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Il pasticcio del governo sul Def

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di Enrico Morando

Sul tema della politica di bilancio, in Italia, si deve partire dalla vera novità: il Next Generation EU e il PNRR. La politica fiscale espansiva -che non poteva e non può venire dal Bilancio nazionale- viene dal bilancio europeo. Sì, viene dagli Eurobond, emessi dall’Unione Europea come tale sul suo merito di credito e non su quello dei paesi membri. Potenzialmente, è una svolta epocale per l’Unione Europea, perché questa scelta rappresenta l’embrione della costruzione di un’effettiva capacità fiscale dell’Unione, di cui si parla inutilmente da anni. Ma è soprattutto un enorme opportunità per il nostro paese. Per rendercene conto basterà tornare con la memoria agli effetti del piano Marshall. A distanza di tanti anni, quando dobbiamo individuare le fondamenta del miracolo economico italiano, facciamo almeno un cenno a quel gigantesco sforzo di solidarietà su cui l’Italia poté contare nella fase di ricostruzione post bellica. Ebbene, per dimensioni quantitative, rispetto al PIL dell’ Italia di allora, il NGEU e il PNRR che lo attua, rapportato al PIL del paese oggi, vale circa il 30% di più.

Questo significa che il ciclo degli investimenti reso possibile da Industria 4.0 può continuare con gli investimenti in infrastrutture, in digitalizzazione, in riduzione delle emissioni climalteranti.

Se questo è il punto di novità e di forza della politica fiscale italiana in questo momento, bisogna subito osservare che non è stata una buona idea impiegare ben un anno e mezzo -su cinque disponibili (ne restano due)- per cambiare il PNRR. Tra l’altro, escludendo i progetti dei Comuni che -ora si scopre- erano quelli più avanti nella realizzazione. E non è stata una buona idea neppure quella di ridurre la trasparenza sullo stato dei lavori.

Detto questo, la politica fiscale ultraespansiva di cui abbiamo bisogno, in Italia, fino al 2026, ci sarà . Se la useremo bene…

Le note dolenti cominciano quando si viene alla politica di bilancio nazionale: il Governo, nel pieno della legislatura, non ha presentato il DEF. Già, perché quello presentato non è il DEF.

Per essere tale, il DEF deve contenere due tavole: quella del quadro di finanza pubblica a legislazione vigente e quella del quadro di finanza pubblica programmatico. Il primo, nel documento presentato dal Governo, c’è (anche perché lo scrivono i tecnici del MEF): se tutto resta com’è -nella legislazione di spesa e di entrata- questo è il quadro di finanza pubblica per il triennio a venire. Il secondo, incredibilmente, non c’è. Il Governo ha sostenuto di non poterlo presentare -nel secondo anno di legislatura!- perché non erano disponibili le specifiche tecniche del nuovo Patto di stabilità e crescita. Una bufala imbarazzante: il nuovo Patto è stato approvato definitivamente dal Parlamento europeo ad aprile. E la Presidente Meloni lo ha approvato nel Consiglio dell’UE di marzo. Inoltre, per elaborare il DEF, non c’è alcun bisogno delle specifiche tecniche, che serviranno al momento della stesura della Legge di bilancio.

Poiché il quadro programmatico è un contenuto obbligatorio del DEF, previsto dalla Legge di contabilità in vigore, e poiché il dibattito parlamentare sul DEF deve obbligatoriamente concludersi con l’approvazione di una risoluzione impegnativa che fissa gli obiettivi di finanza pubblica da rispettare e da conseguire attraverso la Legge di bilancio, i Presidenti di Camera e Senato avrebbero dovuto rimandare il DEF al Governo, chiedendo di completarlo o di dichiarare formalmente che il quadro di finanza pubblica a legislazione vigente era, per il Governo, anche il quadro programmatico ( ciò che il Governo non farà mai, poiché equivarrebbe ad ammettere la propria inutilità).

Perché il Governo ha scelto questa strada? Perché la leader non sa decidersi tra l’essere il capo dei sovranisti e nazionalisti europei ed essere un capo di governo nazionale che ragiona in termini di convergenza tra interesse nazionale ed europeo. Così: 1) non vota il nuovo MES. Il quale contiene un’unica novità: la costruzione di un sistema di assicurazione contro le crisi di banche che abbiano rilievo sistemico;2) sostiene l’approccio italiano “a pacchetto“: tutto insieme o niente. Obiettivo esplicito: ottenere una nuova proroga della sospensione del Patto di stabilità e crescita; 3) così, non prende posizione a sostegno della proposta del nuovo Patto avanzata dalla Commissione (un vero e proprio capolavoro del Commissario italiano Gentiloni).Questa strategia in tre mosse ottiene il risultato prevedibile: 1) nessuna proroga ; 2) la proposta della Commissione esce ridimensionata dall’iter Consiglio europeo/Parlamento; 3) il Governo non è in grado di definire il quadro di finanza pubblica programmatico. Quando poi il ministro Giorgetti prova ad affrontare il tema della programmazione di medio periodo, annuncia come una svolta epocale il… “pareggio di bilancio al netto del servizio del debito pregresso“. Non si sa se ridere o piangere: la condizione del risanamento è infatti la costruzione di un significativo avanzo primario.

La verità è che Meloni e il suo Governo non sanno dove trovare le risorse per correggere il deficit almeno dello 0,6% del PIL, rifinanziare per il ‘25 e successivi la riduzione Irpef e la decontribuzione per i lavoratori a reddito medio basso, (finanziato solo per il 2024); rifinanziare le “politiche invariate”. Una lista che “costa” più di venti miliardi annui. Ma non è questa la difficoltà principale: il nuovo Patto -peggiore della proposta della Commissione, ma migliore del precedente- contiene una novità decisiva: i Paesi in deficit eccessivo e debito alto possono presentare piani/paese di sette anni per il graduale rientro, ottenendo una maggiore flessibilità grazie a incisive riforme strutturali… La scelta del Governo di non presentare il proprio disegno programmatico mina in partenza la credibilità del piano settennale che ora sono obbligati a presentare (lo faranno, in fretta e furia, ad ottobre. E il Parlamento, silente ora, berrà quello che il convento passerà. Ma chi è causa del suo mal…).

Ci sarebbe lo spazio per una grande iniziativa europeista dell’opposizione: definire un “suo” Piano settennale, realistico e ambizioso, sul quale sfidare il Governo… Mi sembra di capire che non sia aria… Ma spes ultima dea.