di Franco La Magna
Acclarato leader mondiale dell’animazione nipponica, lo studio “Ghibli” – fondato nel 1958 (insieme al socio Isao Takahata) dal maestro indiscusso e Premio Oscar (2003) per La città incantata (2001) Hayao Miyazaki – “regala” al mercato cinematografico mondiale l’ultima, come sempre mirabolante produzione, Il ragazzo e l’airone (2023), l’opera forse più complessa della filmografia dell’ultra ottuagenario regista, soggettista, sceneggiatore e produttore di Tokyo. Onusta di riferimenti autobiografici, fortemente immersa nella cultura giapponese e portatrice dei tradizionali valori universali, in odore di conquista d’un lusinghiero piazzamento nel box-office mondiale, l’opera rilancia il protagonismo dell’infanzia, come “predilizione elettiva” del mondo miyzakiano, incarnata nei panni del protagonista, l’adolescente Mahito Maki, come tutti i prescelti destinato a vivere una fantastica avventura. L’eroe adolescente di dodici anni, imberbe creatura, dovrà percorrere ancora, in un eterno ritorno, la “renovatio” del comune elemento universale (già individuato da Aristotele nella “Poetica”) degli archetipi e degli eterni stereotipi. La struttura sinottica sempre uguale a se stessa (Propp in “Morfologia della fiaba”, 1929, ne dimostra l’immutabilità) riporta, infatti con il nuovo episodio, alla storia narrata all’infinito, al modello mitologico individuato già da Joseph Campbell ne “L’eroe dei mille volti”, pubblicato nel 1949, in cui il viaggio-metafora del prode ineluttabilmente segue tre cronologiche fasi canoniche: separazione, iniziazione e ritorno. Mahito, l’eroe dodicenne, lascia la comunità d’origine per vagare guidato dall’uomo-airone – in un mondo fantastico popolato da strane creature (parrocchietti carnivori, aggressivi pellicani, “Wara Wara”) – alla ricerca della nuova madre, la zia Natsuko da lui non accettata, sorella della madre morta durante la Guerra del Pacifico nell’incendio di un ospedale, con cui il padre si consola. Superate tutte le prove, con l’aiuto di Himi (la madre morta che Mahito incontra da bambina) il ragazzo raggiungerà finalmente la pace interiore, portando così a termine il suo viaggio di formazione. Con la conoscenza e la maturità acquisita, Mahito torna alla comunità originaria, rifiutando l’offerta del prozio di ergersi ad erede e custode di un mondo perfetto, ritrova gli affetti, accettando la nuova compagna del padre e la nuova vita in arrivo che la matrigna custodisce in grembo, riaffermando in tal modo il valore centrale degli affetti familiari. Ill percorso circolare, mondo ordinario-mondo straordinario-ritorno al mondo ordinario è compiuto. L’eroica parabola può così concludersi serenamente Il caleidoscopico “realismo fantastico” di Miyazaki, attentissimo ai particolari, sprofondato in una natura ubertosa, tra cielo, terra e mare, le metafore, i chiari rimandi alla letteratura nipponica e alla storia autobiografica del regista (la malattia della madre, l’attività professionale del padre…), fanno forse de Il ragazzo e l’airone il film più sofferto, personale e articolato dell’intera filmografia del geniale artista giapponese, carico – more solito – di significati reconditi e tuttavia in grado di sbalordire con il cromatismo accecante dell’animazione, il fantastico bestiario parlante e le continue invenzioni narrative, le varie stratificazioni degli spettatori. Ai genitori il compito, dopo adeguata informazione, di illustrare ai figli il mondo magico e reale del grande maestro giapponese.