Roma, 14 feb.
A livello internazionale, c’è allarme per la prospettiva di un attacco su larga scala a Rafah: la cittadina che normalmente conta poche centinaia di migliaia di abitanti è stata raggiunta in questi giorni dai profughi che dal resto della Striscia vi si sono rifugiati, dopo l’evacuazione disposta da Israele. Dopo aver annunciato l’offensiva, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto di avere chiesto di elaborare piani per evacuare i civili dalla città. Ma molti palestinesi e gruppi umanitari internazionali sostengono che nessun posto a Gaza è sicuro e che allontanare le persone da Rafah, il principale punto di ingresso per gli aiuti internazionali non può che peggiorare la situazione già catastrofica. Secondo il capo degli aiuti umanitari dell’Onu Martin Griffiths, “le operazioni militari a Rafah rischiano di provocare un massacro e di dare il colpo di grazia agli aiuti umanitari”. Lo stesso presidente Usa Joe Biden si è opposto al programma di attacco israeliano senza che ci sia un piano credibile per la protezione dei civili. L’Egitto ha dal canto suo respinto l’ipotesi di accogliere i rifugiati che inevitabilmente cercherebbero di attraversare il confine nel Sinai: questo, secondo quanto riferito da fonti egiziane metterebbe a repentaglio il trattato di pace decennale tra Israele ed Egitto, considerato un’ancora di stabilità in Medio Oriente; lunedì però dal Cairo sono giunte rassicurazioni sulla tenuta del trattato. Oltre al negoziato del Cairo, ci sono altri percorsi diplomatici per diminuire le tensioni nell’area: in particolare, la Francia ha presentato una proposta a Israele, Libano e Hezbollah perché il movimento libanese sciita filoiraniano e alleato di Hamas ritiri i suoi combattenti a una distanza di 10 chilometri, circa sei miglia, dal confine con Israele. Ieri il leader del gruppo, Hassan Nasrallah, ha affermato che continuerà a combattere finché ci sarà la guerra a Gaza.