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Il "ponte aereo" che salvò Berlino durante la Seconda guerra mondiale

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AGI – La prima a parlare di un “ponte aereo” per aiutare i profughi ucraini è stata Annalena Baerbock durante il suo viaggio in Moldavia. A Bruxelles la ministra degli Esteri tedesca ha rilanciato l’idea di un “ponte aereo solidale”, anche a fronte dei numeri sempre più drammatici di questo immenso flusso umano: le stime arrivano a parlare di 8 milioni di persone in fuga dall’Ucraina sventrata dai tank russi.

In pratica si tratterebbe di distribuire i profughi direttamente ai confini verso i vari Paesi europei, persino oltre l’Atlantico. Va detto che in Germania le parole “ponte aereo” sono un’espressione che rimanda immediatamente a un passaggio storico cruciale dopo la Seconda guerra mondiale, quando il mondo aveva cominciato a dividersi in due blocchi contrapposti: perchè è a partire dall’aeroporto di Tegel – chiuso nel 2020 in parallelo all’apertura del nuovo aeroporto intitolato a Willy Brandt – che nel 1948 si decise il destino di Berlino.

Qui, nella zona nord-ovest della capitale tedesca, che a tre anni dal conflitto era l’ombelico di un mondo spaccato in due – socialismo e capitalismo democratico, Unione sovietica e America, piano quinquennale e libero mercato, Skoda e Ford, vodka e coca-cola – fu organizzata una delle più colossali operazioni logistiche della storia, la famosa “Luftbruecke” (ponte aereo in tedesco), volta a rifornire le 2 milioni di persone che vivevano a Berlino Ovest.

In realtà la destinazione di Tegel avrebbe dovuto essere un’altra: sull’ex campo per il lancio di razzi e per le esercitazioni della Luftwaffe nazista (compresi i V2 che avevano terrorizzato Londra), ora completamente devastato dalle bombe, sarebbero dovute sorgere nuove abitazioni, di cui una città in ginocchio come la Berlino dell’immediato dopoguerra aveva un disperato bisogno.

La Storia dispose diversamente le sue pedine

I sovietici decisero il blocco di Berlino Ovest, tagliando fuori da ogni collegamento con l’Occidente (niente elettricità, niente traffico, nè di merci nè di persone: e stiamo parlando di 2,2 milioni di berlinesi, più gli oltre 20 mila soldati alleati con le loro famiglie).

In un primo momento a Washington avevano pensato di abbandonare a se stessa la parte occidentale della città divisa: si oppose il generale Lucius Clay, comandante del corpo statunitense di stanza a Berlino, mentre furono i francesi a lanciare l’idea di costruire in tempi record un aeroporto militare per aiutare americani e britannici a realizzare quello che è forse il più spettacolare e imponente ponte aereo del Novecento.

Realizzato in appena 90 giorni, grazie anche al know-how statunitense e la forza lavoro tedesca, lo scalo cominciò a prendere forma a partire dal 5 agosto 1948, quando s’iniziò a costruire quella che sarà per molto tempo la più lunga pista aeroportuale d’Europa (per la precisione 2428 metri), mentre i primi terminal e gli altri spazi comuni vennero costruiti con materiali a malapena improvvisati.

Il primo aereo – un Douglas C-54 – atterrò a Tegel il 5 novembre 1948: un mese prima dell’inaugurazione ufficiale dello scalo. In partenza apparve un’operazione disperata, quella di rifornire milioni di persone con un ponte aereo, che poi rimase operativo fino al 12 maggio 1949 (in tutto 462 giorni): i viveri in magazzino erano sufficienti per 30 giorni, i medicinali per un paio di settimane. E allora ogni due minuti un aereo scaricava e ripartiva, salvando Berlino Ovest e con essa l’avamposto del mondo occidentale ben al di qua della cosiddetta cortina di ferro.

Certo non solo una presenza simbolica, come sta a dimostrare il Muro tirato su – anch’esso in un lampo – dalla Germania dell’Est nell’agosto del 1961, divenuto il marchio in pietra e filo spinato di un mondo diviso in due blocchi, la cicatrice che fino al 1989 avrebbe spezzato obliquamente Berlino e la storia del Novecento.

Per quanto riguarda la “Luftbruecke”, vuol dire che centinaia e centinaia di aeroplani – i berlinesi li chiamavano “Rosinenbomber” (bombardieri d’uva passa) – trasportavano un’enorme varietà di provviste, interi container pieni di viveri, carbone e medicinali fino a piccoli pacchetti di caramelle con attaccato un minuscolo paracadute ‘individualè per i bambini, e pure i malati gravi e bambini venivano evacuati con gli stessi aerei.

Gli aeromobili vennero forniti e volarono dagli Usa, dalla Gran Bretagna e dalla Francia, ma gli equipaggi arrivavano finanche dall’Australia, dal Sudafrica e dalla Nuova Zelanda. In totale furono effettuati 278.228 voli per 2.326.406 tonnellate di cibo e altre forniture, tra cui 1.500.000 tonnellate di carbone per riscaldamento e produzione di energia elettrica.

All’apice dell’operazione – il più grande trasporto umanitario della storia – atterravano a Berlino 1.398 voli ogni 24 ore trasportando 12.940 tonnellate di viveri, carbone e macchinari.

“Per noi berlinesi Tegel è stata la porta d’accesso al mondo” durante i lunghi decenni della guerra fredda, ebbe a dire il sindaco della capitale, Michael Muller, al momento della chiusura dello scalo di Tegel. Perchè dopo l’epopea del ponte aereo, fu sempre quest’aeroporto a connettere Berlino Ovest al resto del mondo: ancora una volta i primi ad offrire voli civili verso Tegel furono i francesi, nel 1960.

Quattro anni dopo si aggiunse anche la Pan Am, che organizzò l’avveniristica (date le circostanze) tratta diretta con New York. Per un tempo infinito solo alle compagnie aeree statunitensi, britannici e francesi (ossia, a parte i sovietici, quelle che erano state le potenze occupanti della Berlino del dopoguerra) era permesso atterrare qui: il primo volo della tedesca Lufthansa a cui è stato concesso scendere a Tegel è datato 1990, con la riunificazione delle due Germanie, un anno dopo la caduta del Muro.  

Source: agi


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