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Il patto di legislatura proposto da Letta per salvaguardare Draghi

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AGI – Un patto di legislatura, un pacchetto chiuso che preveda elezione del Capo dello stato e prosieguo della legislatura fino al termine naturale. Ma, soprattutto, che salvaguardi la figura di Mario Draghi, essenziale per portare a termine il Pnrr e per fare fronte alla crisi pandemica.

Enrico Letta apre con queste indicazioni la riunione congiunta fra gruppi parlamentari e direzione del Pd. Il segretario ottiene un mandato che ‘blinda’ il percorso che lo porterà al voto il 24 gennaio. Letta, infatti, chiede che a votare siano non solo la direzione, ma anche quei gruppi parlamentari che si sono venuti a formare quando al Nazareno sedeva ancora Matteo Renzi e che, da allora, sono sempre stati difficili da guidare.

E anche la scelta di includere le capigruppo nel mandato sembra rispondere a questa necessità. Alla fine la risposta è stata unanime: mandato al segretario e alle capigruppo “di seguire le trattative per l’elezione del Presidente della Repubblica”. Una riunione da remoto per non “far circolare tante persone in Italia in un momento così”. E in diretta streaming, “per garantire trasparenza in un momento tanto delicato”.

La riunione si apre con un ricordo di David Sassoli, a cui il segretario riconosce il merito di aver consentito al Parlamento Europeo di lavorare al Next generation Eu quando tutti chiudevano. A Sassoli, poi, Letta ha annunciato di voler dedicare la sala del Nazareno, sede nazionale del partito, in cui si tiene la direzione.

È Sassoli, infatti, a rappresentare quella “politica buona” a cui Letta vorrebbe tornare. Anche per questo la scelta del centrodestra di candidare Berlusconi, confermata nel summit a Villa Grande, ha “deluso” profondamente i dem. È vero, ha spiegato Letta, che “ogni capo di partito è divisivo”, ma nessuno “è divisivo quanto Silvio Berlusconi”.

Nonostante questo, il segretario Pd è consapevole di dover continuare sulla linea del dialogo con le altre forze parlamentari. “Non abbiamo la maggioranza assoluta”, ricorda a parlamentari e membri della direzione, quasi a voler rispondere a chi – come il ministro della Cultura, Dario Franceschini – sollecita una ‘mossa’ del partito e dei suoi alleati.

Una “azione politica” da parte del partito chiedono, durante il dibattito, anche Matteo Orfini e Alessandro Alfieri, coordinatore nazionale di Base Riformista, l’area che fa riferimento a Lorenzo Guerini e Luca Lotti. Il primo, che non ha avanzato ufficialmente l’ipotesi del Mattarella bis, sottolinea: “Dobbiamo prendere delle contromisure” rispetto alla scelta del centrodestra “che non significa lavorare su un nome di bandiera alternativo” ma “assumere una iniziativa politica forte per dire al centrodestra: fermatevi”.

Il secondo risponde direttamente al segretario: “Non possiamo non giocare la partita, anche se siamo il 15 per cento dei grandi elettori”, sottolinea Alfieri, “Siamo quelli più avanti nei sondaggi e non possiamo non interpretare il nostro ruolo”. Da registrare comunque il silenzio di alcuni big del partito a cominciare dai capiarea Dario Franceschini e Lorenzo Guerini.

Ma di nomi, in questo momento, Letta non vuol sentire parlare: “fare nomi oggi significa voler bruciare le candidature“, sottolinea. Un nome, tuttavia, viene fatto durante i dibattito: è quello del presidente del Consiglio, Mario Draghi. La premessa di tutti è la stessa: “Il premier va salvaguardato, i nomi non vanno bruciati”.

Ma in un modo o nell’altro, è sull’ex presidente della Bce che si concentrano le attenzioni. Su questo, le aree del Pd si muovono in ordine sparso: “La cosa più naturale è che questo governo continui con il suo presidente del consiglio, con il presidente del consiglio attuale”, dice Goffredo Bettini.

