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Il Partito socialista unitario e i quattro anni che cambiarono l'Italia

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AGI – Quattro anni possono sembrare pochi visti con i lunghi tempi della storia, ma a volte racchiudono una serie di avvenimenti decisivi per i decenni a seguire. E’ il caso del periodo tra il 1922 e il 1926, in cui si sviluppa l’azione del Partito socialista unitario di Filippo Turati e Giacomo Matteotti, di cui è apparsa finalmente la prima storia a 99 anni dalla nascita (‘La missione impossibile. Il Psu e la lotta al fascismo’, Fabio Florindi, Arcadia Edizioni). 

Il Psu nasce in un momento drammatico della storia d’Italia. Al congresso di Roma del Psi, i massimalisti cacciano dal partito i riformisti, che così il 4 ottobre del 1922 danno vita al Partito socialista unitario. Poco più di 20 giorni dopo va in scena la marcia su Roma e Mussolini sale al governo. Mentre la sinistra litiga e si scinde sull’atomo, la reazione imperversa nel Paese. 

Al Psu aderisce ‘il meglio’ dei primi 70 anni del socialismo italiano: oltre a Turati e Matteotti, ci sono Claudio Treves, Giuseppe Emanuele Modigliani, Bruno Buozzi, Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Giuseppe Saragat. Ma la vita del nuovo partito è difficilissima: è schiacciato a destra dal fascismo, che lo considera il nemico numero uno, e a sinistra dal Psi a guida massimalista e dai comunisti, che considerano i riformisti dei ‘traditori’ della classe operaia. In realtà non erano dei traditori, anzi erano stati gli unici a creare ‘strutture’ concrete per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori, come sindacati e cooperative. 

Fino al 10 giugno 1924 l’azione del Psu viene trainata dal suo energico e carismatico segretario, Giacomo Matteotti, che imposta una politica di rigida opposizione al fascismo. Matteotti è l’uomo che ha il coraggio di denunciare alla Camera dei deputati, il 30 maggio 1924, i brogli e le violenze fasciste durante la campagna elettorale. Per questo paga con la vita: il 10 giugno una squadraccia fascista lo rapisce e uccide, mentre si sta recando alla Camera, sul lungotevere Arnaldo da Brescia.

Il delitto di Matteotti provoca un’ondata di indignazione in tutto il Paese, le opposizioni abbandonano il Parlamento e salgono sull’Aventino. Le minoranze lasciano l’aula della Camera il 13 giugno e iniziano una battaglia morale per squalificare il fascismo e il governo Mussolini. La protesta, però, resta sul piano esclusivamente morale e il re Vittorio Emanuele III conferma la sua fiducia a Mussolini. 

Anche il Partito socialista unitario segue l’agonia dell’Aventino e non si riprende dall’assassinio del suo segretario. Un primo colpo al Psu Mussolini lo assesta nel novembre del 1925: il partito dei riformisti viene sciolto in seguito all’attentato contro il duce, messo a punto da Tito Zaniboni, un ex deputato unitario che si muove in polemica con la passività aventiniana.

Qualche settimana dopo il Psu rinasce in forma semi-clandestina con il nome di Partito socialista dei lavoratori italiani (Psli), ma un anno più tardi il fascismo approfitta di un nuovo attentato a Mussolini, quello di Anteo Zamboni, per mettere al bando tutti i partiti. Il caso vuole che è proprio il Psli il partito antifascista a tenere l’ultimo congresso sul suolo italiano: il 21 ottobre 1926 a Milano, in un locale della Confederazione del lavoro, in forma strettamente segreta, si ritrovano una sessantina di delegati riformisti. L’ultimo vagito prima della cancellazione, all’inizio di novembre, di qualsiasi parvenza di opposizione e dell’instaurazione ufficiale della dittatura.   
 

Source: agi


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