è diventata nell’estate del 2023 il principale partner commerciale kazako, rappresentando oltre il 19% dell’intero commercio del Paese centrasiatico. Questa intensificazione delle relazioni economiche è però resa complicata dall’opinione critica dei kazaki circa i progetti infrastrutturali cinesi nel Paese, parte della Belt and Road Initiative. Tra questi rientra lo snodo commerciale di Khorgos, la cui costruzione è stata resa difficoltosa dall’accusa mossa nei confronti del Kazakhstan di corruzione e contrabbando durante la gestione del flusso di merci dirette verso l’Europa.
Proprio l’Europa, in particolare l’Unione Europea, è un altro partner privilegiato del Paese. Anche con l’UE il commercio si è intensificato, mentre gli interessi occidentali e soprattutto europei aiutano il Paese a non diventare eccessivamente attaccato o dipendente sia alla Russia che alla Cina. L’Unione Europea agirebbe quindi da contrappeso, aiutando a rafforzare l’agency kazaka nei confronti dei suoi difficili, seppur vitali, vicini, permettendo un terzo sbocco politico ed economico verso l’Occidente.
Cosa significano le esperienze di Armenia e Kazakhstan per le dinamiche nella regione?
Si è visto come questi due Paesi abbiano dovuto o voluto modificare le proprie relazioni a discapito della Russia post 2022, segnando per quest’ultima una traiettoria difficile nelle relazioni con il Caucaso e l’Asia Centrale. Mentre per l’Armenia la questione più spinosa è di tipo politico-militare, per il Kazakhstan le motivazioni sono soprattutto economiche.
Quello che accomuna entrambe le esperienze è che Mosca sta venendo posta in secondo piano, mentre si tenta di creare nuovi legami con altri partner. Al momento non possiamo ancora definire appieno l’estensione del ridimensionamento dell’influenza russa nel Caucaso e nell’Asia Centrale, ma si possono intravvedere le prime avvisaglie di una perdita di peso politico ed economico da parte di Mosca.
Armenia e Kazakhstan possono fare da iniziatori di un effetto domino che può coinvolgere anche gli altri Paesi della regione, rendendo Caucaso del Sud e Asia Centrale molto più dinamiche dal punto di vista internazionale di quanto non fossero finora.
Fonte: Orizzonti Politici