Un punto di vista sottoscritto anche da chi, in passato, si è mostrato critico con alcune prese di posizione di Bettini: “Per garantire continuità nell’azione di governo, abbiamo bisogno di Draghi a Palazzo Chigi”, dice Matteo Orfini. Franco Mirabelli, senatore di Area dem – la corrente che si organizza attorno a Dario Franceschini – sottolinea che “non si tratta di escludere nessuno, ma è evidente che la figura di Draghi è fondamentale per la tenuta e la funzionalità di questo governo ed è evidente che noi non sappiamo – e possiamo permetterci di non saperlo? – cosa accadrebbe se facessimo a meno di questa guida”.

Cesare Damiano allontana la tentazione di portare il dibattito sulla figura del premier: “Non vorrei rischiare di bruciare Draghi, né al Quirinale né a Palazzo Chigi: vedo una sorta d’indebolimento dell’azione di governo nelle ultime settimane, che potrebbe portare a una crisi o a una sorta di paralisi”. Al contrario, per Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna a cui guarda Base Riformista, “se l’interesse del Paese coincide con il nostro, sarebbe un errore dire che Draghi e’ tolto dalla corsa al Quirinale, perché se diamo il mandato pieno” al segretario Letta “a trattare, non brucerei alcun nome e mi troverei pronto mettendo in campo tutto ciò che serve per unire. Dopodiché è giusto che il governo prosegua per tutta la legislatura”.

E, allora, la strada è quella di tenere la porta aperta al dialogo, chiamare tutti gli altri partiti a un patto di legislatura, “a partire dalla maggioranza che sostiene il governo”, allo scopo di eleggere una figura super partes che garantisca tutti, portare avanti l’azione di governo e la legislatura. “Dobbiamo lavorare in sicurezza perché il Paese sia in grado di garantire, a partire dalla scuola, servizi pubblici per rendere la vita degli italiani sicura e riprendere e superare le diseguaglianze. Allo stesso tempo il tema del Pnrr è una delle questioni più importanti che abbiamo di fronte”, ricorda il segretario. “Quei soldi devono essere spesi e il nostro Paese non deve finire nel banco degli imputati dell’Unione Europea”.

Per questo, “l’idea che ci siano oggi elezioni nel nostro Paese va messa da parte”. Il profilo è quello di un Presidente della Repubblica che “affidi l’incarico a chi vince le elezioni” e che si muova nel solco tracciato dal presidente Mattarella. “Siamo positivi e ottimisti sul fatto che l’atteggiamento della nostra coalizione ci permetterà di convincere tutti per arrivare il più presto possibile a una elezione di un uomo o una donna di alto livello e super partes che raccolga l’eredità di Sergio Mattarella”.

La strada del dialogo con il centrodestra, tuttavia, appare sbarrata al ministro e capodelegazione Pd, Andrea Orlando: “Nella malaugurata ipotesi in cui questa intenzione persistesse, il modo in cui rispondere sarà un fatto politico a cui pensare già nelle prossime ore. Io credo che sia giusta l’offensiva diplomatica, la scelta di tenere sulla linea del dialogo, ma si tratta di un dialogo su cui grava questa scelta”, dice il ministro. Se lo scetticismo di Orlando dovesse trovare conferma, la strada indicata da Letta è quella del confronto con gli alleati: “Con i nostri alleati il dialogo è molto positivo e io li voglio ringraziare. Il dialogo con i nostri alleati, con i quali abbiamo costruito al grande stagione del Conte 2, ci porta a costruire la scelta sul presidente della Repubblica e quella delle elezioni del 2023”.

Il tempo però stringe e l’inizio delle votazioni è vicino. Quale sarà la strategia del Pd se lo ‘stallo’ con le altre forze politiche dovesse continuare? “Se si dovesse andare alle prime tre votazioni senza un accordo dovremo scegliere se votare scheda bianca in quelle tre votazioni o se votare un nome scelto con i nostri alleati. Poi dovremo decidere come comportarci davanti alla scelta del centrodestra di candidare un capo politico il più divisivo che possa esserci. Ogni capo politico è divisivo, ma è difficile pensare a un capo politico più diviso di lui. Per questo la scelta di ieri del centrodestra ci ha deluso”. 

Source: agi


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